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Credevate che l’annosa querelle tra Parigi e Jeff Koons sull’affaire dei Tulipani si fosse felicemente chiusa con l’allestimento dell’opera nel giardino del Petit Palais? Vi sbagliavate e, in fondo, era prevedibile che i cugini d’oltralpe non si arrendessero così facilmente, ringraziando per un omaggio poco gradito. E così, a pochi giorni dalla presentazione ufficiale della grande opera, 12 metri di altezza per 35 tonnellate, si levano aspre critiche estetiche. «Più che tulipani sembrano undici ani colorati montati su steli», ha dichiarato senza mezzi termini Yves Michaud, commentando quello che, nelle intenzioni di Koons, doveva essere un memoriale per le vittime degli attacchi terroristici del novembre 2015. Una boutade autorevole, visto che Michaud, oltre a essere uno dei filosofi più influenti in Francia, è stato anche direttore della École nationale supérieure des Beaux-Art, dal 1989 al 1997.
Nel suo sferzante articolo, Michaud ha scritto espressamente di «opera pornografica», citando anche la conoscenza di Koons in materia e i suoi trascorsi con Ilona Staller. Ma il filosofo va oltre, richiamando ancora «l’irresponsabile massacro del paesaggio urbano parigini da parte delle autorità, sia che si tratti del Comune che del Ministero della Cultura». Proprio sul luogo in cui allestire l’opera si era accesa la discussione negli anni scorso e, a un certo punto, sembrava che dovesse saltare tutto. Koons aveva indicato lo spiazzo antistante il Palais de Tokyo, gli intellettuali francesi avevano risposto «puoi anche tenerteli i tuoi fiori, ai nostri lutti ci pensiamo noi», argomentando con una lunga e accorata lettera pubblica. Poi il compromesso fu trovato, anche grazie alla mediazione di figure politiche di primo piano, come l’ambasciatore degli Stati Uniti.
Ma a parte la questione specifica dei Tulips e gli accenti coloriti, la questione sollevata da Michaud è avvincente e non riguarda solo la capitale francese: «Da decenni ormai è consuetudine trasformare Parigi in una discarica per ogni tipo di oggetto, tra chioschi per il cibo, luci e segnali di ogni genere per veicoli e turisti, pensiline, insegne pubblicitarie. Questa enorme proliferazione di cose, cose e cose, sta inquinando orribilmente il paesaggio. Non solo in termini visivi: la città è diventata meno frequentabile per il camminatore», e sappiamo quanto ci tengano all’etica del flâneur, da quelle parti. «Ed ecco che viene aggiunta l’enorme opera di Koons. Come se i giardini non fossero stati vittime della stessa trasformazione in discariche, con parchi giochi, panchine pittoresche, aree sportive, cabine per giardinieri e chioschi informativi ecologico-turistici».
Non si tratta di un unicum, anche le nostre antichissime città hanno subito rilevanti trasformazioni, come del resto è normale – e in alcuni casi anche salubre – amministrazione, nell’ambito di questi organismi urbani tremendamente complessi. La dislocazione delle risorse e lo spostamento delle funzioni in diverse aree fa parte del consueto decorso dei processi storici e sociali. Ma, di certo, un po’ di buon gusto e di sano minimalismo nel pensare alla forma e alla quantità degli arredi urbani non guasterebbe.