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La riapertura dei musei e degli altri luoghi di cultura non s’ha da fare. Sul punto rimane la decisione assunta dal presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, attraverso il Dpcm dello scorso 3 novembre, che ha appena ricevuto il timbro di legittimità del Tribunale amministrativo del Lazio. Non ce l’ha fatta, quindi, Vittorio Sgarbi, a sovvertire la linea governativa che ha decretato la sparizione dei luoghi di cultura nella Penisola, attraverso la sua personale battaglia legale che lo ha visto ricorrere al Tar in difesa del diritto alla cultura. Il critico d’arte, nei giorni scorsi, aveva presentato un ricorso, supportato e difeso dagli avvocati Gino Giuliano e Carlo Rienzi, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Salute e Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e nei confronti Museo Palazzo Doebbing, per l’annullamento – previa sospensione dell’efficacia – del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dello scorso 3 novembre 2020 recante ulteriori disposizioni attuative relative alle “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19” già vigenti, con il quale (all’art. 1, comma 9, lettera r), si prevede la sospensione di “mostre e i servizi di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura” allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus sull’intero territorio nazionale. Anche “limitatamente ai musei della Regione Lazio tra i quali i musei del Comune di Sutri”, di cui il critico d’arte è anche sindaco.

Il ricorso é irragionevole. Secondo il tribunale
Un’iniziativa legale che ha costretto la Presidenza del Consiglio, insieme agli altri ministeri coinvolti, a costituirsi in giudizio in difesa delle proprie decisioni. Anche se i giudici della prima sezione del Tribunale amministrativo del Lazio hanno stroncato sul nascere qualunque possibile argomentazione, ritenendo di “non accogliere l’istanza di parte ricorrente di essere audita personalmente alla camera di consiglio, non risultando necessario acquisire ulteriori elementi di fatto rispetto a quelli esposti dai difensori della parte stessa”. Peccato, verrebbe da dire, perché di certo Sgarbi non si sarebbe risparmiato nella sua arringa difensiva qualora gli fosse stato concesso uno spazio in tribunale, regalandoci con tutta probabilità uno dei suoi tipici “show”, magari anche particolarmente condito, ma in difesa della cultura. Invece no. Non gli è stata data la possibilità, come pure è stato respinto il suo ricorso, in quanto secondo il tribunale capitolino non appare “manifestamente irragionevole” la decisione dell’Autorità di comprimere per un periodo di tempo circoscritto un interesse certamente significativo per il benessere individuale e della collettività, quale è quello alla fruizione dei musei e degli altri luoghi di cultura, in ragione della particolare gravità della emergenza sanitaria in atto, nell’ambito e nei limiti del sindacato consentito al giudice amministrativo. Ritenuto di dover considerare prevalente l’esigenza sottostante all’adozione delle misure impugnate di tutelare il diritto alla salute, a seguito della recrudescenza del contagio epidemiologico, attraverso una significativa riduzione delle attività da svolgersi in presenza.
Non c’è spazio, quindi, per la cultura. Almeno, non nel tempo del Covid-19. Anche se, stando ai fatti, c’è spazio per lo shopping, per farsi una lampada o un trattamento estetico di qualunque tipo o per andare dal parrucchiere. Ma guai a visitare un museo. Neppure a distanza. Questa è l’Italia e questa è la (ben più che discutibile) legge.
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La mazzata finale è dovuta alle lauree 3+2. Esse furono fatte per aumentare la percentuale dei laureati italiani rispetto a quelli di altri paesi europei! Ciò ha distorto tutto il sistema scolastico, provocando una sovrabbondanza di laureati non preparati in tutte le discipline.
Quindi più laureati ma mal preparati ricavando più soldi dalle tasse per le varie Università!! Certe sedi hanno saputo utilizzarli, un esempio sede di Padova: ogni ricercatore riceveva € 1000,00 per le spese minute ( telefono, fotocopie e via dicendo), la sede di Modena non riceveva nulla nemmeno per le spese minute. Tali sedi che facevano aumentare il numero degli studenti a discredito della qualità del laureato dovrebbero essere penalizzate.