05 novembre 2019

Che Leonardo sia con te. Ma anche no. Parola di Flavio Favelli

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Pubblichiamo una riflessione dell'artista dedicata alle iniziative artistiche nate in occasione del 500esimo anno dalla morte di Leonardo. E che celebrando il genio, sminuiscono il contemporaneo

Leonardo Da Vinci Flavio Faverlli
Leonardo Da Vinci, La Gioconda

Come vuole la tradizione, tutte le volte che c’è un anniversario importante si dà all’arte contemporanea la possibilità di fare qualcosa; visto che nessuno si sogna di pensare all’arte senza un nobile motivo, si aspetta la nascita o la morte di qualcuno o qualcosa, quasi a dire che senza una scusa progettare arte in luoghi pubblici, nel paese dell’arte, appare come una forzatura, una stramberia.

Leonardo e i concorsi

Così per i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci, sommo vate che già avevamo incontrato nelle 50mila Lire, gli artisti di oggi possono creare qualcosa sotto il suo auspicio, il suo manto protettivo, la sua benedizione. Sono tanti i premi dedicati al Maestro, fra i quali il Comune di Milano che chiede un’opera “ispirata al genio di Leonardo”, ma almeno aggiungendo che la ricorrenza non è esclusivamente commemorativa. Rimane invece saldo su vecchi principi il XXXVII Premio Firenze addirittura con tre premi speciali dai titoli gonfi di retorica: “Leonardo e l’acqua, linfa vitale della terra”, “Leonardo e la mobilità” e “Leonardo genio e impresa”. Chi vince prende un Fiorino d’oro e una somma ridicola, nonostante, fra i tanti, il contributo di Regione Toscana, Confindustria Firenze, Fondazione CR Firenze e con vari supporti (compaiono molti loghi, dal Teatro Verdi alla Pizzeria Il Grullo).

Il concorso più importante però, è quello degli Aeroporti di Roma (AdR) per opere d’arte da mettere nelle hall intercontinantali di Fiumicino. Nel bando si precisa: “la realizzazione di produzioni artistiche è uno degli strumenti per incrementare la qualità: i viaggiatori potranno avere l’esperienza dell’arte da un punto di vista ravvicinato, di un’arte che si fa, in progress, mostrando come la storia dell’arte non ha fratture tra antica, moderna e contemporanea, ma è un flusso continuo di pensiero e trasformazioni”.

Questo breve passo riassume una concezione tipicamente italiana, provinciale, di un paese conservatore con un’idea dell’arte avvolta fra il mito del passato e la concretezza del prodotto da valorizzare; “un’arte che si fa” vuole dire avere una grande diffidenza dell’idea, del pensiero a cui non si attribuisce valore, ma solo il “fare” certifica l’opera. Gli artisti così devono lavorare sodo e soprattutto lo devono fare vedere (i giornali e le riviste generaliste vogliono sempre una foto dell’artista al lavoro, li fanno mettere in posa nello studio per dimostrare alla gente che l’artista si sporca le mani di colore, dipinge e scolpisce, famosa una foto anni fa su Panorama dove Giuseppe Penone era dentro un enorme tronco scavato con vestiti puliti e a mani nude, non c’era traccia, oltre che di seghe elettriche e macchine, di nessun oggetto moderno, una specie di quadretto idilliaco per rassicurare il popolo populista e l’intellighenzia severa).

E così non ci sarebbero fratture fra il passato e il presente, ma un flusso continuo come in una specie di pubblicità alla Barilla, un tempo unico da quando i mulini erano bianchi fino ad oggi; se mai ci sono state delle trasformazioni sarebbero giusto da inscrivere in un flusso continuo che scorre senza intoppi. Una faccenda al velluto, liscia come l’olio per un pubblico che fra un aereo e l’altro (“incrementare la qualità per i viaggiatori”)  non vuole trovare nulla di strambo e fra negozi duty free di pregiati pellami e abiti di lusso incontrerà un’arte senza strappi né fratture. Insomma, nonostante qualche scossone, in fondo l’arte è sempre stata se stessa e gli artisti di oggi non sono altro che i discendenti di quelli di ieri.

