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Fotografia vs ritratto pittorico: breve storia del ritratto, al di là del soggetto
Attualità
di Marco Eugenio Di Giandomenico
In tema di rapporti tra fotografia e ritratto pittorico si sono susseguite molteplici teorizzazioni in più di un secolo e mezzo, in linea con le evoluzioni estetiche e semiologiche che hanno in molte occasioni stravolto le prospettive di analisi e gli approcci metodologici, naufragando spesso in correnti di pensiero ovvero artistiche, a seconda dell’angolo di visuale.
In questa sede è interessante esaminare un particolare rapporto che può instaurarsi tra fotografia e pittura, vale a dire la funzione e il ruolo degli scatti fotografici nel processo realizzativo del ritratto pittorico. Tale pratica, ovvero realizzare delle pellicole fotografiche per ritrarre il soggetto e utilizzarle come strumento visivo per la produzione del ritratto pittorico, si è andata via via affermando nel secolo scorso ed è ampiamente diffusa nel terzo millennio.
Il ritratto, come genere pittorico e soprattutto nella concezione contemporanea, ha una germinazione lunga e sofferta. Nella sua Storia naturale (Naturalis Historia) del I secolo d.C., Plinio il Vecchio afferma che il ritratto nel mondo greco e romano ha tre funzioni principali: commemorativa, celebrativa e didattica.
Secondo i suggestivi miti pliniani sulla circoscrizione dell’ombra (circumductio umbrae), riesumati nella coscienza collettiva durante il Rinascimento negli scritti di Leon Battista Alberti, l’arte nasce dall’originario impulso dell’uomo di tracciare i contorni dell’ombra di un corpo proiettata su un muro, con un’enfasi, quindi, dei rapporti di puntuale identificazione tra figura reale e figura ritratta.

Nel Quattrocento e nel Cinquecento la concezione del ritratto si evolve e si fa avanti l’istanza di un artista che riesca a trovare il giusto equilibrio tra l’exemplar (modello da ritrarre) e l’ingenium (l’intuizione che permette di superare la “conoscenza” che può derivare dal semplice dato fenomenico). Solo a partire dal Seicento il ritratto comincia ad assurgere a genere pittorico autonomo, anche se viene considerato di livello inferiore, ad esempio, rispetto alla “pittura di storia” (con soggetti quali episodi dell’antichità, testi biblici, scene simboliche o mitologiche) ovvero alla pittura di nature morte o di paesaggio.
Lentamente il ritratto abbandona la sua matrice per così dire realistica, a favore di una composizione più incentrata sull’astrazione e sui rapporti di somiglianza, anche se sempre più in chiave migliorativa (spesso su richiesta esplicita dei committenti) fino ad arrivare al manifesto futurista del 1911 secondo cui «il ritratto per essere un’opera d’arte non può né deve assomigliare al suo modello!».
Tale impostazione rispecchia le teorizzazioni artistiche e filosofiche a cavallo tra il XIX e il XX secolo secondo cui, stante l’intenzione narrativa o illustrativa pre-pittorica (nel caso in questione ritrarre una persona), il fatto pittorico si concretizza grazie al caos (caos-germe, diagramma o punto grigio centrato, per usare espressioni care ad artisti del calibro di Cézanne, Bacon, Klee), che fa piazza pulita di tutto, di ogni cliché preesistente. In tal senso, l’immagine contenuta nel dipinto rivela l’invisibile del visibile, e il rapporto di somiglianza con il soggetto ritratto non è legato a nessuno sforzo narrativo, emergendo (eventualmente) mirabilmente come output creativo. In tal senso è comprensibile la statuizione futurista che nega la somiglianza in modo perentorio, estremizzando un concetto estetico che individua l’immagine del dipinto come nuova “presenza”, anziché come “rappresentazione”.
Su tale scia, volendo continuare a estremizzare, il rapporto dell’artista con il soggetto da ritrarre dovrebbe concernere solo piccoli momenti di posa fisica e/o pochi scatti fotografici, in quanto, definita la narrazione o l’illustrazione che innesca il processo, con il “caos” tutto viene annullato, si sprigionano delle forze che de-formano. L’immagine creata è un medium di una realtà invisibile, è appunto un quid-forma che può non avere alcuna valenza rappresentativa della realtà visibile.
In tema di arte contemporanea, un esempio interessante è la produzione pittorica di Gérard Fromanger (1939-2021) che sembrerebbe contraddire gli assunti fin qui esposti. Egli gira per le strade e nei negozi insieme a un fotoreporter, che realizza circa una decina di scatti per ogni scena o situazione. Tutte le foto sono in bianco e nero e volontariamente prive di valore estetico.
Di tale decina Fromanger sceglie una sola foto sulla base del colore dominante evocato dalla scena ritratta. Proietta la foto sulla tela. Comincia a dipingere una prima gamma di luce ascendente ottenuta dalla mescolanza variabile di bianco e del colore evocato dallo scatto (ad esempio, il viola), cui segue la gamma dei colori.

Lo scatto fotografico, nel processo realizzativo del ritratto, si colloca assolutamente in un momento pre-pittorico. Non è un elemento artistico, la sua proiezione sulla tela diventa un modo per distruggerlo, per annullare il cliché. Il fatto pittorico inizia con il totale annullamento della foto a vantaggio della gamma di luce ascendente e della gamma dei colori. I suoi quadri non hanno l’obbligo di raffigurare e raccontare nulla. Sono presentate immagini conseguenti a un processo creativo e realizzativo dove tutti i cliché preesistenti sono annullati. La forma che Fromanger ha intenzione di produrre, stigmatizzata/evocata nello/dallo scatto fotografico (momento pre-pittorico), viene attraversata da una catastrofe (diagramma) che distrugge il cliché associato a tale forma, offuscandola/deformandola.
L’esperienza di Fromanger, che trova delle evidenti corrispondenze in alcuni autori della Pop art, è pregnante per esaminare situazioni differenti, laddove la fotografia diventa elemento base del fatto del ritratto pittorico. In tale contesto ci troveremmo senz’altro al di fuori del perimetro della bella arte, naufragando nella decorazione.
Al di là della tecnica pittorica utilizzata e dei suoi virtuosismi, allorché il rapporto di somiglianza tra soggetto reale e soggetto ritratto diventa driver portante della composizione pittorica, ricadiamo nel mare della narrazione e dell’illustrazione da parte dell’artista, con la conseguente probabile negazione di qualunque possibilità di captazione dell’invisibile nel visibile.