17 novembre 2020

We Don’t Like Your House Either! – Monitor

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Ancora qualche giorno per visitare la mostra che ha inaugurato la nuova stagione espositiva di Monitor a Roma. La collettiva, curata da Francesco Urbano Ragazzi é stata disegnata da Tomaso De Luca

We Don't Like Your House Either!, 2020, curated by Francesco Urbano Ragazzi, installation view at Monitor, Roma

Ancora qualche giorno per visitare la mostra che ha inaugurato la nuova stagione espositiva della Galleria Monitor a Roma. La collettiva, a cura del duo Francesco Urbano Ragazzi e disegnata da Tomaso De Luca, include opere degli artisti Patrick Angus (Collezioni Fabio Cherstich e Anna Siccardi, Milano), Gerry Bibby, Tomaso De Luca, Gina Folly, Henrik Olesen, Joanna Piotrowska, A.L. Steiner e Stan VanDerBeek. “We Don’t Like Your House Either!” è il grido ribelle (e orgoglioso) di tutti gli esclusi dalle condizioni agiate dell’abitare contemporaneo e di tutti coloro che non si riconoscono nel modello sociale di vita medio: indigenti, infermi, migranti, outsider e perché no artisti stessi. È un’esclamazione che vuole risignificare il concetto di “spazio abitato” con un’accezione politica, ma anche in base al nostro modo di muoverci al suo interno e di renderlo personale. Diventa, se vogliamo, una sorta di protesta collettiva se si pensa alle circostanze di confinamento in cui tutti noi ci siamo trovati recentemente e tuttora in parte ci troviamo. L’input per questo discorso viene da due opere, presenti in Galleria, che citano alcuni artisti della scorsa generazione.

We Don’t Like Your House Either!, 2020, curated by Francesco Urbano Ragazzi, installation view at Monitor, Roma

L’opera Site di Stan VanDerBeek (1927-1984), video dell’omonima performance che Robert Morris tenne presso il Surplus Dance Theater di New York nel 1964 con il volto coperto da una maschera realizzata da Jasper Johns, richiama il concetto di alleanza tra artisti che operano con linguaggi espressivi differenti nel tentativo di compiere una ricerca simile sulla significazione dello spazio. Morris venne ripreso mentre muoveva nello spazio dei pannelli di compensato come a voler costruire un ambiente attorno ad una modella nuda sdraiata su un triclinio (Carolee Schneemann nei panni dell’Olympia di Edouard Manet). Altra fonte di importante ispirazione per gli artisti giovani e i curatori coinvolti è stato il corpus ritrovato di disegni di Patrick Angus, che ritraggono scene inedite rispetto alla scena gay newyorkese solitamente cara all’artista. Nella selezione di fogli esposti emergono piuttosto personaggi solitari, riflessivi, immersi in ambienti intimi, alle volte solo corpi appena abbozzati. Il filo conduttore tra passato e presente viene qui concretizzato nel display progettato da Tomaso De Luca, alcuni pannelli in plexiglass che inglobano i disegni di Angus e che diventano anche una crasi tra arte visiva e spazio architettonico che omaggia il concept della mostra. Le sculture dall’aspetto precario dello stesso De Luca appartenenti alla serie Gewöhnen 189; 10; 68; 20 sono qui esposte. Realizzate con materiali recuperati dall’artista nelle case in cui egli stesso ha vissuto, portano come numero di serie i rispettivi civici reali, rendendo subito coerente anche l’imprinting affettivo ma al tempo stesso decadente della mostra.

Joanna Piotrowska, Untitled, 2017, silver gelatin hand print, 95 x 120 cm. Installation view of We Don’t Like Your House Either!, 2020, curated by Francesco Urbano Ragazzi, Monitor, Roma. Courtesy Madragoa, Lisbon

Il percorso prosegue con la Magic Box di Gina Folly (Zurigo, 1983), una gabbia per addestrare scimmie qui riprodotta con l’aspetto di una misteriosa scatola abitativa per mini-umani. Nelle fotografie di Joanna Piotrowska (Varsavia, 1985) e di A.L. Steiner (Miami, 1967), vengono ritratti individui che si rintanano in micro-ambienti ricreati nelle loro case, spazi immaginifici e sicuri. Infine l’opera Grosses Kaugummi di Gerry Bibby (Melbourne, 1977) & Henrik Olesen (Esbjerg, 1967), che ci accoglie per prima ma che riusciamo a comprendere solo al termine della visita, porta ad implodere il concetto di comfort domestico, mettendolo a confronto con la durezza della strada: un pezzo di moquette è stato intriso di bitume fino a diventare simile all’asfalto e svetta all’ingresso della Galleria, a metà tra un araldo e una barriera. Qualche gomma masticata è stata attaccata sull’opera dagli artisti a mo’ di firma, ma anche di “fregio e sfregio a una casa che non ci piace nemmeno”. Si esce che, tutto sommato, non la si pensa molto diversamente da loro. La mostra prosegue seguendo lo stesso filo conduttore nella sede di Monitor a Pereto, con una personale di Tomaso De Luca visitabile fino a Gennaio 2021, dove l’artista espande la sua ricerca all’abitato suburbano, concentrandosi sui concetti di gentrificazione e isolamento privilegiato.

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