14 aprile 2023

Other Identity #57. Altre forme di identità culturali e pubbliche: Federica Gonnelli

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Other Identity è la rubrica dedicata al racconto delle nuove identità visive e culturali e della loro rappresentazione nel terzo millennio: la parola a Federica Gonnelli

Federica Gonnelli, “POETRY AS A FORM OF RAPID MOVEMENT OF THE EYES”, 2019, assemblaggio di organza e stampa fine art su carta Magnani, 39,5x54,5 cm, courtesy dell’artista e STUDIO 38 Art Gallery, Pistoia

Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana l’ospite intervistato è Federica Gonnelli.

Federica Gonnelli, RITRATTO

Other Identity: Federica Gonnelli

Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?

«Nella desolazione di un’epoca dove tutto è in discussione su fondamenta traballanti, procediamo come in un videogame, cercando di sopravvivere ai tranelli disseminati sul nostro percorso. L’arte, l’estetica dell’attuale panorama storico-sociale, dominato da dualismi precari, rimettono in discussione le binomiche nozioni d’appartenenza e rappresentazione: territorio-identità, uomo-natura, soggettività-oggettività, presenza-assenza, corpo-abito, apparenza-esistenza, spazio-tempo, cognitivo-percettivo, contenuto-contenente. L’arte e l’estetica ristabiliscono una contiguità tra privato e pubblico e conseguentemente tra il quotidiano del corpo e l’atemporale del digitale – dei social in particolare, vero e falso, reale e simulato».

Federica Gonnelli, “COME ISOLATE NUBI”, 2019, assemblaggio di stampa con riporto a solvente su organza e stampa fine art su carta Magnani 310 g, cornice di mdf e polimetilmetacrilato, 3 elementi 52,5×72,5×3,5 cm ciascuno, courtesy dell’artista e STUDIO 38 Art Gallery, Pistoia

Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?

«La mia ricerca ruota attorno a tre capisaldi: corpo, spazio e tempo, ai rapporti che si stabiliscono tra essi e dai quali si sviluppano rispettivamente altre tre importanti indagini circa identità, confini e memoria. La ricerca dell’identità, che è continua nell’essere umano, risulta doppia nel mio percorso perché è svolta anche dal punto di vista artistico. La mia identità è identica alle mie opere, è identica al velo: un confine labile e sottile. La mia identità è composita come composite sono le opere nate dal mio linguaggio. Un linguaggio artistico che si sviluppa in una molteplicità di significati e di varianti di significato.

Fin dall’inizio del mio percorso, vi è stata una continua ricerca di identità attuata in opere, installazioni, video e videoinstallazioni attraverso giochi di specchi e sovrapposizioni di volti. Un percorso dove l’osservatore, scoprendo qualcosa di me, ha modo di riflettere su se stesso, acquisire una maggiore consapevolezza di sé, tornare alle origini, per riconoscere l’identità personale, molteplice e collettiva, “La libertà si costruisce con un processo collettivo che scardina le identità”, citando Paul B. Preciado. Credo che appaia chiaramente la mia insofferenza verso le classificazioni, le distinzioni e le categorie chiuse. Confesso di non sentirmi pienamente parte di alcun compartimento.

La mia ricerca, ma credo che valga per la ricerca in genere, è volta al superamento dei confini, qualsiasi essi siano, che relegano in compartimenti stagni le varie arti così come i confini che dividono gli individui. “Frequento solo i confini, perché sono un clandestino permanente”, per citare nuovamente Preciado».

Federica Gonnelli, “DISSIPAZIONE (NUBE CORPO E FORMA CAVA)”, 2020, assemblaggio di immagine stampata con solvente su organza e tessuto, supporto e cornice di legno, 2 elementi 72x52x5 cm ciascuno, courtesy dell’artista e STUDIO 38 Art Gallery, Pistoia

Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?

«L’apparenza sociale e pubblica non mi interessa, per me è importante essere. Parlare oggi di apparenza sociale e pubblica mi fa venire inevitabilmente in mente il regno dell’apparenza per eccellenza della nostra società, che per ragioni tecnologiche ed evolutive più delle precedenti si scontra con sistemi destinati a creare delusioni: i social network. I social sono uno specchio che restituisce solo un’apparenza, un’illusione, un abbaglio. I social sono il luogo dove spesso le persone pensano di guardare il mondo, ma vedono solo se stessi, le proiezioni che hanno e quelle che gli rimanda la rete mediante gli algoritmi. I social misurano desideri e tendenze ad apparire, farsi notare, enfatizzare e monetizzare aspetti di sé come non è mai stato possibile, è necessario smontare questo tipo di rifrazione. Ogni epoca ha una doppia faccia, ma mai come in questa è stata così ipocrita e basata sull’apparenza».

Federica Gonnelli, “TESI – TRA LE ATTESE (TRACCIA)”, 2018, assemblaggio di immagine fotografica digitale stampata, punta d’argento, organza e filo di cotone su carta cotone, supporto di legno, 9 elementi 42x57x5 cm ciascuno, courtesy dell’artista e STUDIO 38 Art Gallery, Pistoia

Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?

«Nella nostra società, tra reale e virtuale, l’identificazione del sé passa attraverso il consumare e/o l’acquistare un determinato prodotto, allo stesso tempo puoi spacciarti per chi vuoi. La nostra epoca è capace di creare corpi mostruosi, identificando le persone attraverso categorie precise determinate isolando una caratteristica fisica, anagrafica, mentale o sociale, facendo di una parte il tutto, cancellando la restante parte. Una nuova identificazione e un nuovo valore di rappresentazione del sé, dovrebbero passare invece attraverso quelle esperienze che ci fanno sentire individui completi, quelle in cui le identità sembrano dissolversi e confondersi e che abbiamo rischiato di dimenticare. Il problema sta nel fatto che sui social non c’è un contesto, vi scorre di tutto, di ogni genere e non abbiamo il tempo di cambiare stato d’animo al cambiare di contenuto, rimanendone sopraffatti.

