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La forza memorabile del palco vuoto e altre storie, al Festival di Sanremo 2021
Attualità
Anche a questo Festival di Sanremo 2021 c’è Loredana Bertè con le farfalle tra i capelli blu – un po’ Bjork ma dopo qualche caffè di troppo –, ci sono le giacchette a vari carati di brillantitudine di un Amadeus a suo agio e sempre più Pippo Baudo delle nuove generazioni. C’è l’ospite atteso con un po’ di timore reverenziale per i suoi atteggiamenti sopra le righe, anche se Zlatan Ibrahimovic marcato così stretto tra le maglie di un canovaccio, seppur ben cucito addosso al suo ruolo, non lo si vede nemmeno nei derby più infuocati. C’è il filone comico di Fiorello, al quale però, nonostante i tentativi di ironizzarci su, buttandola sul politico delle “poltrone” – che è un po’ come sparare sulla croce rossa – manca quel sale che solo il ritmo scandito dalle interlocuzioni del pubblico riesce ad aggiungere. Perché, come si sapeva, il pubblico non c’è e la sua assenza è stata tanto visivamente ingombrante quanto storicamente significativa.
Mancano quelle riprese ariose, barocche e tipicamente RAI delle donne e degli uomini in rispettabili ghingheri tra le fila serrate dell’Ariston. La telecamera in volo radente sui volti sorridenti e beati, luminosi e un tantino rintronati di chi è lì per assistere a uno spettacolo rutilante. I teatri sono chiusi da un anno ed è già un miracolo italiano aver potuto tagliare il nastro di questa 71ma edizione ventiventuno. Il focus, allora, è tutto sul palco, che è più concentrato nella scansione degli spazi e monta una serie di effetti luminosi dal sentore techno-spaziale, quasi come se fosse il corridoio di un’astronave, più quello tranquillizzante di una Enterprise che quello claustrofobico di una Nostromo, chiaramente.
Ma il Festival di Sanremo è tutt’altro che una camera di tenuta stagna – diremmo, piuttosto, di decompressione, per rimanere nella metafora spaziale – e in fondo, oltre alla musica in sé, è la sua permeabilità al contemporaneo che, fin dalle prime edizioni, spinge a fondo la leva della curiosità. Il linguaggio universale della musica certamente facilita la diffusione ma, all’interno del Festival, succedono anche tante altre cose ed è proprio questo altro a fare da filtro al sentimento comune del tempo, dell’anno. La domanda, insomma, è sempre quella, un po’ malinconica e profondamente umana: “Come ci rivediamo, a distanza di un anno?”. La risposta, in questo caso, cioè dal 2020 al 2021, non poteva essere che il palco rimasto vuoto e proprio in questa assenza risiederà la sua forza memorabile.
D’altra parte, è rimasto l’unico spettacolo condiviso dal Paese in maniera trasversale, da Alessia Bonari, l’infermiera il cui volto è diventato il simbolo della lotta al Covid, ad Achille Lauro che piange sangue e per poco non ci si affoga, come un Marilyn Manson romano, cattolico e apostolico: «Sarò sessualmente tutto. Genericamente niente. Sarò esagerazione, teatralità, disinibizione. Sarò peccato e peccatore». Chapeau, di piume ovviamente.
Nelle stesse ore in cui i cantanti si sono esibiti sul palco – 13 big, dei quali puntualmente erano snocciolati i numeri delle visualizzazioni su Youtube – veniva pubblicato un nuovo DPCM made in Draghi che, in sostanza, estende le misure già previste fino al 6 aprile, quindi pasqua e pasquetta comprese: divieto di spostamenti tra regioni confermato e anche coprifuoco ma, per quest’ultimo, è previsto un tavolo tecnico. Confermata anche la possibilità di riapertura dei teatri e dei cinema, oltre che dei musei anche nei giorni festivi e prefestivi, a partire dal 27 marzo.
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