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Al Festival Corpo.Doc la performance è un linguaggio di rottura
Arti performative
In un articolo del New Yorker, datato agosto 1950, un Jackson Pollock insolitamente animato più da gratitudine che da tormento, ricorda gli anni della sua formazione con queste parole: «Ho studiato due anni all’Art Students League. A quell’epoca era docente Tom Benton, che fece molto per me. Mi diede l’unica istruzione formale che ho avuto, mi fece conoscere l’arte del Rinascimento e mi trovò un lavoro al bar della League. Gli sono enormemente riconoscente. Voleva tanto inculcarmi il suo realismo che sono passato direttamente alla pittura non-oggettiva».
Un gesto di ribellione, dunque, muove l’action-painter esistenzialista a scaraventare la tela sul pavimento e ad ingaggiare una lotta contro le forme tradizionali della pittura, la cui portata rivoluzionaria, lo stesso Pollock non poteva immaginare. Uno degli effetti collaterali della sua pittura d’azione fu proprio lo slittamento dell’interesse dall’opera al processo, dall’oggetto al soggetto della creazione artistica, il corpo dell’artista.
Il gesto di rottura messo in pratica da Pollock ne generò altri, in una reazione a catena, culminando nella completa deflagrazione della pittura nella dimensione istantanea ed impulsiva della performing art, processo complesso di cui tuttavia non fu l’unico catalizzatore.
Il corpo dell’artista, spogliato di qualsivoglia protesi pittorica, si fa esso stesso strumento d’espressione, spezzando i legami con la tradizione e obbligando a una ridefinizione del concetto stesso di artista, fruitore e opera d’arte.
La performance come linguaggio di rottura è anche il tema della 15ma edizione di CORPO.doc, festival dedicato alla performing art, organizzato da CAPPA – Centro di Archiviazione e Promozione della Performing Art in collaborazione con Art Agency. La rassegna, a cura di Ivan D’Alberto, si svolgerà il 24 e il 25 maggio presso la Fondazione La Rocca di Pescara, soffermandosi su uno degli aspetti più connotativi della performance: quello di essere un linguaggio non convenzionale, fuori dagli schemi e tante volte provocatorio.

Anche quest’anno CORPO.doc mantiene la consueta divisione in sezioni tematiche: la sezione Document, dedicata agli approfondimenti e alla riscoperta di performance realizzate in passato, prevede, ad esempio, la proiezione video Fuoco e Ceneri, azione realizzata a Milano nel 1989 da Giovanni Tufano. L’intervento rappresenta un punto di rottura netto con il passato, 30 anni di lavoro artistico arso in una notte sulle note di Sylvano Bussotti.
Per la sezione Orizzonti invece, dedicata a performance di giovani autori o ad azioni realizzate negli ultimi 20 anni, sono previsti gli interventi Love is a confession – Coming out, dell’artista e performer Mandra Stella Cerrone, una riflessione sul rapporto tra confessione, vulnerabilità e lato oscuro dell’energia maschile e Carne Tremula, del giovane autore Sirius Alexander Venus Rose, un rito di trasmutazione da uomo a lupo, nella quale l’artista, tramite mimesi, si accinge a spolpare le ossa dalla propria carne.

A costituire una novità di questa edizione è l’introduzione di una nuova sezione Stories, dedicata alla storia di questo festival, giunto alla sua ultima edizione, che chiamerà a testimonianza alcuni tra i suoi protagonisti più importanti.
Mantenere viva la memoria di un linguaggio per sua natura effimero come quello della performance è l’obiettivo del curatore Ivan D’Alberto che per l’occasione presenterà la sua ultima pubblicazione CORPO.doc | performance di origine controllata edito nel 2024 da Postmedia Book (Milano).
Il libro unisce in sé memoria e progetto, opera infatti una ricostruzione storica capillare che rende omaggio a una delle rassegne più longeve d’Italia dedicate alla performing art e al tempo stesso si fa materiale d’approfondimento per un’analisi teorico-critica delle possibili declinazioni ed evoluzioni future di questo linguaggio.
La rassegna, nata nel 2011 a Nocciano, presso il Museo delle Arti, come prosecuzione di un lavoro di ricerca incentrato sul corpo, ha senz’altro il merito di aver sperimentato connessioni inedite tra un luogo geograficamente isolato, legato alle sue “tradizioni folcloristiche” e la performing art, ampliando il suo raggio d’azione a tutto il territorio nazionale, attraverso un’attività di promozione e sensibilizzazione del pubblico al linguaggio performativo, da cui il carattere “gitano” del festival.
Senza addentrarsi nella storia del progetto, per cui si rimanda alla lettura del testo, da sottolineare invece è l’evoluzione del concetto di corpo performante rilevabile nel corso delle varie edizioni. A emergere è la dimensione collettiva e comunitaria della pratica performativa, tradotta nella scelta curatoriale di prediligere azioni corali dove il pubblico diventa performer occasionale mentre il corpo dell’artista, espressione romantica del “genio” solitario, vedi Pollock citato all’inizio, non basta più a sé stesso.
Tra i tanti progetti realizzati, due esempi, di tenore opposto ma paradigmatici, sono offerti dalla re- performance El Último Aplauso (2021), realizzata presso il cimitero comunale di Nocciano, dove l’artista Regina Josè Galindo, con una platea di quasi 100 persone, ha reso omaggio alle vittime di Covid-19 con un lungo applauso di sette minuti e la performance Desfilè mannequin per nient (2023) dell’artista Francesco Impellizzeri che, accompagnato da performer non professionisti in una sfilata istrionica, opera un rovesciamento dello sguardo, trasformando il pubblico in opera d’arte.
A chiudere la riflessione teorica di Ivan D’Alberto, alcune considerazioni sulle sfide poste alle pratiche performative dallo sviluppo della realtà virtuale, dove la progressiva smaterializzazione del corpo dell’artista e dell’azione stessa, aprono un nuovo spazio di possibilità e di interrogazione per la performing art.