03 novembre 2020

Cosa ci dice il Rapporto Annuale Federculture sul sistema cultura

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Presentato questa mattina il Rapporto Annuale Federculture, che fa il punto sui disastri del 2020 e traccia il bilancio degli ultimi 20 anni di gestione culturale

Un quadro tanto complesso quanto difficile, in cui fattori già critici sono stati aggravati dalla pandemia da Covid-19. È quanto emerge dal 16mo Rapporto Annuale Federculture che, in questo 2020 così difficile ma anche così denso di riflessioni, è stato sottotitolato in maniera beneaugurante: Dal tempo della cura a quello del rilancio. Il volume è stato presentato oggi, alla presenza del Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini al quale, in questi ultimi giorni, non sono state risparmiate le critiche, in seguito all’annuncio, dato in diretta durante un’ospitata a Che Tempo che Fa, della chiusura dei musei. Ma a prescindere dalla opportunità di chiudere i luoghi della cultura al pubblico, la crisi è mondiale e, per il settore culturale come per tutti gli altri, sarà necessario trovare nuove strategie di sviluppo o di decrescita, anche al di là di ingressi contingentati e prenotazioni.

Il Rapporto Annuale Federculture quest’anno è dedicato non solo ai dati attuali ma anche agli ultimi venti anni, per inserire le problematiche che stiamo attraversando in una dinamica ad ampio respiro e dal taglio “storiografico”, per capire quale erano le dinamiche in essere, prima della pandemia.

2000-2019: come eravamo prima della pandemia, secondo Federculture

I dati dicono che la pandemia ha colpito molto duramente ma indicano anche che nel momento in cui la crisi è arrivata, già stavamo vivendo tendenze non positive. Dai dati raccolti nel Rapporto Federculture emerge una significativa riduzione delle risorse pubbliche per il settore culturale, principalmente da parte delle amministrazioni territoriali, cioè Regioni, Province e Comuni, mentre la spesa statale è rimasta perlopiù stabile.

Se nel 2000, infatti, la spesa pubblica statale e locale per la cultura, complessivamente, era pari a 6,7 miliardi di euro, nel 2018 (anno di confronto per disponibilità di dati) era scesa a 5,7 miliardi. Un miliardo in meno, perso principalmente per il calo delle risorse di Comuni (-750 milioni, -27%), Regioni (-300 milioni, -23%), e Province (-220 milioni, -82%).

Dopo una diminuzione nel primo decennio, risale invece lo stanziamento del MiBACT, con un +48% dal 2010 al 2018. In ogni caso, la spesa pubblica per la cultura rimane tra le più basse in Europa. Se nella UE l’incidenza della cultura sulla spesa pubblica ammonta al 2,5%, in Italia l’asticella si ferma a un poco lusinghiero 1,6%.

Il calo della domanda

E se le risorse economiche piangono, la domanda non ride. I dati raccolti dal Rapporto Federculture sulla fruizione culturale da parte dei cittadini fanno segnare diversi cali negli anni finali del ventennio in esame, seppur con una crescita generalizzata nell’intero periodo. Per esempio, fino al 2010 il cinema aveva fatto registrare una crescita dei fruitori del 12,1%, ma nel periodo seguente ha poi perso il 6,1%. Similmente il teatro, che tra 2010 e 2019 ha visto un calo dell’8,8%, e negli anni precedenti era cresciuto del 27,3%.

Fanno eccezione gli ambiti della fruizione del patrimonio: la percentuale dei cittadini che visitano i musei è cresciuta del 21,5% in venti anni e del 7% dal 2010. Allo stesso modo è positiva la percentuale dei frequentatori dei siti archeologici e dei monumenti: +36,8% tra 2001 e 2019, +19,7% negli ultimi dieci anni.

