07 dicembre 2021

Racconti di una rivoluzione mai terminata: intervista a Sunil Gupta

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Incontro con Sunil Gupta, fotografo indiano per la prima volta in mostra a Matéria, Roma, che ci racconta il suo rapporto con le immagini, il quotidiano e le molteplici culture che lo abitano

Sunil Gupta, Emerge into Light, 2021, exhibition view, Matèria, Roma. Courtesy Matèria, Roma. Foto Roberto Apa #04

La galleria diventa una strada, una strada inconfondibilmente newyorkese. Più esattamente siamo nel West Village degli anni ’70, in Christopher Street. E come in una strada della metropoli americana in quegli anni particolarmente fertili per le rivendicazioni sessuali, incontriamo uomini e donne felici perché finalmente liberi di esprimere la propria omosessualità. Camminando all’interno dalla galleria Matèria di Roma, nell’allestimento realizzato ad hoc per ricreare la sorpresa e la gioia di quegli incontri, ci imbattiamo nei potenti ritratti in bianco e nero che il fotografo Sunil Gupta scattò negli anni in cui New York – in seguito agli scontri dello Stonewall Inn del 1969 tra comunità gay e polizia – era diventata agli occhi di tutto il mondo l’epicentro della nuova rivoluzione ed il simbolo della libertà omosessuale.

L’artista Sunil Gupta, foto di Maria Tereesa Capacchione

I ritratti di Gupta trasmettono perfettamente questa atmosfera, la gioia e la forza di una comunità che aveva lottato e vinto per i suoi diritti. Nella fierezza dei volti immortalati si percepisce la vicinanza tra i soggetti ed il fotografo che, attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica, fa entrare queste persone nella propria vita, una vita attraversata da molte culture. Nato a Delhi nel 1953, Gupta si trasferisce da ragazzo con la famiglia in Canada, a Montreal e da qui a New York, tappa fondamentale della sua evoluzione artistica. Non era scontato l’approdo né alla fotografia, né al bianco e nero: «Essendo nato e cresciuto in India, nel mio background – racconta Sunil Gupta – non c’era la fotografia, ma il cinema, l’immagine in movimento, ricca e colorata, dei film di Bollywood, non le immagini fisse e in bianco e nero della fotografia. Per questo sono sempre stato molto attratto dal colore, ma poiché amo la camera oscura, nel mio laboratorio potevo stampare solo il bianco e nero. Almeno fino a quando non sono arrivato a Londra».

Sunil Gupta, Untitled #60 from the series Christopher Street, 1976. Images courtesy the artist and Hales Gallery. © Sunil Gupta. All rights Reserved, DACS 2021

La serie Cristopher Street del 1976, esposta per la prima volta in Italia, rappresenta quindi una tappa importante del lavoro di Gupta perché – racconta l’artista – “per quanto all’università avessi avuto la mia iniziazione alle immagini in bianco e nero del cinema d’autore giapponese, francese e italiano, è stato a New York che ho incontrato il mondo della fotografia, in fermento negli anni ’60 e ’70 e incentrato sulla street photography”. Ed è qui che la vita professionale e quella privata si intrecciano e realizza i suoi primi ritratti ispirati ai temi razziali e dell’identità queer.
Continuando il percorso nella galleria, poi, entriamo in una sala che racchiude un altro lavoro di Gupta – From Here to Eternity del 1999 -, rivisitato appositamente per Matèria con una installazione site specific. Qui ritroviamo quel colore che l’artista rievoca dall’infanzia in India, a sottolineare la forza delle immagini e delle parole. Sì perché questa installazione è frutto della rivisitazione e della concettualizzazione dell’omonimo libro pubblicato nel 2020, realizzato durante il periodo di malattia causato dell’HIV in cui Gupta osserva come il suo mondo sia influenzato dal virus e come le persone che vivono con l’HIV siano state lasciate sole ad affrontare il dramma della malattia.
Sulle pareti di questa stanza ritroviamo fotografie, cartoline, lettere, ritagli di giornale accompagnati da note scritte a mano dall’artista, raccolti durante quattro decenni di carriera di fotografo ed attivista. Ne viene fuori un diario potente ed intimo delle lotte e delle vittorie dell’artista e di una vita vissuta attraversando, documentando ed analizzando i profondi cambiamenti sociali di cui è stato testimone.

Sunil Gupta, Emerge into Light, 2021, exhibition view, Matèria, Roma. Courtesy Matèria, Roma. Foto Roberto Apa #03

Gupta adesso vive e lavora a Londra, pur continuando a frequentare spesso l’India, ma il suo rapporto con il Paese d’origine è conflittuale perché – racconta – «Esporre in India non è facile. Ho un forte sostegno da parte della mia galleria di New Delhi (Vadehra), ma ci sono ancora lavori che io non posso mostrare in questo Paese senza che arrivi la polizia. Nel 2012, per esempio, ho portato a Delhi la mostra Sun City, inaugurata l’anno prima a Parigi al Centre Pompidou. Il lavoro immortala, in varie pose costruite teatralmente, gruppi di uomini in una sauna. Nonostante i soggetti fossero tutti ritratti con un telo intorno alla vita (perché in India non è consentito mostrare gli organi sessuali), poco dopo l’inaugurazione è arrivata la polizia che ha intimato di chiudere la mostra perché – mi è stato detto – quelle immagini offendevano “la cultura indiana!” Così le mie fotografie sono diventate illegali. Oggi la situazione non è migliorata. Per questo me ne sono andato, non mi sentivo libero di portare avanti il mio lavoro».
La prossima tappa di Sunil Gupta è un progetto per una organizzazione umanitaria e riguarda due ospedali inglesi, uno in cui vengono curati i malati di HIV e l’altro in cui vengono eseguite le operazioni per il cambio del sesso e sarà un lavoro che seguirà il percorso di cambiamento e di trasformazione di alcuni pazienti. Il lavoro sarà esposto a Londra a febbraio 2022.
La mostra di Gupta arriva a Roma in un momento di particolare attenzione della capitale verso la fotografia (con le mostre di Salgado, di Margaret Bourke White e di Lartigue ) e in Italia in un momento storico importante per i diritti LGBT e potrebbe essere simbolicamente interpretata come l'”emergere verso la luce” di una rivoluzione che continua da decenni.

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