31 marzo 2020

Il disastro del lavoro culturale in Italia: la lettera degli Assessori al Governo

di

Gli Assessori alla Cultura di alcune importanti città italiane lanciano una petizione per far dichiarare al Governo lo stato di crisi per l'intero settore. E per prendere provvedimenti immediati

Gli assessori alla cultura di alcune delle città italiane più attive nel settore hanno lanciato una lettera rivolta al Governo e alle Regioni, per sostenere tutti i lavoratori e gli enti impegnati nell’ambito. A promuovere la petizione, Luca Bergamo, Vicesindaco con delega alla Crescita Culturale di Roma, Adham Darawsha, Assessore del Comune di Palermo, Filippo Del Corno, Assessore alla Cultura di Milano, Eleonora de  Majo, Assessora alla Cultura e al Turismo di Napoli, Barbara Grosso, Assessora alle Politiche Culturali, dell’Istruzione, per i Giovani di Genova, Francesca Paola Leon, Assessora alla Cultura di Torino, Matteo Lepore, Assessore alla Cultura e al Turismo di Bologna, Paola Mar, Assessore al Turismo, Toponomastica, Decentramento e Municipalità di Venezia, Paolo Marasca, Assessore Cultura, Turismo e Politiche Giovanili di Ancona, Ines Pierucci, Assessora alle Politiche Culturali e Turistiche di Bari, Paola Piroddi, Assessora Cultura, Spettacolo, Verde Pubblico e Benessere Animale di Cagliari, Tommaso Sacchi, Assessore alla Cultura di Firenze. L’argomento è stato al centro di una videoconferenza con il Ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, svoltasi ieri.

«La sospensione totale delle attività culturali è stata la prima delle misure di riduzione della socialità, prima nelle regioni settentrionali e poi in tutta Italia. Ora sono indispensabili e non rinviabili misure che ne assorbano gli impatti», si legge nel testo della lettera. In effetti, i primi a risentire degli effetti negativi del lockdown sono stati proprio i tanti lavoratori della cultura, dell’arte, dello spettacolo e del turismo, settori tanto trainanti, nell’economia dell’intera nazione, quanto poco o per nulla tutelati.

«La produzione e i servizi legati allo spettacolo dal vivo, alle arti visive, al cinema, all’editoria, ai musei, alle biblioteche e agli archivi, all’offerta di esperienze culturali in generale, si regge largamente su lavoratori con poche garanzie e che, in un momento come quello che stiamo vivendo, rischiano tutto. Sono donne e uomini che vivono spesso di un’economia fatta di passione ma con piccolissimi margini di sopravvivenza, di rischio costante. Artisti e operatori con contratti atipici, partite IVA, freelance, prestazione occasionale o a giornata, e così via. Talvolta riuniti in associazioni, cooperative, piccole imprese, reti e anche naturalmente lavoratori dipendenti, spesso a termine», continua la lettera. Fotografando, così, un panorama disastrato, le cui cause, però, sono da rintracciare in anni di abbandono, durante i quali l’indotto economico è evidentemente cresciuto, come dimostrano i numeri esorbitanti annunciati in pompa magna dal Mibact, ma in maniera inversamente proporzionale alla cura delle condizioni di lavoro. Come del resto dimostrano i primi risultati del nostro sondaggio sul “Lavoro ai tempi del Covid-19”, che pubblicheremo nei prossimi giorni (qui il link per partecipare).

Nella lettera, pubblicata dieci giorni fa e firmata, a oggi, da più di 2300 persone, tra professionisti, artisti, attori, cantanti, direttori, curatori, autori, giornalisti, tra i quali Stefano Accorsi, Pupi Avati, Gianfranco Baruchello, Stefano Boeri, Roberto Bolle, Achille Bonito Oliva, Massimo Bray, Michelangelo Pistoletto, Paolo Sorrentino, si chiede di «dichiarare lo stato di crisi per l’intero settore culturale pubblico e privato; estendere tutti gli strumenti disponibili di tutela dell’occupazione previsti nello stato di crisi a tutte le categorie di lavoratori, a prescindere dalle tipologie di contratto di lavoro; estendere, anche temporaneamente per i prossimi mesi, l’accesso al reddito di cittadinanza ad operatori – con o senza partita IVA – del settore culturale; introdurre strumenti di tutela nei confronti dei lavoratori di un settore dove il precariato è strutturale; intervenire sul sistema bancario per la sospensione temporanea dei pagamenti del credito a breve e medio termine ed estensione dei termini di scadenza per una durata pari a quella della sospensione; ampliare la platea di beneficiari del FUS e considerare il periodo di interruzione dell’attività dovuta alle disposizioni dello Stato con criteri che non generino una riduzione dei contributi assegnati, nonché destinare risorse straordinarie per compensare la caduta delle entrate proprie di enti, istituzioni e organizzazioni; emanare norme specifiche per autorizzare gli enti locali ad operare in deroga a norme generali e specifiche concernenti l’erogazione di contributi alle attività culturali e la riscossione di oneri e imposte locali».

La petizione di Federculture

A far sentire la sua voce anche Federculture. L’associazione nazionale degli enti, delle istituzioni e delle aziende operanti nel campo delle politiche e delle attività culturali, ha infatti lanciato una petizione rivolta al Governo, chiedendo l’istituzione di un fondo nazionale «per far vivere la cultura italiana oltre la crisi Coronavirus», raccogliendo l’idea proposta da Pierluigi Battista sulle colonne del Corriere della Sera. Si tratterebbe di uno «strumento d’investimento, garantito dallo Stato, aperto al contributo di tutti i cittadini che vogliano sostenere il settore culturale nell’attuale fase di emergenza e crisi di liquidità, conseguente alla chiusura generalizzata cui musei, cinema, teatri, librerie sono costretti». Per il momento, la petizione è stata firmata da più di 350 persone.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui