10 settembre 2007

biennale_padiglioni Alpini a Venezia

 
Lo spazio come elemento privilegiato. Le architetture emotive di Svizzera e Slovenia e le visioni libere e violente del padiglione austriaco mostrano un'Europa capace di far dialogare passato, presente e futuro. I paesi dell’arco alpino in Biennale...

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Oramai si sa, la Biennale di Venezia incarna l’anima più ambigua dell’arte e paradossalmente è questa la sua forza e il suo grande pregio; a metà strada fra le inevitabili derive di un mercato sempre più invadente e decisivo e il tentativo apprezzabile – ma spesso vano – di rappresentare in maniera esaustiva lo sconfinato universo artistico in tutte le sue forme; il rischio di trovarsi in un grande, caotico e colorato baraccone, però, è assai elevato. Ma forse il messaggio che Robert Storr ha voluto lasciare non è del tutto privo di fascino; il richiamo che egli fa agli uomini di utilizzare l’arte per raggiungere la piena consapevolezza del proprio essere si fonde con il tentativo di dare un ordine preciso al presente utilizzando i sensi e le emozioni ma senza escludere, a priori, la logica. E così se la cinquantaduesima esposizione internazionale fatica ad affermare con forza il suo punto di vista sull’arte contemporanea a noi poco importa, perché non è nel contesto che si deve cercare un senso, ma nel dettaglio; i dettagli delle cose, infatti, ci impongono un tipo di approccio all’opera d’arte che esula dal narcisistico bisogno di esperienze figurative gradevoli e collegamenti logici immediati, proiettando il nostro sistema cognitivo verso orizzonti molto più interessanti. È il caso, questo, del padiglione svizzero. L’universo percettivo di Christine Streuli si offre al pubblico attraverso una serie di dipinti che coniugano i motivi cari alla storia dell’arte della vecchia Europa con le tradizioni figurative di paesi lontani. Il titolo della sua opera – Go North, Go South, Go East, Go west – spiega alla perfezione la volontà dell’artista di convogliare in un solo punto i riferimenti che vengono da ogni direzione.
Urs Fischer e Ugo Rondinone alla chiesa di San Stae - Photo: A. Burger Fotografie Zürich
Le pareti rivestite del padiglione accolgono i dipinti in un sistema capace di dialogare con ogni singola parte dell’opera, come i giochi d’ombra proiettati sui muri. I quadri denunciano uno stretto rapporto con la grafica, connubio che appare riuscito soprattutto nell’utilizzo di colori vigorosi uniti a linee di contorno che diventano sia motivi ornamentali che cornici dell’opera stessa. Lo spazio del padiglione viene coinvolto dall’artista in un progetto che intende rompere i confini finiti della tela e della cornice per spingere lo sguardo in un luogo privilegiato dove la forma diventa contenuto. L’intervento di Yves Netzhammer appare molto più orientato verso la sperimentazione di codici e linguaggi per ottenere immagini forti capaci di generare attraverso forme di immedesimazione forzata, emozioni cariche di pathos e inquietudine. L’installazione pensata per la Biennale utilizza disegno, architettura, video e colonna sonora per riflettere sul rapporto tra spazio interno e spazio esterno. La colonna sonora, composta da Bernd Scheurer, denuncia una sorprendente funzionalità all’opera soprattutto nella perfetta sintonia con le linee e i volumi architettonici pensati dall’artista.
Christine Streuli, Padiglione Svizzero ai Giardini. Foto: David Aebi, Bern
La chiesa di San Stae, invece, ospita il contributo di due grandi artisti della scena artistica contemporanea: Urs Fischer e Ugo Rondinone. Lo scenario storico della chiesa veneziana viene annullato per dare vita ad uno spazio asettico e ermetico, privo di implicazioni con l’esterno, capace di dialogare con l’intimo desiderio di silenzio che alberga in ognuno di noi. Rondinone e Fischer presentano opere distinte che sorprendentemente interagiscono fra loro con grande naturalezza. Il primo propone tre grossi ulivi in alluminio bianco, retaggio di un’ ostentata origine mediterranea, perfettamente accolti dalla geometrica scenografia di San Stae, carica di purezza e desolazione, persa in un universo temporale sospeso. Sulle pareti irrompono con forza le opere di Fischer, grandi fotografie stampate su alluminio, fredde e sfuggenti, avvolte in un’atmosfera onirica, cosparse di polvere grigia, prodotto malsano di un tempo che inesorabilmente scorre. Tornando ai giardini scopriamo i tredici dipinti di Herbert Brandl artista chiamato a rappresentare l’arte austriaca. Il 48enne artista viennese, propone una serie di opere di diverso formato, all’interno delle quali si scorgono accenni figurativi in un contesto creato da una gestualità irruente, quasi violenta. I colori corposi gettati sulla tela, si aprono a spazzi di luce improvvisa, ferite luminose di un mondo che scorre sottotraccia. Sono veri e propri paesaggi interiori, fissati nel momento di massima tensione, volutamente incompleti per esprimere un’emotività pronta ad implodere in se stessa; è una pittura che si esprime tramite opposizioni e conflitti, che somma implicazioni metafisiche a elementi esteticamente efficaci.
Tobias Putrih, Venetian, Atmospheric, 2007 - Courtesy of the artist and Max Protetch Gallery, New York - Photograph by Michele Lamanna
Il Padiglione Sloveno è affidato per questa 52esima Biennale di Venezia a Tobias Putrih che sorprende piacevolmente con il progetto Venetian, Atmospheric articolato in due diverse sedi espositive. La mostra alla Galleria A+A mette insieme disegni e sculture per raccontare la gestazione e la realizzazione dell’opera vera e propria ospitata nel suggestivo scenario dell’Isola di San Servolo, assolutamente perfetto per l’installazione del 35enne artista sloveno. Putrih costruisce nei giardini dell’isola un vero e proprio cinema che propone una programmazione giornaliera all’interno della quale verranno presentati film e video con una particolare attenzione per la cinematografia sperimentale slovena degli anni ’70, ’80 e ’90. L’illusione percettiva allestita dall’artista mira a coinvolgere lo spettatore in una sorta di viaggio iniziatico all’interno di un mondo che cambia continuamente. L’evoluzione o meglio la metamorfosi dello spazio viene attuata proiettando sulla volta della sala stelle e nuvole in movimento, contribuendo ad aumentare l’aspetto onirico dell’intera opera. Il progetto di Tobias Putrih si ispira all’opera dell’architetto John Eberson che durante gli anni ’20 perfezionò uno stile molto particolare applicato alla decorazione degli interni di sale cinematografiche che lui stesso ideava.

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