21 maggio 2020

Se la Biennale salta, l’arte può attendere?

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Il posticipo al 2022 della Mostra Internazionale d'Arte di Venezia, la Biennale, che sarà curata da Cecilia Alemani, apre una domanda: può l'evoluzione dell'arte fermarsi? E come si potrà risponderne sul piano del progetto?

La Biennale di Venezia
La Biennale di Venezia

È stata posticipata al 2022 la Mostra Internazionale d’Arte di Venezia, la Biennale a cura di Cecilia Alemani, prevista nel 2021. Allo scoppio della seconda Guerra Mondiale l’avevano annullata. È corretto gestire la Biennale come la mostra su Raffaello? Come una mostra antologica e già montata che aspetta solo la riapertura delle Scuderie del Quirinale?

La Biennale Arte 2022 diventa “triennale”

Da evento bi-annuale, l’edizione del 2022 della Biennale d’arte di Venezia sarà in via eccezionale una mostra triennale. Che cambiamenti implica la posticipazione di questa big production dell’arte?

Per altro, con l’aumento della durata aumentano anche i costi della mostra. La curatrice Cecilia Alemani e il suo staff vedranno verosimilmente il loro incarico prorogato con conseguente proroga del loro compenso.

Per tutte queste ragioni, rimandare di un anno una mostra esclusiva, di per sé già imponente, vuol dire amplificarne il calibro. Se la curatrice interpreterà l’aumento temporale (ed economico) in maniera quantitativa, avremmo una mostra con più artisti, o più opere, o più location etc., ma non competitiva poiché i risultati scientifici saranno scaduti o nulli.

Se lo interpreterà invece in maniera qualitativa, avremo la stessa mostra (con il progetto previsto in partenza, che ancora non è stato dichiarato) ma dagli obiettivi scientifici ridefiniti. Mi spiego: se uno scienziato in competizione calcola di poter costruire e attivare la prima macchina capace in due anni (il tempo previsto per una Biennale) di provare l’esistenza del gravitone, assumerebbe la fondazione Biennale di Venezia – lo Stato italiano – di rimandare la scoperta di un anno? Cioè di ritardare il progresso? Di lasciare che lo scopra un altro scienziato, o che la scoperta venga ufficializzata in un’altra gara, in un altro Paese?

alemani biennale venezia
Cecilia Alemani, nel 2017, quando fu curatrice del padiglione Italia alla Biennale di Venezia. Foto IPP/M. Angeles Salvador

La ricerca (ovvero quello che c’è di scientifico nell’arte) non è cristallizzabile, è un prodotto con una scadenza, è arte cioè che punta a dei risultati e che viene modificata non a seconda dei capricci del mercato o dell’amministrazione. Evolve a seconda dei progressi scientifici dell’arte.

Nelle mostre mainstream, come la Biennale di Venezia, sottomesse alle regole del mercato, può sussistere l’arte di ricerca? A questi livelli industriali della produzione artistica, è ancora giusto/possibile distinguere tra entertainment e ricerca?

A livelli industriali, non si distingue più tra arte di ricerca e arte d’intrattenimento. Anzi la ricerca se identificata e sostenuta, moltiplica la potenza dell’intrattenimento.

Ma finora, e durante tutta la Presidenza Baratta, la Biennale di Venezia ha prodotto solo mostre di entertainment. Significa potenziare la Biennale solo quantitativamente non qualitativamente: per vent’anni La Biennale di Venezia ha puntato non ad arricchirne i contenuti, né a favorire il progresso scientifico dell’arte ma ad allargarne il pubblico, a creare un impatto mediatico e pubblicitario, e a protrarne la durata per massimizzare gli incassi di biglietteria.

Alex Da Corte, Rubber Pencil Devil, 2018
58ma Biennale di Venezia. Alex Da Corte, Rubber Pencil Devil, 2018

L’arte di ricerca può adattarsi ai format mainstream?

