27 febbraio 2024

Migliaia di artisti stanno chiedendo l’esclusione del Padiglione Israele dalla Biennale di Venezia

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Più di 8mila tra artiste, curatori, ricercatrici e operatori dell’arte e della cultura hanno firmato una lettera in cui si chiede alla Biennale di Venezia di escludere il Padiglione Israele dalla prossima edizione

Padiglione Israele Biennale Venezia

Sono più di 8mila le artiste e gli artisti, i curatori e le ricercatrici, gli scrittori, le autrici e gli operatori del mondo della cultura firmatari di una lettera aperta che invita l’organizzazione della Biennale d’arte di Venezia a escludere il Padiglione di Israele dalla 60ma edizione della manifestazione, che si terrà dal 20 aprile al 24 novembre 2024. «Mentre il mondo dell’arte si prepara a visitare il diorama degli stati-nazione ai Giardini, affermiamo che offrire un palcoscenico a uno Stato impegnato in continui massacri contro il popolo palestinese a Gaza è inaccettabile», si legge nella lettera. Secondo i dati forniti dal Governo di Gaza, dal 7 ottobre 2023 – giorno dell’attacco terroristico di Hamas nel sud di Israele, che provocò la morte di un migliaio di civili e militari e il rapimento di circa 250 persone – le vittime palestinesi della reazione israeliana sarebbero più di 27mila.

Tra i firmatari della lettera, artisti come Nan Goldin, che già dall’inizio delle ostilità ha espresso il suo supporto alla popolazione palestinese, Mike Parr, scaricato dal suo gallerista a causa di una performance sul conflitto tra Israele e Palestina, i Turner Prize Tai Shani e Jesse Darling, il compositore e musicista Brian Eno, la storica dell’arte e teorica Claire Bishop, la curatrice Fanny Gonella, attualmente direttrice del FRAC Lorraine, David Velasco, scrittore ed ex caporedattore di Artoforum, licenziato dopo aver pubblicato una lettera per il cessate il fuoco a Gaza. Molti i firmatari attivi in Italia, come Cesare Pietroiusti, Adelita Husni Bey, Simone Frangi, Sara Enrico, Rossella Biscotti, Igor Grubic, Andreco, Iain Michael Chambers.

«Le richieste di riconoscimento delle atrocità commesse da nazioni partecipanti alla Biennale non sono senza precedenti», si legge nella lettera. «Dal 1950 al 1968, a causa della condanna globale dell’apartheid e degli appelli al boicottaggio, il Sudafrica fu scoraggiato dall’esporre ed escluso dalla Biennale durante l’assegnazione dei padiglioni. Nel 1968, sulla base della risoluzione 2396 delle Nazioni Unite, fu introdotto il divieto ufficiale e l’intimazione a sospendere “gli scambi con il regime razzista”. Il Sudafrica fu riammesso solo dopo l’abolizione del regime d’apartheid nel 1993».

«Le principali organizzazioni internazionali, palestinesi e israeliane per i diritti umani sostengono da tempo che l’occupazione israeliana della Palestina, della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e della Striscia di Gaza – considerata illegale dalla Risoluzione ONU 242 del novembre 1967 –costituisce, insieme al trattamento riservato allə palestinesi all’interno dei confini del 1948, un crudele sistema di apartheid e un crimine contro l’umanità».

Gli autori della lettera, riuniti sotto il nome collettivo di ANGA – Art Not Genocide Alliance, richiamano anche il doppio standard messo in atto, nel caso della guerra tra Russia e Ucraina. «La Biennale e la curatrice dell‘esposizione internazionale (Cecilia Alemani, ndr) rilasciarono pubblicamente numerose dichiarazioni a sostegno del diritto del popolo ucraino all’autodeterminazione, alla libertà e all’umanità. La condanna pubblica della Biennale per “l‘inaccettabile aggressione militare da parte della Russia” includeva l’impegno ad evitare “qualsiasi forma di collaborazione con coloro che hanno compiuto o sostenuto un attacco così grave” e il rifiuto di “accettare la presenza, in qualsiasi dei suoi eventi, di delegazioni ufficiali, istituzioni o persone legate a qualsiasi titolo al governo russo”».

In quel caso, però, fu il team del Padiglione della Russia a fare un passo indietro: gli artisti Kirill Savchenkov e Alexandra Sukhareva e il curatore Raimundas Malašauskas annunciarono che non avrebbero portato avanti il loro progetto: «Il Padiglione Russo è una casa per gli artisti, per l’arte e per i creativi», scrivevano in un post. Il Padiglione della Russia rimarrà chiuso anche quest’anno.

«Le curatrici e l’artista del padiglione israeliano (Mira Lapidot e Tamar Margalit e Ruth Patir, ndr) hanno rilasciato una dichiarazione superficiale che sostiene la necessità dell’arte in tempi bui, insistendo su una “bolla di libera espressione e creazione in mezzo a tutto ciò che sta accadendo”. Un altro doppio standard», continua la lettera. «Mentre il padiglione israeliano prende vita, il bilancio delle vittime del genocidio a Gaza e in Cisgiordania aumenta ogni giorno. Mentre il team curatoriale israeliano progetta il cosiddetto “Padiglione della fertilità“ riflettendo sulla maternità contemporanea, Israele ha ucciso più di 12.000 bambinə, distrutto strutture mediche e reso impossibile l‘accesso alle cure riproduttive».

La cultura palestinese potrà comunque contare su una presenza importante alla 60ma Biennale di Venezia: un progetto promosso dall’organizzazione Artists and Allies of Hebron è stato scelto tra i 30 eventi collaterali ufficialmente approvati. Fondato dall’attivista palestinese Issa Amro e dal fotografo sudafricano residente a Berlino Adam Broomberg, Artists and Allies of Hebron presenterà Anchor in the Landscape. Si tratta di una serie di fotografie di Broomberg e Rafael Gonzalez che ritraggono i millenari alberi di ulivo, che rappresentano la principale fonte di reddito per migliaia di famiglie palestinesi. Questa coltivazione è stata a lungo minacciata dai conflitti e si calcola che dal 1967 siano stati distrutti 800mila esemplari di alberi. Il progetto è stato inserito tra gli eventi collateriali ufficiali della Biennale.

1 commento

  1. FREE PALESTINE!
    NO AL FENOCIDIO SIONISTA!
    🇵🇸🇵🇸🇵🇸🇵🇸🇵🇸🇵🇸🇵🇸🇵🇸🇵🇸🇵🇸🇵🇸

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