La pandemia è stata uno spartiacque e dopo mesi di connessioni virtuali, oggi servono e contano le connessioni reali, le relazioni, i corpi. Il corpo è la chiave di tutto, ieri è stato vittima del virus, trasformato e limitato nei contatti, senza pelle, senza tatto, oggi è nuovamente protagonista nelle manifestazioni per i diritti umani, per il lavoro, per la pace, “Rivoluzione e controrivoluzione. Come la fabbrica era il luogo della lotta nel diciannovesimo secolo, il corpo è il campo di battaglia di oggi”, citando ancora Preciado.

Inaspettatamente i valori che i social avevano esasperato fino a ieri ci sembrano oggi offensivi e fuori luogo, ai limiti della sociopatia, abbiamo imparato finalmente a tenere più in considerazione il contesto, il fondale, la fatalità entro cui viviamo e il fatto che siamo tutti interconnessi. Nei giorni più drammatici dell’emergenza, l’eccesso di presenzialismo, il voler apparire a tutti i costi e a sproposito diffuso in particolare sui social, mi ha fatto percepire la figura umana e la mia stessa immagine, che ho sempre utilizzato per la realizzazione delle mie opere per convenienza e disponibilità, come orrenda, fuori luogo, inadatta.

Questa riflessione fa da perno anche ad uno dei progetti che ho realizzato durante il confinamento: “Niente del prima sarà uguale dopo”. Ho iniziato così a frequentare meno i social e a condividere meno contenuti – non che fino a quel momento lo avessi fatto in modo eccessivo, ma anche quel poco mi sembrava troppo, quindi meno quantità, ma più qualità. Questo nuovo spazio/tempo, che stiamo vivendo e che vivremo, richiede una rappresentazione diversa, più intima come in uno spazio familiare, più scandita come in un diario, uno spazio/tempo più essenziale.

Consiglio “Trick Mirror. Le illusioni in cui crediamo e quelle che ci raccontiamo”, di Jia Tolentino, NR, 2020, dove sono raccolti nove saggi inediti circa la confusa società in cui viviamo».

Federica Gonnelli, “NIENTE DEL PRIMA SARÀ UGUALE DOPO”, 2020, assemblaggio di organza e stampa fine art su carta Magnani, supporto di legno, 12 elementi 45×33,75×4,5 cm ciascuno, 145x150x4,5 cm misura totale, courtesy dell’artista

ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?

«Sì, oggi sono ciò che ho desiderato essere fin da bambina, se non fossi un’artista non sarei io. Mi identifico totalmente in quello che faccio, l’arte è il mio quotidiano, il mio pubblico e il mio privato. Nell’essere artista sono riuscita a sommare tutte le aspirazioni che si sono alternate nel corso della mia infanzia. Essere un’artista mi permette di sperimentare sul corpo come farebbe uno stilista, sullo spazio come un architetto, sull’oggetto come un designer, sui percorsi dell’arte come uno storico».

Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?

«Nessun’altra».

Federica Gonnelli, “YOU’RE (NOT) H/ALO/NE”, 2020, assemblaggio di organza e ecoline, matite acquerellabili, stampe all’acqua su carta cotone, filo di cotone e materiali vari, 62 + X elementi 30×24 cm ciascuno, courtesy dell’artista

Biografia

Federica Gonnelli è nata a Firenze, dove ha frequentato il Liceo Artistico e l’Accademia di Belle Arti, vive e lavora tra Firenze e Prato, dove dal giugno 2011 ha aperto lo studio “InCUBOAzione”. Dal 2001 ha partecipato a mostre personali, collettive e concorsi. Nel 2006 ha conseguito la laurea, con la tesi “L’Arte & L’Abito”. Dal 2007 fa parte del collettivo artistico “Arts Factory” per il quale, in qualità di artista si occupa della progettazione e realizzazione di video, installazioni e videoinstallazioni. Nel 2013 ha conseguito la specializzazione in Arti Visive e Nuovi Linguaggi Espressivi, con la tesi “Videoinstallazioni tra Corpo-Spazio-Tempo”. Dal 2015 ha partecipato alle residenze d’artista, di particolare importanza per la sua ricerca, presso: Mola di Bari – Fondazione Pino Pascali, Cosenza – The BoCs, Castelbottaccio (CB) – Vis a Vis Fuoriluogo 19, Vimercate (MB) – V_Air Museo Must, San Sperate (CA) – Future Frontiers, Zumpano (CS) – Terraē Museo Mae e Palagiano (TA) – Z.N.S. Via Murat Art Container 2° Piano Art Residence.

Il confine, protagonista costante delle sue opere, caratterizza il suo percorso nei materiali e nei temi, attuando una ricerca al limite tra le arti visive, mediante l’utilizzo del velo d’organza e della fotografia a doppia esposizione, determinanti mezzi espressivi che concorrono nel significato dell’opera. Ogni fotografia a doppia esposizione, come ogni velo, mostra qualcosa, ma allo stesso tempo impone uno slancio agli osservatori che vogliono scoprire cosa vi si cela dietro, oltre il confine. In ogni sovrapposizione materiale o fotografica di immagini, ridisegna i confini, rielaborazione che parte dalla definizione e riconoscibilità della sua stessa identità. La volontà di superare i confini prestabiliti tra le varie discipline, ha portato l’artista ad ampliare i suoi progetti nello spazio. Il suo lavoro permette una molteplice stratificazione di materiali e di interpretazioni che, di volta in volta, privilegiano diverse componenti costitutive.

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