30 luglio 2020

La lettera di Halilaj: perché vado via dalla Biennale di Belgrado

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La Biennale di Belgrado omette la nazionalità kosovara e Petrit Halilaj ritira la sua opera: in una lettera aperta spiega le sue motivazioni

Petrit Halilaj
Petrit Halilaj

Petrit Halilaj ha annunciato ufficialmente il suo ritiro dalla Biennale di Belgrado, dopo che gli organizzatori della manifestazione hanno rifiutato di indicare, nelle didascalie e nei materiali informativi, la sua nazionalità kosovara. La Serbia non ha mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, autoproclamata il 17 febbraio 2008 e accolta, invece, da 96 Stati membri dell’ONU, tra cui anche l’Italia. Halilaj, che attualmente vive e lavora a Berlino ma è nato nel 1986, a Kosterc, in Kosovo, ha spiegato in una lettera le motivazioni che hanno portato al suo allontanamento volontario dalla Biennale di Belgrado, la cui 58ma edizione, in apertura a ottobre 2020 al KCB – Cultural Centre of Belgrade, è curata da Ilaria Marotta e Andrea Baccin e intitolata The Dreamers. Il riferimento è alle sconfinate possibilità dell’arte di «indagare sulla complessità dei tempi attuali, mettendo in discussione non solo la natura fuorviante del reale, ma anche lo spazio occupato dai sogni, inteso come incarnazione metaforica di uno spazio di libertà, in grado di sfidare la certezza del mondo reale, delle conoscenze acquisite e delle nostre credenze». Halilaj ha specificato che la decisione di non includere la sua nazionalità nella lista degli artisti è stata presa all’insaputa dei curatori, senza dare alcun preavviso.

Petrit Halilaj, Fondazione Merz, 2018, ph. Renato Ghiazza

La scintilla di Shkrepëtima

«Con questa lettera voglio lasciare una traccia di ciò che ho vissuto negli ultimi mesi e di ciò che ha portato al mio ritiro. Questo è il mio lato della storia, ovviamente, e so che ci sono altri punti di vista che dovrebbero essere presi in considerazione», ha scritto Halilaj, che spesso ha lavorato sull’eredità e sulla reinterpretazione della storia del suo Paese e dei suoi abitanti. In Italia, abbiamo visto le sue opere alla Fondazione Merz di Torino, dove presentò Shkrepëtima, progetto vincitore per la sezione Arte della seconda edizione del Mario Merz Prize, e alla Biennale di Venezia del 2013, per il Padiglione Kosovo, e del 2017, nel Padiglione Centrale, la cui partecipazione gli è valsa anche una menzione speciale.

Petrit Halilaj, Fondazione Merz, 2018, ph. Renato Ghiazza

In particolare, Shkrepëtima – che in albanese significa scintilla –, rappresentava la fase finale di restituzione di una performance realizzata il 7 luglio 2018, tra le rovine della Casa della Cultura di Runik, in Kosovo. E proprio il video tratto da questa performance doveva essere esposto anche alla Biennale di Belgrado. «Quando abbiamo iniziato il progetto, la Casa della Cultura di Runik era in uno stato di estremo abbandono e deterioramento; la spazzatura era stata scaricata lì per anni. Abbiamo riunito una comunità di oltre 80 persone e ripulito lo spazio per ridargli vita e voce culturale. Shkrepëtima è dedicata ai sogni dei cittadini di Runik e sembrava entrare in sintonia con l’obiettivo di The Dreamers», spiega Halilaj nella sua lettera.

Petrit Halilaj, Fondazione Merz, 2018, ph. Renato Ghiazza

La guerra tra Serbia e Kosovo

È lunga la storia di attriti tra le due nazioni, iniziata già nei primi anni ’80 e poi sfociata anche in guerra. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il Kosovo era una provincia autonoma della Serbia, con popolazione a maggioranza albanese. Dopo la morte di Tito, nel 1980, e con l’insorgere delle varie spinte nazionaliste in tutta l’area – a partire dall’Ungheria e dalla Polonia, che avrebbero poi portato alla dissoluzione dell’URSS –, le tensioni tra la provincia autonoma e il governo serbo crebbero esponenzialmente, fino alla stretta del marzo 1989, quando lo statuto di autonomia fu addirittura revocato da Slobodan Milosevic, a sua volta fervente nazionalista serbo.

Petrit Halilaj, Fondazione Merz, 2018, ph Andrea Guermani

Dal 1989 al 1995 la maggioranza della popolazione d’etnia albanese del Kosovo mise in atto una campagna di resistenza pacifica sotto la guida del partito LDK e del suo leader Ibrahim Rugova, conosciuto come il “Ghandi dei Balcani” e dichiarato “Eroe del Kosovo”, dichiarando anche l’indipendenza nel 1990, riconosciuta però solo dall’Albania. Ma dopo la guerra tra Bosnia ed Erzegovina e con l’inasprimento della repressione della popolazione albanese da parte di Milošević, le spinte indipendentiste dovevano trovare una matrice violenta nei veterani di ritorno dal conflitto, che organizzarono delle vere e proprie forze armate riunite nell’ UCK, l’Esercito di Liberazione del Kosovo.

