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Gli ultimi giorni di “eccesso” di Hermann Nitsch: la performance a Prinzendorf
Arti performative
L’atmosfera è rilassata oggi, venerdì, 6 giugno, mentre sono in corso le prove generali della 6-tage-spiel, la festa dell’esistenza di sei giorni ideata da Hermann Nitsch già dagli inizi della sua carriera. Dal 7 al 9 giugno, però, la monumentale performance teatrale – sold out – assumerà il tono ieratico e solenne dell’opera d’arte totale voluta dal suo creatore. In quelle date, Rita Nitsch – moglie dell’azionista viennense scomparso il lunedì della Pasqua cattolica nel 2022 – metterà infatti in scena gli ultimi tre giorni dell’azione, come atto finale del lascito artistico di Nitsch. «Era il suo più grande desiderio che lo spettacolo continuasse», afferma Rita, «Nitsch ha preparato meticolosamente le partiture fino all’ultimo gesto, fino all’ultimo minuto».

Era il 1998 quando Nitsch rappresentò per la prima volta il suo Spettacolo di Sei giorni al Castello di Prinzendorf: l’intento era di conferire una dimensione monumentale al Teatro delle Orge e dei Misteri – OMT da lui stesso creato. Per sei giorni, la tenuta barocca divenne lo sfondo della sua opera d’arte totale n° 100, modellata sull’ideale wagneriano di Gesamtkunstwerk, ma del tutto originale, in quanto eccessiva, travolgente e catartica.

Un quarto di secolo dopo, la performance, oggi la n° 160, riprende vita nell’ultima veste “disegnata” da Nitsch in ogni dettaglio. L’opera completa avrebbe dovuto essere nuovamente rappresentata nel 2022 ma Hermann si ammalò gravemente. Di conseguenza, si decise di realizzare la Festa dei Sei Giorni suddivisa in tre parti, con l’obiettivo di raggiungere l’epica conclusione nella terza e ultima parte. Per Rita Nitsch, non si è trattato solo di un compito artistico, ma anche di un impegno personale: «Ne ho fatto la mia missione, lo faccio per lui».

Compagna di vita, musa e indispensabile manager culturale dell’OMT, Rita è consapevole che l’effetto completo di questo lavoro si dispiegherebbe solo in sei giorni consecutivi. «In realtà non sarebbe possibile frammentarlo: la catarsi, i poteri curativi del lavoro, si sviluppano solo nell’arco di sei giorni. Tuttavia, è meglio eseguirlo in più parti piuttosto che lasciarlo svanire del tutto».
L’opera nasce su matrice del teatro classico, ma anche del successivo, da quello di Pier Paolo Pasolini al Teatro della Crudeltà di Antonin Artaud: è una trasgressione, un’abnegazione rituale, che introduce a uno stato tra l’estasi e l’introspezione. In origine, Nitsch non voleva spettatori, ma solo attori o partecipanti. «Nella sua versione ideale, tutti sarebbero stati presenti durante le prove», precisa Rita Nitsch, prove a cui abbiamo noi assistito in questi giorni. «La sua volontà era che i partecipanti si lasciassero coinvolgere: che annusassero, assaggiassero, toccassero, rimanessero scioccati, superassero il loro stesso io». La rappresentazione dell’esistenza in tutti i suoi aspetti coinvolge infatti tutti i cinque sensi. Al centro vi è ogni aspetto della vita, dell’essere, dal più mistico al più carnale.
I tableaux vivant di Nitsch, come nel 1998, sono messi in scena nel cortile del Castello di Prinzendorf, in Austria, residenza e quinta teatrale dell’artista dai primi anni Settanta del Novecento. Nella cosiddetta “farmacia sensoriale”, odori e sapori offrono l’essenza dell’azione sinestetica. «Bisogna semplicemente partecipare», ha dichiarato infatti Nitsch, «È quasi impossibile osservare senza esserne coinvolti. A meno che non si provi disgusto per l’azione e si vada via».
In quasi sette decenni, l’arte di Nitsch è spesso stata controversa, nonostante i suoi primi sostenitori non siano mancati nemmeno in Italia, come nel caso dell’amico Giuseppe Morra, che all’artista ha dedicato un museo a Napoli, fino ad Andrea Cusumano, direttore musicale di quest’azione n° 160, come di molte altre in passato. La colonna sonora, composta sempre da Nitsch stesso, è molto importante per l’OMT e lo è in particolare in questo caso, nella più “astratta” delle azioni da lui concepite, in armonia con la musica del cosmo, con lo scorrere dell’acqua, con le risate e il canto degli uccelli.

