05 novembre 2021

Proteste contro la filantropia tossica dello Science Museum di Londra

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La scelta dello Science Museum di Londra di promuovere nuovi progetti sul clima sponsorizzati da un’azienda di combustibili fossili ha creato dissenso, causando una serie di dimissioni nello staff

Lo Science Museum di Londra ha annunciato una nuova collaborazione con il gruppo indiano Adani, al momento impegnato, tra le altre cose, in iniziative legate all’estrazione e alla lavorazione di combustili fossili, in particolar modo, di carbone. Dopo la notizia, a Londra si sono generate una serie di manifestazioni di dissenso, così forti da portare Jo Foster e Hannah Fry, due componenti del Board of Trustees del museo, a ritirarsi dalle attività in collaborazione con lo stesso. Hannah Fry, ha parlato pubblicamente, allontanandosi dalla scelta del museo e invitando l’istituzione a tirarsi indietro dagli accordi presi per poter mantenere il suo status di leader nazionale nel campo della crisi climatica.

L’annuncio è arrivato il 19 ottobre, quando lo Science Museum di Londra ha parlato della nuova galleria “Energy Revolution: The Adani Green Energy Gallery”, che inaugurerà nel 2023, finanziata grazie a ingenti donazioni dalla succursale green del Gruppo Adani. Insomma, si tratta di uno di quei casi di “filantropia tossica” di cui spesso abbiamo scritto (a partire dalle proteste di Nan Goldin e di Michael Raokowitz, nello specifico). Mary Archer, presidente del museo, ha dichiarato: «Questa galleria avrà una prospettiva davvero globale sulla sfida più urgente del mondo. Siamo estremamente grati ad Adani Green Energy per il significativo sostegno finanziario».

Il museo sulla nuova apertura ha inoltre dichiarato che «Esplorerà le ultime scienze del clima e la rivoluzione energetica necessaria per ridurre la dipendenza globale dai combustibili fossili». Anche il gruppo indiano ha raccontato della galleria e Gaudam Adani, il presidente del gruppo, ha aggiunto: «La nuova galleria esplorerà come possiamo alimentare il futuro attraverso tecnologie a basse emissioni di carbonio».

Tutte queste dichiarazioni hanno lasciato sgomenti attivisti e sostenitori del museo, generando una serie di proteste per tutta la capitale britannica, nonostante le dichiarate intenzioni di Adami di diventare la più grande azienda di energia pulita entro il 2030.  Molte persone si sono espresse sulla questione, mettendo in dubbio la credibilità dell’istituzione museale. Adrian Burragubba, un contadino residente nella terra australiana dove il gruppo Adani sta intervenendo per le miniere di carbone, ha riservato termini molto forti nei confronti della nuova collaborazione: «lo Science Museum è complice della violazione dei nostri diritti umani e della distruzione delle nostre terre ancestrali da parte di Adani».

Non è la prima volta che lo Science Museum è caduto nell’occhio del ciclone. In tempi recentissimi, il 2 ottobre scorso, il precedente direttore del museo, Chris Rapley, ha annunciato le sue dimissioni in seguito a un accordo di sponsorizzazione che il museo aveva chiuso con i giganti del petrolio Shell, BP e Equinor. In particolare, l’accordo preso con la Shell prevedeva una clausola che intimava il museo a non «Danneggiare la buona volontà o la reputazione» della compagnia petrolifera, clausola che avrebbe evidentemente messo in dubbio l’importante ruolo di ambasciatore dello Science Museum per l’energia rinnovabile. Shell è attualmente sponsor della mostra “Our Future Planet” dello Science Museum, esposizione criticata da scienziati, esperti del mestiere e anche da Greta Thunberg.

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