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Ecco la seconda regista donna in concorso (ne sono state selezionate solo 2 su 21 film!), l’australiana Shannon Murphy con Babyteeth, un film bellissimo intenso e struggente, che lascia dentro un’emozione che si controlla e si supera a fatica.
Il fatto che a Venezia76 vi siano solo due donne registe in gara ha innestato giuste polemiche (ancora non si conosceva l’esiguo numero di donne anche nella formazione del nuovo governo!) e senz’altro Shannon Murphy ha più possibilità di vincere uno dei premi rispetto alla saudita Haifaa al-Mansour con The Perfect Candidate, di cui vi abbiamo raccontato.
L’antefatto di Babyteeth è una storia triste, l’adolescente Milla Finlay (interpretata da Eliza Scanlen) è malata senza speranza di guarigione e i suoi genitori, ovviamente distrutti, arrancano nel dolore e nella malattia della figlia, come meglio possono. Dopo aver presentato nella prima scena la ripartizione della disperazione nella coppia, che fa quasi uscire di senno la madre (Essie Davis) e impone al padre psicoanalista (Ben Mendelsohn) un atteggiamento lucido e protettivo, entriamo nel fatto che si esplica nel film e che porta alla riflessione che vuole esprimere. Una mattina Milla, che sta andando a scuola, incontra Moses (Toby Wallace) alla fermata della metropolitana, un ragazzo segnato con molta evidenza da problemi di droga, che, in seguito alla sua tossicodipendenza, è rifiutato perfino dalla madre e perciò vive per strada. La giovane ragazzina, figlia unica di buona famiglia, vede in lui qualcosa di speciale, qualcosa di cui in quel momento sente di avere bisogno per vivere quella sua nuova condizione dovuta alla malattia e alle sue conseguenze. “Milla, quel ragazzo ha dei problemi!” l’avverte sua madre, “Anche io”, replica lei. E qui inizia la parte più significativa del film, che racconta come i due genitori di Milla coinvolgano questo personaggio “tossico”, avanzo di strada, nella loro vita perché capiscono che è proprio lui che la figlia vuole più di tutto al mondo. E così si adattano, lo accolgono, lo convincono a restare e lei ne è felice, perché negli ultimi giorni di vita scopre la cosa più bella che possa provare una persona: l’innamoramento. Milla è convinta di non volerci rinunciare. Un atto, quello dei genitori, di amorevole coraggio e lucida intelligenza che fa di Babyteeth (in italiano “denti da latte”) non il solito film sulla malattia, né una storia d’amore tra teenager, ma scopre un aspetto non scontato nel momento in cui racconta di un atto di generoso amore, quello vero e profondo, nel groviglio caotico dei rapporti famigliari dovuto allo spaesamento causato dal dolore. Un modo intelligente di affrontare con apparente normalità e tentata allegria, una tragedia inaccettabile e lo sconvolgimento che essa porta nei rapporti tra genitori e figli, tra marito e moglie, tra vicini di casa, a scuola e tra chi, tra questi, ancora non pensa di dover affrontare così tanto dolore. Applausi e lacrime a tutte le proiezioni. Nota di merito anche alla colonna sonora.

In concorso anche Lan Xin Da Ju Yuan (Saturday Fiction), diretto da Lou Ye, regista cinese, già presentato a Venezia, alle Giornate degli autori nel 2011 con Love and bruises. La sempre brava Gong Li, (tra i suoi film: Lanterne rosse, a Venezia nel !991, La soria di Qiu Ju, con il quale vinse la Coppa Volpi nel 1992, Addio mia concubina e Memorie di una geisha) interpreta Jean Yu, una celebre attrice che ritorna a Shanghai, nel 1941, mentre, fin dall’inizio dell’occupazione giapponese, la Cina è terreno di una guerra di intelligence tra gli Alleati e le potenze dell’Asse. Lei torna apparentemente per recitare in Saturday Fiction, in un teatro locale, diretta dal suo ex amante. Ma qual è il suo vero scopo? Liberare l’ex marito arrestato per dissensi con il regime? Carpire informazioni segrete per le forze alleate? Fuggire dalla guerra con il suo amante? Diventa sempre più difficile distinguere gli amici dagli agenti sotto copertura, mentre tutto sembra sfuggire al controllo, Jean Yu inizia a chiedersi se rivelare ciò che ha scoperto sull’imminente attacco di Pearl Harbor. Il film, girato tutto in bianco e nero, con molta pioggia e una Shanghai più intima e meno spettacolare, ha avuto un grande consenso di critica e, perciò, un premio si aspetta anche qui.
Intanto la temperatura da due giorni è diventata ideale, l’afa è finita, si spera per sempre, e il red carpet si riempie di eleganti (non sempre) sovrapposizioni.
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