Nel corso degli anni, la musica è diventata un elemento centrale del teatro di Nitsch: mentre le prime esibizioni erano caratterizzate da grida e rumore, un linguaggio sonoro unico si è sviluppato progressivamente, plasmando e valorizzando gli eventi. Oggi, “paesaggi sonori” orchestrali, strumenti a fiato, cori e percussioni risuonano non come sottofondo ma come mezzo espressivo fondamentale per il coinvolgimento del pubblico. «La sua musica era come i suoi dipinti: stratificata, espansiva, intensa», prosegue Rita Nitsch. «Fu influenzato da Schoenberg, Wagner, Skrjabin, Stockhausen, ma creò qualcosa di suo». Negli anni successivi, la musica di Nitsch divenne più armoniosa, quasi conciliante.
Hermann Nitsch scrisse oltre mille pagine per la partitura della sua azione più colossale, scritti meticolosi e rigorosi. Ogni azione, ogni gesto, ogni strato sonoro è annotato. Tuttavia, al posto della rigidità, c’è il movimento, al posto del controllo, una selvaggia compostezza. «Ci lavorava costantemente – ribadisce Rita – producendo sempre nuovi schizzi, nuove idee. Ne era completamente ossessionato».
L’idea per l’Azione di Sei Giorni nacque già negli anni ’50 e Rita Nitsch vi partecipò attivamente per la prima volta nel 1985. Da allora, ha accompagnato ogni sua performance. Nonostante l’utilizzo di corpi animali e il confronto con la morte abbia suscitato spesso un’aspra ostilità da parte dei detrattori di Nitsch per tutta la sua carriera. Ancora oggi la moglie Rita trova questo fatto incomprensibile. «Ogni giorno vengono uccisi centinaia di migliaia di animali, semplicemente non ce ne rendiamo conto. Nel suo Teatro delle Orge e dei Misteri mio marito ha reso visibile questo fenomeno. Voleva che le persone lo affrontassero».

Attraverso l’uscita dalla razionalità quotidiana, l’arte di Nitsch crea uno specchio dei vari istinti umani e sociali e anzi una purificazione da quelli più negativi. «Anche se l’approccio terapeutico dell’opera non era il fulcro principale, per lui era comunque importante: le persone dovevano sfogare la propria aggressività, lasciarla uscire ed emergere come esseri purificati», prosegue Rita Nitsch.
Affinché lo spettacolo possa svolgersi in questo inizio giugno, è necessario gestire logistica e finanziamenti, sottolinea infine la signora Nitsch: «Devo ospitare e dare vitto a 80 attori, organizzare l’orchestra, le riprese e le registrazioni audio e video, e garantire la sicurezza». Una nuova replica in questa forma grandiosa è quindi improbabile, almeno nell’immediato futuro.

Ciò che rimarrà indelebile nei partecipanti di questo irripetibile ultimo atto di Nitsch sarà probabilmente proprio il momento conclusivo. L’ultimo giorno, all’alba, un quartetto d’archi suonerà, le campane rintoccheranno e i partecipanti si abbracceranno. «Siamo tutti molto malinconici e molto felici allo stesso tempo», conclude Rita Nitsch: «Tristi perché sta finendo e felici perché è successo di nuovo». Struggente questo ultimo movimento: da un inizio nel sangue, rumore e sopraffazione a un abbraccio conclusivo, nella speranza che lo spettacolo continui ad avere un impatto sul mondo e sulle azioni dei suoi abitanti.