29 agosto 2023

Raccontare storie, restituire volti alle vittime di violenza attraverso l’arte: intervista a Silvia Morin

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Incoronate è l’ultima mostra di exibart digital gallery, che vede protagonista il lavoro di Silvia Morin. In questa intervista, l’artista ci parla della condizione di figure femminili entrate in collisione con un sistema egemonico di soprusi

Nonostante agli occhi di tutti la società sia in continua evoluzione, volta a un miglioramento nei diversi ambiti, da quello economico, a quello ambientale, fino all’ambito tecnologico con le innovative scoperte nel campo dell’intelligenza artificiale, l’ottimismo di facciata è presto scalfito dalle ombre che neanche questa epoca è riuscita a illuminare. Una di queste è sicuramente la violenza sulle donne, legittimata da una società ancora di stampo patriarcale, le cui fondamenta stanno iniziando a incrinarsi da relativamente poco tempo. I fatti di cronaca riportano drammatiche vicende e nomi che ben presto non restano che numeri, dati Istat utili a capire la portata di questo grave fenomeno, ma che spesso hanno un effetto spersonalizzante, facendo cadere nel dimenticatoio questi volti e ponendo un distacco emotivo con chi legge. Silvia Morin, artista che lavora soprattutto con la fotografia e la performance, cerca di scavare e andare a fondo queste storie, restituendo nuova dignità attraverso una soluzione visiva concertata. Con la mostra Incoronate, curata da Daniele Perra e pensata per exibart digital gallery, la piattaforma espositiva digitale dedicata ai progetti multimediali, Morin riprende e narra un avvenimento accaduto nell’aprile del 1998 a Cerignola, dove due braccianti agricole, Incoronata Solazzo e Maria Incoronata Ramella, persero la vita in seguito a un incidente stradale mentre si dirigevano ai campi di lavoro. La ricerca viene portata avanti come un’indagine che si addentra nei meandri della criminalità organizzata, che in questo caso prende l’aspetto del caporalato, radicato soprattutto in Puglia a partire dal dopoguerra. Attraverso un re-enactment che riattiva la vicenda del lontano ’98 nel contemporaneo 2023, l’artista cerca di ricucire questadistanza emotiva, addentrandosi in un laborioso processo di immedesimazione usando come mezzo di conoscenza diretta il proprio corpo. La sua ricerca si focalizza quindi sull’identità di queste donne, che rientrano all’interno del ragionamento dialettico delle dinamiche tra il maschile e il femminile e che in questo caso, a suo modo, si intrecciano con frammenti di vita personale. Abbiamo intervistato Silvia Morin per cercare di districare i fili del suo lavoro, legato a un discorso purtroppo ancora molto attuale.

Wilma, cm 60×40 stampa giclée su carta fotografica, anno 2017

Nei tuoi lavori usi il tuo corpo per narrare le storie di altre donne. Quanto c’è di tuo e quanto di loro e come scegli di chi parlare?

«La ricerca delle storie è il primo tassello del lavoro. Ho un archivio di storie che mi piacerebbe raccontare. La maggior parte sono il frutto di una ricerca che faccio, per esempio scegliendo un periodo storico come punto di partenza, altre volte le storie mi raggiungono casualmente. Ad esempio il lavoro dedicato a Lea Garofalo è nato l’anno in cui mi sono trasferita a Milano, il 2013, poiché passeggiando per il centro mi sono ritrovata al suo funerale. Non tutte le storie che studio trovano spazio nel linguaggio delle arti visive. Quello che cerco è un punto di contatto tra me e la storia che approfondisco, questo punto di contatto è un momento essenziale che è difficile spiegare con le parole. A un certo punto accade qualcosa e le nostre vite si mischiano, quando non accade abbandono il lavoro».

Nei confronti di questi fatti di cronaca ti poni come un’investigatrice privata che scava per riportare alla luce fatti dimenticati. Come si struttura la tua ricerca e in che modo dialoga con l’attualità?

«Lo studio delle fonti mi porta spesso a esplorare luoghi fisici, a cercare le tracce e accumulare informazioni e materiale utile per me a creare un contatto, una suggestione che nel tempo mi porta alla creazione dell’immagine. Questo processo può durare diversi mesi e gli stati d’animo che lo accompagnano diventano appunti che in seguito compongono la parte scritta e performativa del lavoro. Compongo sulle pareti del mio studio un puzzle di informazioni scritte e visive, colori chiave, pose, disegni, oggetti, vestiti che si risolvono in un’unica immagine fotografica finale. La scelta dei vestiti avviene sempre attraverso il mio guardaroba personale. L’unico strumento che mi permette di creare una distanza e allo stesso tempo fondere le nostre vite è la parrucca, ognuna di queste parrucche poi si carica di senso e finisce per diventare una traccia incancellabile della storia di vita che ho interpretato. È difficile utilizzare la stessa parrucca per più volte. La fase finale è l’autoscatto e per arrivare a un’immagine definitiva passano diversi giorni e molti tentativi che a volte possono anche fallire».

Prima del gelo, a Simonetta, installation view, courtesy Via Farini, 2019

Incoronate è la mostra recentemente inaugurata sulla exibart digital gallery, a cura di Daniele Perra. Puoi dirci di più su questo titolo?

«Maria Incoronata Ramella e Incoronata Solazzo erano due donne che, oltre a condividere il nome, nel 1998 hanno condiviso lo stesso destino. È la prima volta che lavoro sulla storia di due donne contemporaneamente. Nell’immagine della home page della mostra due braccia si incrociano e si fondono, braccia che caratterizzano il lavoro da loro svolto, entrambe indossano la fede nuziale sottolineando un tipo di società fondato sul matrimonio e lavoro a ogni costo. Incoronate era nel mio archivio da diversi anni in attesa di essere realizzato. Ho lavorato insieme a Daniele Perra per trovare il modo di adattarlo a una piattaforma online. Questo mi ha permesso di inserire, in parte, quello che c’è dietro al lavoro, come i disegni e la scrittura che in questo caso si fondono e restituiscono una narrazione visiva su più livelli».

Il tuo lavoro comprende anche una lettera letta dalla tua voce registrata, dove i tuoi diari personali si fondono insieme a frammenti di parole di Luisa Tarricone. Così facendo si viene a creare un monologo composto da due voci cucite insieme, puoi parlarcene?

«Su Maria Incoronata Ramella e Incoronata Solazzo ci sono pochissime fonti, non esistono nemmeno delle fotografie. Nonostante questo è un lavoro che ha aperto in me quel contatto che ricerco, forse perché l’avvenimento è successo nella mia terra di origine, la Puglia. Le lettere di Luisa Tarricone sono tratte dal libro L’armonium di Vitantonio Abbattista, pubblicazione indipendente del 1986. Entrambi sono miei prozii, lui ex bracciante agricolo diventato poi un importante sindacalista e lei maestra, entrambi attivi nel Partito Comunista: si sono battuti per le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici nel Mezzogiorno, così quelle lettere hanno veicolato l’immaginario legato all’accadimento del 1998 incrociando in maniera simbolica e corale la storia delle due donne, la storia locale personale e collettiva».

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