04 aprile 2022

I numeri del lavoro nell’arte e le ipotesi per il post pandemia: il report di AWI

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Nel corso di una serie di tavole rotonde, AWI - Art Workers Italia ha presentato i risultati dell'idagine dedicata al lavoro nell’arte contemporanea in Italia: i numeri della situazione e una guida per il presente

Nata durante le fasi più difficili della pandemia, AWI – Art Workers Italia è la prima associazione autonoma e apartitica che dà voce a chi lavora nell’arte contemporanea in Italia. È un gruppo di art workers che vede grandi collaborazioni con espertɜ del settore legale, fiscale e amministrativo, enti di ricerca e università, istituzioni dell’arte e della cultura. La sua voce ha fatto eco e, a fine marzo, in collaborazione con il Dipartimento di Giurisprudenza / School of Law dell’Università Milano Bicocca, ha presentato i primi risultati di un’idagine di settore dedicata al lavoro nel campo dell’arte contemporanea in Italia, che ha portato all’elaborazione di una guida ai compensi minimi e di modelli di contratto.

Ai diversi tavoli, in presenza e in modalità telematica, hanno partecipato Lucrezia Calabrò Visconti (AWI), Elena Mazzi (AWI), Rebecca Moccia (AWI), Prof. Avv. Alessandra Donati, Dott. Commercialista Franco Broccardi, Cristina Masturzo (AWI), Sara d’Alessandro (AWI), Giulia Mengozzi (AWI), e anche direttori di musei, gallerie e istituzioni nonché responsabili vari: Lorenzo Balbi (AMACI), Francesco Pedrini (Accademia Carrara, Bergamo), Lucia Zanetta (Osservatorio culturale Piemonte – Fondazione Fitzcarraldo), Pietro Vallone (Galleria Massimo De Carlo), Silvia Simoncelli (NABA, Nuova Accademia Belle Arti).

L’ultimo tavolo, il decisivo, ha visto un confronto diretto delle istanze poste negli incontri precedenti con i reali limiti legislativi ma, soprattutto, ha posto le basi per richiedere un’azione da parte della politica, rispetto al riconoscimento e alla sostenibilità del lavoro nell’arte. Tra i nomi, Marta Bianchi (AWI), Annalisa Pellino (AWI), Eleonora Quadri (AWI), Annamaria Ravagnan (ICOM Italia), Anna Soru (ACTA), Raffaele Erba (Consigliere Regionale Regione Lombardia – Commissione Cultura), Elisabetta Piccolotti (Responsabile Nazionale Cultura Sinistra Italiana), Marina Pugliese (Direttrice Area Museo delle Culture, Progetti Interculturali e Arte nello Spazio Pubblico, Comune di Milano), Roberto Rampi (Membro della 7ª Commissione permanente del Senato – Istruzione pubblica, Beni Culturali).

Dall’indagine di settore realizzata nel 2021 da AWI e anticipata, come sottolineato da Lorenzo Balbi, dal vademecum realizzato da AMACI, sono emersi alcuni dati sconcertanti: quasi la metà di chi ha risposto ha dichiarato un reddito annuo inferiore ai 10mila euro, al di sotto, quindi, della soglia di povertà di 10.299 euro secondo l’ISTAT (come del resto avevamo evidenziato anche in questo nostro sondaggio). «Circa il 36% dellɜ rispondentɜ dichiara di essere retribuitə solo per meno della metà degli incarichi o addirittura per nessuno di essi. Inoltre, a questo scenario di estrema fragilità concorre il fatto che lɜ professionistɜ dell’arte contemporanea sono scarsamente tutelatɜ e rappresentatɜ, vista la mancanza di un sindacato specifico». A queste cifre non corrisponde in alcun modo il grado di professionalizzazione dal momento che una percentuale altissima, l’85,9% di chi lavora nell’ambito dell’arte in Italia, ha una laurea magistrale o un grado di formazione superiore, nel 27,8% dei casi conseguita all’estero.

Tutti i contratti, quando ci sono e se possono dirsi contratti, tra partita IVA e collaborazione occasionale, non garantiscono un rapporto di lavoro stabile e quasi nessuna tutela. Il dialogo che ha coinvolto i rappresentanti del mondo della politica è dunque finalizzato ad azioni concrete che non solo consentano di mettere in luce i limiti del sistema legislativo nazionale ma che permettano anche delle serie possibilità di sviluppo del settore. A questo scopo, la guida ai compensi minimi si rivela assolutamente utile, in particolare, nella sezione che prevede una tabella con i compensi minimi raccomandati, una checklist di buone pratiche e un glossario di keywords.

Tra le altre indicazioni, emerge la necessità di una serie di riconoscimenti per chi si occupa di arte in Italia, per esempio, almeno per ciò che riguarda un museo pubblico, come riporta Balbi, il conferimento di una fee (il minimo è 1500 euro) per l’artista, che alcuni galleristi dichiarano «Infondata», o meglio, inesistente, all’estero dove le risorse economiche non mancano per le mostre personali. È chiaro che le cifre e le specifiche messe in campo possono essere soltanto un suggerimento e che, in molti casi, occorre fare gli opportuni distinguo tra progetti, musei e artisti. Ma va da sé che è l’inizio di un cambiamento di rotta non più prorogabile.

Pietro Vallone riporta alcune questioni importanti, soprattutto sulla difficoltà nel reperimento di fondi e sulle cifre irrisorie che si propongono per un ingaggio, per esempio, di curatela o di direzione di uno spazio museale. Il dato sotto gli occhi è che se le cifre restano così basse vuol dire che la maggior parte degli addetti ai lavori non ha urgenza o necessità di avere introiti e questo, il più delle volte, squalifica il lavoro in sé e le competenze necessarie.

Dal punto di vista degli artisti più giovani, che ancora frequentano le Accademie private o statali, è intervenuta Silvia Simoncelli, che ha sottolineato quanto siano stati importanti alcuni accorgimenti AFAM, come l’attivazione dello strumento dei dottorati di ricerca (finora però solo nelle materie relative al restauro) anche nelle Accademie e non solo nelle Università, oltre che l’inserimento di due materie, ABLE 69 e ABLE 70, ovvero, Marketing e management ed Economia e mercato dell’arte, competenze che artiste e artisti giovani solitamente non maturano nel loro percorso di formazione.

Lucia Zanetta, dell’Osservatorio culturale Piemonte – Fondazione Fitzcarraldo, ha evidenziato quanto emerso durante il primo periodo della pandemia, quando, tra incertezza e confusione, abbiamo assistito a una sorta di gara di numeri tra i vari comparti della cultura, come spettacolo e cinema. È vero che i cosiddetti “ristori” non hanno assolutamente riguardato i lavoratori dell’arte “visuale” e, in particolare, chi lavora nel campo dell’arte contemporanea, contribuendo a far maturare disagi e malumori in tutta la filiera del settore artistico, con il relativo abbandono della professione per circa la metà degli/delle espert3. D’altra parte, le difficoltà hanno anche favorito la nascita di alcune associazioni come AWI ma anche di altri corpi intermedi, che adesso stanno finalmente agendo a favore di tutto il comparto arte e cultura.

Sarà interessante capire cosa succederà da adesso in poi. La pandemia avrà insegnato il valore “professionale” dell’arte, di questo lavoro sempre bistrattato, anche dal punto di vista contrattuale, economico e legislativo?

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