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Flavio Favelli

La via di Leonardo, da percorrere obbligatoriamente

Per un’opera di arte contemporanea “Leonardo e il Viaggio. Oltre i confini dell’Uomo e dello Spazio” è un titolo tronfio, reboante e bolso che presuppone un uomo (ma non sarà quello Vitruviano?) con la U maiuscola giusto a misura del committente che paga e dei suoi affari: Leonardo-volo, aereoporto-viaggio, aereo-spazio perché tutto deve essere sempre a tema e soprattutto non contrariare la gente che ha una sola certezza: quella di non sopportare qualcosa che non abbia attinenza. Nessuno deve mai potere dire un ma che c’entra? ma che vuol dire? Tutto deve avere sempre un significato facile, letterale, illustrativo, elementare. Nel capitolo del tema del concorso, dopo dieci righe di elogi a Leonardo da Vinci, ci sono vari passaggi con un linguaggio fra lo sportivo e l’ardito (nuovi limiti, nuovi traguardi) e si invita ad “un percorso volto a rivivere lo sguardo di Leonardo da Vinci sul mondo, uno sguardo di meraviglia e stupore…”. Così l’artista contemporaneo è privato della sua propria visione e autonomia e in qualche modo può solo percorre la via del Maestro, una specie di discepolo senza tante idee che deve solo dare “meraviglia e stupore”, insipide categorie che l’arte moderna ha già lasciato da un pezzo. In questa visione banale l’arte deve anche servire a qualcosa di concreto e così si introduce la faccenda del prodotto: “…sarà poi l’occasione per promuove un prodotto fortemente italiano come il marmo delle Alpi Apuane, il più apprezzato … e desiderato al mondo, con il quale le opere d’arte saranno realizzate”. Si legge poi che “ i passeggeri avranno un ruolo attivo nella fase di installazione delle opere: infatti potranno vedere dal vivo i lavori di finitura delle opere ed esprimere un voto di gradimento….”. E poi viene l’invito, il desiderio, l’ordine del committente: “ …nell’opera, al fine di rappresentare al meglio lo spirito del genio leonardesco, dovranno essere trasferiti anche i concetti di libertà, velocità, dinamismo, tecnologia, innovazione, studio puntuale e analitico del corpo umano e della natura come strumento per arrivare al superamento dei confini umani e territoriali”, un elenco da far impallidire il Manifesto del Futurismo. Ma è questo il vero capolavoro: “Le finiture dell’Opera, saranno eseguite dagli Artisti e/o i loro Atelier in un tempo di 15 giorni all’interno di aree appositamente predisposte… tale attività avverrà all’interno di appositi laboratori trasparenti predisposti da AdR, alla presenza dei passeggeri. I laboratori, essendo alla vista dei passeggeri, dovranno essere mantenuti in condizioni dignitose, dovranno essere puliti regolarmente all’interno dall’artista e non dovranno costituire elementi di degrado (sic!). Il rispetto del decoro dovrà essere mantenuto in ogni circostanza, durante ogni lavorazione e nelle fasi di inattività.” Questa specie di zoo positivista, dove il disordine e il degrado sono concetti degenerati ed evidentemente molto pericolosi per il viaggiatore modello, assomiglia ad una specie di collegio benpensante, da libro Cuore, dove l’artista è solo un alunno da indirizzare (si consiglia nella lucidatura finale “cura e attenzione”,  “acqua ossigenata per rendere più leggera la levigatura” e con più raccomandazioni sul mantenimento del decoro). Si vuole così “recuperare quell’effetto di meraviglia … e quell’atmosfera da bottega (sic!) passaggio obbligato che tutti i grandi artisti…compreso Leonardo e Verrocchio…”.

Dopo Leonardo, il buio

Questo è un bando di concorso che offende ogni autore consapevole con grandi banalità e forzature, che sviliscono il ruolo dell’artista contemporaneo, il suo lavoro, il suo pensiero e la sua ricerca e lo relegano a mero traduttore di un Made in Italy stereotipato, di una Disney col mito del Rinascimento, dove bellezza, meraviglia -condite da prodotti nazionali rinomati- sono l’unico fine di un’arte che deve solo essere decorosa ed elegante e offrire un’esperienza piacevole al viaggiatore-consumatore in un mondo senza conflitti all’insegna del benessere.

No Leonardo, No Verrocchio.

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