Molti potrebbero essere i motivi per i quali musei e monumenti hanno lasciato al palo cinema e teatri e non tutti riferibili al settore strettamente culturale o gestionale, quest’ultimo specificamente preso in esame. Secondo il rapporto Federculture 2020, la crescita dei fruitori dei musei è dovuta anche alle politiche che hanno caratterizzato la gestione degli ultimi dicasteri, orientate verso una maggiore autonomia. Ma con ogni probabilità, si deve tenere conto anche di altri fattori laterali, per esempio, l’ascesa clamorosa delle piattaforme di streaming e dell’online, per i quali, invece, i musei sono nettamente e pericolosamente in ritardo, considerando quanto sarà importante, in futuro, padroneggiare questo genere di strumenti.

Il settore dovrà fare i conti con scenari totalmente mutati e con un impossibile ritorno alla “normalità” pre-crisi, almeno nel medio periodo. Per tutta la filiera culturale, dalla produzione legislativa ministeriale alla fruizione individuale, sarà necessario ripensare i modelli e immaginare nuove condizioni di sostenibilità e di offerta.

L’impatto della crisi del 2020, secondo Federculture

Nei mesi di maggio e giugno 2020 Federculture ha somministrato ai propri associati un questionario sugli impatti della crisi da Covid-19, al quale hanno risposto 54 enti culturali di respiro nazionale. Si tratta di istituzioni attive per lo più nell’ambito espositivo e museale (44%, tra cui Maxxi, Triennale, Madre e Mann) e dello spettacolo (41%, tra cui Romaeuropa Festival), soprattutto del Centro e Nord del Paese – e sul divario non solo rappresentativo tra centro-nord e sud si dovrebbe aprire un capitolo a parte –, e per la maggior parte Fondazioni, 52%.

Le chiusure forzate in molti casi sono state prolungate rispetto a quanto fissato nei decreti: l’80% degli enti non ha ripreso l’attività dopo la Fase 2 del 18 maggio, probabilmente a causa delle perdite già subite e dell’incertezza sulle effettive possibilità di ripartenza. Oltre il 70% degli enti culturali ha stimato perdite di ricavi superiori al 40% del loro bilancio, ma il 13% prospetta perdite che superano il 60%.

Molti attori del comparto cultura hanno reagito in forme del tutto nuove, per esempio lavorando in modalità smart working per l’85% dei casi analizzati. In particolare nell’ambito museale, la produzione di visite virtuali, di dirette live o di programmi ad hoc accessibili on demand, è andata ovunque ben oltre il 50% delle complessive proposte culturali fruibili a distanza. Quella nata come offerta suppletiva in un momento critico, è stata ben presto percepita come una diversa declinazione delle canoniche modalità di fruizione del prodotto culturale. Il 96% degli enti che hanno attivato servizi on line relativi alla propria attività dichiarano, infatti, di essere intenzionati a mantenerli nel proprio palinsesto.

Dove stiamo andando?

A questa domanda, nemmeno il Rapporto Federculture 2020 può rispondere con certezza. I dati hanno dimostrato che certe tendenze non erano affatto positive e che, come del resto si presentiva già prima dei lockdown, il settore culturale era già ampiamente lacerato. Da cosa? Anche per questa domanda, le risposte sarebbero tante, più o meno giuste.

Magari saranno stati gli anni di abbandono politico, sociale ed economico. La scommessa, poi evidentemente fallita, considerando lo stato di precarietà in cui ci si ritrova, di aver lasciato la produzione culturale alla mercé di un mercato talmente libero da essere poi esploso come un gas incontrollato, a proposito della cultura interpretata come un idrocarburo o un propellente.

Da queste macerie potrebbe emergere un senso di comunità, la percezione di far parte di un unico sistema per il quale avanzare richieste di diritti, di tutele e di migliori condizioni di vita e di lavoro per tutti gli addetti a un comparto obbiettivamente influente nel sistema nazionale. Non solo misure a lungo termine – sacrosante e fondamentali, in un momento in cui la programmazione è un miraggio – ma anche provvedimenti immediati. Ma il rischio è che ci si accontenti delle briciole.

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