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Padiglione Israele: il progetto non visto alla Biennale va al Tel Aviv Museum of Art
Arte contemporanea
di redazione
Le porte trasparenti del Padiglione Israele ai Giardini della Biennale di Venezia del 2024 sono rimaste chiuse per tutta la durata della manifestazione, sorvegliate da un contingente di militari e forze dell’ordine. Affisso sui vetri, un manifesto recitava: «L’artista e le curatrici del padiglione israeliano inaugureranno la mostra quando verrà raggiunto un accordo di cessate il fuoco e di rilascio degli ostaggi». L’atmosfera che si respirava attorno a quel silenzio era carica di tensione e inquietudine. Un gesto di protesta, che ha trasformato il Padiglione in un simbolo del conflitto in corso e del rifiuto dell’artista Ruth Patir di essere strumentalizzata in un contesto drammatico e polarizzante come quello della guerra a Gaza. Ora, il progetto, curato da Mira Lapidot e Tamar Margalit, sarà finalmente visibile al pubblico con l’inaugurazione della mostra al Tel Aviv Museum of Art, in programma l’11 marzo 2025.

Tra le opere in esposizione, anche Keening, l’unico lavoro di Patir a essere visibile attraverso la vetrata del padiglione israeliano. Nel video compaiono figure femminili che marciano sotto il ponte Begin di Tel Aviv, portando messaggi di dolore e protesta. Le immagini di queste donne ancestrali, che richiamano le piccole e misteriose sculture in terracotta di epoca ellenistica, animate dalla tecnologia digitale, si intersecano con quelle della contemporaneità, con filmati dei vlog sui trattamenti per la fertilità del XXI secolo, evocando i temi universali della maternità, della salute e della sofferenza. Lo stesso titolo dell’oopera, Keening, rimanda a un lamento collettivo, un grido di disperazione che diventa l’eco di un conflitto che ha segnato profondamente la società israeliana.

La posizione tenuta da Patir durante la Biennale ha messo in discussione il ruolo dell’artista come testimone e voce critica in tempi di conflitto. In varie interviste, Patir aveva dichiarato che la sua opera era destinata ad aprire una riflessione sulla condizione del corpo femminile e sulla complessità dell’esperienza della maternità, attraverso la lente di un’esperienza personale: il suo percorso per la congelazione degli ovuli. Patir ha scelto di raccontare la sua esperienza intima in un contesto pubblico e internazionale, con la convinzione che «Più le cose diventano personali, più diventano universali» ma la situazione politica non gli avrebbe permesso di far emergere tali sfumature.