La vera domanda è se – come nell’industria del cinema – gli “Studios” dell’arte (grandi musei e altre istituzioni come la Biennale di Venezia) sono ancora capaci di cacciare teste. Solo così il mainstream può essere catalizzatore della ricerca su larga scala. Cioè l’art industry deve riconoscere gli artisti indipendenti che fanno avanzare la ricerca artistica e incaricarli di produrre arte su larga scala. Questo sistema equivale nel mondo del cinema alla volta in cui la Warner ha commissionato una trilogia di Batman a Chris Nolan: a trasferire cioè il savoir-faire del regista inglese (e la sua squadra), la sua filosofia, la sua visione, nella big production. E da allora Batman non sarebbe mai più stato come prima: dimenticato il supereroe da fumetto, ora il personaggio è più complesso, più realistico e più politico, non è più una caricatura. È solo grazie ai contenuti di Nolan che Batman è passato ad un altro livello ma è grazie alla Warner che Batman è un modello che evolve con il tempo.

Ugualmente quelli che incarnavano la bellezza, le dive e i divi del grande cinema hollywoodiano, erano ogni volta la proiezione di una società nuova, un misto di attitudini, emancipazione, carattere, etc. Insomma modelli culturali che evolvevano con il passare delle epoche, progredivano come progrediva la società. Anche la bellezza è culturale, evolve come evolve la scienza, così nel cinema passiamo da Paulette Goddard ad Ava Gardner a Marilyn Monroe.

Per la Biennale di Venezia, e per tutto il sistema dell’arte, la bellezza è però indefinita. Anzi è proprio abolita. Il problema dell’arte oggi è che, per preservare interessi mutevoli come la Borsa, non ha ancora raggiunto una struttura definita e chiara.

L’industria del cinema è più avanzata dell’industria dell’arte e così è apparso necessario al governo italiano non rimandare la Biennale Cinema prevista in autunno; i film hanno vincoli distributivi, cosa che dovrebbero avere anche le opere d’arte.

Non sappiamo quali siano i format (i modelli culturali tipo Batman) dell’arte, o meglio: il sistema dell’arte non ha saputo né voluto finora identificarli e dichiararli come tali. E quindi sono trattati alla rinfusa contenuti e contenitori.

I contenitori conferiscono la forma-spettacolo di grande portata ad una visione artistica finora prodotta solo su piccola scala.

Liu Wei, Microworld, 2018 opera esposta alla 58ª Biennale di Arti Visive di Venezia May You Live in Interesting Times
Liu Wei, Microworld, 2018 opera esposta alla 58ma Biennale Arte di Venezia, May You Live in Interesting Times

Un contenitore universale e atemporale dell’art industry potrebbe essere il ready made di Duchamp (anche se nell’industria dell’arte si sta ancora come il cinema all’era del muto). Duchamp che a questo punto dovrebbe essere storicizzato come inventore di un format o meglio come il formattatore dell’objet-trouvé prima collaudato a livello sperimentale dalla soprannominata Baronessa Dada, Elsa von Freytag-Loringhoven, e in seguito industrializzato dalla Hollywood dell’arte (grandi gallerie e istituzioni americane). Da allora questi hanno incaricato vari artisti, da Oldenburg a Jeff Koons, di ridare nuova linfa al format ready made seguendo il cambiamento di epoche.

La Biennale di Venezia è storicamente la prima dei grandi Studios dell’arte mondiale, ma senza una chiara definizione delle modalità di produzione, continua a produrre arte ad un livello non scientifico, quindi non politico e, cosa ancora più grave, non redditizio.

  • Cecilia Alemani ha dichiarato ad ARTnews che non intenderà essere ricordata come la direttrice della Biennale del Coronavirus, ma che se, come accade nei periodi di crisi, vi sarà un cambiamento nella produzione artistica, provare a catturare i nuovi fenomeni sarà un obiettivo della sua mostra. Per l’intervista completa vi rimandiamo qui.

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