Tra il 1996 e il 1999 i separatisti albanesi organizzarono una serie di attentati contro le postazioni militari e le entità statali serbe. Durissima fu la risposta non solo della polizia ma anche di forze paramilitari guidate da ultranazionalisti serbi, anche essi già operativi in Bosnia-Erzegovina e autori di massacri di civili e operazioni di cecchinaggio.

Petrit Halilaj, Exhibition view, Biennale di Venezia, 2017

Nel 1999, finalmente, l’intervento della NATO, con operazioni prevalentemente aere, partite e guidate dalla base militare di Aviano, con la partecipazione anche di arei italiani. La guerra terminò ufficialmente l’11 giugno 1999, con un numero altissimo, ma ancora oggi oggetto di dibattito, di vittime civili. Si stima che solo le forze paramilitari serbe sarebbero responsabili della morte di oltre 13mila civili kosovari. Milosevic fu arrestato il primo aprile 2001 ma sarebbe morto nel 2006, nel carcere dell’Aia. Il dialogo tra Pristina e Belgrado, per la definizione dello status kosovaro, rimane tesissimo, anche a causa di ingerenze esterne, tra le quali gli interessi americani.

La lettera di Halilaj alla Biennale di Belgrado

«La storia inizia nella seconda metà di maggio, con la pubblicazione della lista degli artisti. Quando l’elenco degli artisti di The Dreamers è stato reso pubblico, Ilaria Marotta ha notato che la mia nazionalità, il Kosovo, era stata omessa dalle comunicazioni pubbliche ufficiali. Nel testo, ogni artista è stato elencato insieme alle informazioni riguardanti l’anno di nascita, il luogo di nascita e il Paese, nonché l’attuale luogo di vita e di lavoro. Nel mio caso, il nome del Paese è stato lasciato in bianco dopo la virgola e, dato il contesto geopolitico, l’ho istintivamente interpretato come un’omissione intenzionale di informazioni. Questa omissione era stata decisa dall’organizzazione della KCB indipendentemente da Ilaria e Andrea, senza alcun preavviso, probabilmente nella speranza che nessuno potesse individuarlo o fare problemi», ha spiegato Halilaj nella sua lettera.

Petrit Halilaj, Exhibition view, Lyon Biennale, 2019

«Dopo la mia richiesta di includere il Kosovo, la KCB ha risposto prima assicurando che fosse stato un errore di battitura, quindi modificandolo più volte fino ad aggiungere un asterisco alla parola Kosovo, “*Kosovo”». Ma l’asterisco è un segno visivo che esprime una profonda implicazione politica, perché è il risultato “tipografico” di un accordo del 2012 in base al quale, nei documenti ufficiali, la parola Kosovo deve essere accompagnata da una nota a piè di pagina che specifica che tale designazione geografica non indica una posizione politica sul riconoscimento o meno dello status di indipendenza del Kosovo. Insomma, una sorta di dichiarazione di neutralità – e qui si potrebbe aprire un lunghissimo discorso sulle strategie di egemonia nei linguaggi burocratici e istituzionali – che, però, non fa che ribadire il rifiuto della Serbia a riconoscere il Kosovo come Paese indipendente.

«Durante questa storia ho appreso che il Centro Culturale di Belgrado aveva negoziato con il Ministro degli affari esteri per l’aggiunta del Kosovo e la modifica del numero totale dei Paesi partecipanti. Il tempo intercorso tra queste modifiche mi ha dato l’opportunità di pensare e di riflettere su quanto tutti fossimo impreparati ad affrontare problemi come questi. Voglio credere che l’arte abbia un potenziale trasformativo. Questa convinzione è anche una delle ragioni per cui vi ho dedicato la mia vita. Ma questa esperienza pone delle domande: qual è la reale capacità di sognare che hanno le istituzioni d’arte e qual è lo spazio che sono disposti a dare agli artisti per sognare? E se agli artisti viene data una cornice specifica per i loro sogni, una cornice che è delineata e monitorata dal potere e dalla politica dominanti, allora fino a che punto possiamo andare?», si chiede Haliliaj.

Nel frattempo, nel tentativo di trovare una soluzione neutrale e di fronte all’impossibilità di aggiungere il Kosovo, KCB ha nuovamente modificato il sito web, cancellando tutti i Paesi di tutti gli artisti partecipanti e lasciando solo le città di nascita.

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