04 settembre 2007

biennale_padiglioni Profondo Nord

 
Critiche sociali e riflessioni sul concetto di identità. Il nordeuropa –Islanda, Paesi Nordici, Lettonia, Lituania ed Estonia– sembra venuto a dire la sua sui cambiamenti del mondo. Sul fatto che siamo tutti uguali e pericolosamente nevrotici...

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Quante persone popolano il mondo? Come faranno culture così diverse ad integrarsi l’una con l’altra? Come faremo a mantenere intatta la nostra identità? Cosa vuol dire essere tutti uguali? Non corriamo il rischio di impazzire? Questi sembrano essere i personali e sospiranti –forse un po’ stantii– interrogativi che il nordeuropa propone all’attenzione della 52° Biennale di Venezia.
Un uomo con due figli e una moglie, con un mutuo e delle responsabilità. Un uomo, la cui vita è soffocata, con i propri sogni e desideri, nel caos di un’esistenza lenta e mediocre, che decide di liberarsi della famiglia; di condannarla a morte. Quello che può sembrare il titolo di una notizia appena passata al telegiornale è ciò che il padiglione dell’Estonia propone a questa biennale; Loser’s Paradise di Marko Mäetamm, curato da Mika Hannula, è una confessione completa di una strage familiare programmata. In esposizione nelle sale del Palazzo Malipiero, oltre alla confessione scritta passata in video, due giochi per bambini che si trasformano in patiboli, un secondo video e una tela che con tratti semplici e fumettistici raccontano, in un’atmosfera naif, l’orrore di un giorno e di un uomo comuni.
Dai binomi famiglia-frustrazione e gioco-morte, trattati con un’irriverente ironia, all’ancora più introspettivo padiglione della Lettonia, con Gints Gabrāns (Valmiera, Lettonia, 1970). Un percorso a tre piani concernente l’interazione della propria immagine o, meglio, del proprio riflesso con la potenza della luce. In Paramirrors le parti riflettenti sono molteplici. Uno specchio di bellezza che ringiovanisce la pelle attraverso la riflessione di una luce terapeutica a far da esempio di un desiderio e una pratica contemporanei che trovano rappresentazione nel contesto ideale e misterioso della Scuoletta di San Giovanni Battista e del SS. Sacramento. Oppure in Paralle space. Psycholaser, una cabina dove come nella caverna di Platone le ombre di persone diverse si confondono con le proprie.
Nomeda & Gediminas Urbonas, Villa Lituania
Molto più ironica e meno gotica l’atmosfera al padiglione dei Paesi Nordici –Finlandia, Norvegia e Svezia– l’unico dei citati all’interno dei Giardini. A dividerlo, con il progetto Wellfare – Fare Well, gli artisti invitati dal curatore René Block. In disparte, nel piccolo padiglione progettato da Alvar Aalto, la poetica di Maaria Wirkkala (1954) che per la sua terza volta veneziana propone Vietato lo sbarco, progetto concepito e realizzato in loco. Metafora dell’alienazione sociale oltre il suo puro riferimento; il lavoro è composto da una gondola veneziana dal fondo pieno d’acqua in un mare di vetri rotti. A lato una scala di vetro percepibile soltanto attraverso l’ombra riflessa sul muro. A pulire ininterrottamente i vetri del padiglione nordico, il lavavetri di turno rappresenta la performance It would be nice to do something political di Toril Goksøyr e Camilla Martens (1970 e 1969). Ugualmente performativi il lavoro di Jacob Dahlgren (1970) I, the world, things, life –una parete interamente coperta da bersagli per freccette che il visitatore può prendere e tirare per verificare la propria abilità e modificare contemporaneamente l’installazione–, e quello dell’agenzia di viaggi Abidintravels Welcome to Baghdad organizzato da Adel Abidin (Iran 1973; vive in Finlandia) con tanto di preziosi opuscoli che illustrano le difficoltà di soggiornare a Baghdad e poster poco probabili come souvenir. Quasi fuori dal padiglione le scatole/stanze di Container e Untitled di Sirous Namazi (1970) poggiate sul pavimento cercano forse di confondere l’idea di esterno e interno mentre più avanti, in una posizione che lo rende ancora più ambiguo, Libertè −tre bagni uno bianco uno rosso uno blu con il motto dei rivoluzionari francesi come insegne−, di Lars Ramberg (1964) confonde animi e soprattutto corpi dei visitatori. Normalmente è esposto al Museo d’Arte di Architettura e di Disegno di Oslo dove svolge, appunto, una doppia funzione.
Critica e rivendicazione –ma ironiche e poetiche insieme– nel padiglione della Lituania. Nomeda & Gediminas Urbonas (1966 e 1968) presentano Villa Litvania un progetto misto di interventi performativi, video e installazioni che potrebbe essere riassunto con l’esclamazione “Ridateci Villa Lutuania a Roma!”. Canti popolari, piccole masse in subbuglio e addirittura un esercito di piccioni viaggiatori –ma soprattutto simbolicamente portatori di pace– che da Venezia e Roma e poi da Roma a Venezia intende recriminare quello considerato come l’ultimo territorio lituanio occupato. Dal 1940, infatti, nell’ex ambasciata lituana a Roma stanzia il consolato russo. Querelle, questa, che già da molti anni ha sconfinato l’universo politico contaminando l’universo artistico e sociale del paese.
Maaria Wirkkala, Vietato lo sbarco
Concludiamo questa carrellata di padiglioni nordici con quello geograficamente più lontano di tutti, il padiglione Islandese. È curata da Hanna Styrmisdòttir la mostra al Palazzo Bianchi Michiel di Steingrimur Eyfjörd (1954) artista versatile –ma anche docente, scrittore, editore, fumettista e curatore– che presenta una lavoro intitolato The Golden Plover Has Arrived sfoggiando una serie quasi completa di mezzi espressivi. Svariati anche i temi; dalla tradizione islandese ricca di superstizioni e leggende alla moda e allo sviluppo socio-economico del paese, avvalendosi della scultura, del disegno, della fotografia –analogica e sperimentale– e del cucito. Quattordici lavori, ognuno con un proprio titolo, che ripercorrono la storia di quel grande lembo di terra chiamato Terra del Ghiaccio interpretandone e decostruendone il passato, il presente e l’immediato futuro. Opera culminante il The Sheep Pen, recinto per una pecora-elfo, animale mitico della tradizione islandese che dovrebbe racchiudere, oltre alla creatura misteriosa, il senso di una cultura intera.

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valentina bartarelli

[exibart]



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