13 marzo 2020

Cori da stadio a porte chiuse: il Covid-19 nelle partite dell’etnomusicologia

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La decisione di disputare le partite a porte chiuse a causa dell’emergenza Covid-19, ha fatto emergere ciò che di solito non si sente, durante lo spettacolo del calcio

partita a porte chiuse per covid-19
Mestalla, Valencia, Getty Images

La pausa forzata imposta agli eventi sportivi tiene banco al pari delle misure governative di correzione delle abitudini dovute al contrasto del Covid-19: dopo le complicate decisioni della Federazione Italiana Giuoco Calcio, per qualsiasi categoria, anche la UEFA si è trovata costretta a esprimersi favorevolmente sulla possibilità di disputare le partite a porte chiuse. Dimostrando con evidenza come, alla standardizzata formula secondo cui i tifosi sarebbero l’essenza di questo sport, sia preferibile indicare nel calendario l’unica cosa da mandare avanti.

Gli scossoni in questo senso sono tanti, troppi da elencare eppure sembra evidente come queste misure siano permesse dalla possibilità di quello stesso pubblico di fruire a distanza dello stesso evento sportivo. Tra le forme di questa presunta solidarietà digitale c’era stata, quindi, la trasmissione in chiaro di tutte le partite di Lega Pro fino al 3 aprile, grazie all’invito del Ministro dello Sport e delle Politiche giovanili Vincenzo Spadafora, raccolto dalla piattaforma Eleven Sports.

Piuttosto immunizzati alla fruizione dell’evento sportivo a mezzo televisivo, la prevista assenza di tifosi sugli spalti si fa notare non solo per la mancanza di coreografie, per il dato numerico degli ingressi e degli incassi ma soprattutto per l’atmosfera sonoramente rarefatta che si respira anche a distanza: la partita di ritorno degli ottavi di Champions League disputata allo stadio Mestalla di Valencia ha conosciuto l’imporsi della musica registrata come palese sostituzione dell’altrettanto irripetibile sostegno del tifo organizzato, rendendo manifesta l’urgenza di riempire il vuoto dello stadio attraverso il suono dei cori riprodotti.

Il tema della registrazione della musica su scala etnografica pertiene sensibilmente alla disciplina etnomusicologica che, lungo tutto la spina del secolo scorso, ha proposto all’attenzione dei rigorosi studi musicali un’alternativa possibile come già presente nella cultura di alcune comunità, ricercando proprio nella cornice del rito, del lavoro, della festa, quei momenti la cui differenza specifica sarebbe soprattutto nella trasmissione orale della sua diffusione. I cori da stadio sembrano appartenere a questa stessa logica, dando nuova veste a quei canti popolari la cui memoria è forse conservata nei Dischi del sole, permettendo altresì una possibile lettura degli oggetti comunicativi orali-tradizionali formalizzati della musica anche attraverso il riconoscimento comparativo dei vari sistemi.

Douglas Gordon, Philippe Parreno, Zidane a 21st century portrait. Photo Martin Runeborg

A tal proposito si potrebbe riferire di certa filiazione della musica leggera nelle scelte di repertorio degli stessi gruppi come per il revival di una hit dei Righeira pronta a sostituire ben altri storici motivi. Certo, non ci troviamo di fronte ai livelli decisamente suspensivi del tennis né c’è un parquet a fare da rimbalzo alle sneakers dei cestisti. Nel calcio ascoltiamo ripetutamente imprecazioni, indicazioni, contrasti, più spesso è il fischietto dell’arbitro a spezzare il ritmo di gioco in ossequio alle sue regole. Ebbene, la messa in onda delle porte chiuse trasporta a distanza anche questi suoni, un tempo dominio del solo rettangolo verde, altre volte oggetto proprio di una traduzione filmica come nel caso specifico di Zidane: A 21st Century Portrait, opera del 2006 di Douglas Gordon e Philippe Parreno.

A rovinare la ripresa sonora di una partita di calcio giocato resterebbe solo il filo voco-centrico del racconto del cronista di turno, con la sapiente regia pronta a regolare i volumi a tutto vantaggio della comprensibilità del testo, specie nella condizione radiofonica. Sarebbe limitante, insomma, ascrivere alla sola presenza del tifo organizzato la produzione sonora che si lega all’evento calcistico come mostrato dalla presenza dello speaker di turno, dalla musica di circostanza pronta a riempire i vuoti del calcio non giocato o dal triplice fischio arbitrale che apre e chiude ogni volta il gioco.

Un portato decisivo degli studi etnomusicologici sarebbe da recepire proprio nella ricerca sul campo, far risalire all’indietro il telefono senza fili dell’oralità per poi rintracciarne le costanti, comparando casi diversi come possibili proprio nell’ascolto e nell’analisi degli archivi poderosamente venuti fuori registrando i suoni prima, i suoni e le immagini poi, secondo una indicazione che si deve allo sguardo deciso di Diego Carpitella.

La riproduzione del pubblico attraverso i cori fantasma permette insomma una riflessione ulteriore sul mondo del calcio, spesso enfatizzato nella sua componente visiva e poco considerato per la sua pur presente veste sonora. Per questo motivo, una alleanza tra studi etnomusicologici e discipline dello spettacolo può ribadire con forza la storicità di uno sport propriamente novecentesco come il pallone, laddove misure straordinarie ne rendono ancora più manifeste le ricorrenze ordinarie. E pensare che spesso la chiusura degli stadi viene invocata proprio come estrema ratio per rimediare ai cori razzisti!

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