31 dicembre 2023

Il film del nostro tempo: breve guida al cinema del 2023

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Tempi di bilanci, che quest'anno arrivano su exibart tramite commenti e affondi su temi specifici dell'arte e della cultura: cosa abbiamo visto al cinema nel 2023 (e negli anni ’80)

Napoleon

C’è una scena di Napoleone (Ridley Scott, 2023) particolarmente significativa. Ma non per lo svolgimento della storia, per i messaggi o per quello che potrebbe rappresentare. Nulla di tutto questo. Questa scena l’ho trovata fondamentale per il modo in cui Joaquin Phoenix ondeggia, vestito di tutto punto, con corona di alloro e scettro regale, tra i corridoi della Cattedrale di Lincoln (alias Notre-Dame de Paris) pochi attimi prima della scialba, a tratti scanzonata e provocatoria incoronazione come Imperatore dei Francesi. Il film è il kolossal di Ridley Scott, che però tende a nascondersi per 155 minuti, fino a mostrarsi tale solamente alla fine, con tutta la sua potenza espressiva e cinematografica, nella battaglia di Waterloo.

In ogni caso non so dire se quell’andatura ciondolante e ai limiti dell’ebbrezza sia parte dell’interpretazione di Phoenix o un atteggiamento storicamente accertato. Ma la dice lunga su una cosa. Mi è sembrato il perfetto esempio su come oggi vengano usate, sfruttate le storie ai giorni nostri. In modo irriguardoso, scanzonato, quasi sprezzante. È roba nostra e ne facciamo quello che vogliamo. Anche l’amore tra Giuseppina e il Bonaparte è da romanzetto rosa, senza alcun criterio e verità storica narrativa. Agli storici non sono assolutamente piaciuti il bombardamento delle piramidi – «Mi sembrava un’immagine potente per dire in un secondo che ha conquistato l’Egitto» – la battaglia di Austerlitz in stile Games of Thrones (soldati che annegano in un grande lago ghiacciato), la carica di cavalleria a Waterloo con Napoleone novello William Wallace. Eppure Scott coglie nel segno. È il Zeitgeist, signori. È il nostro spirito del tempo. È soltanto show? Solo rule of cool? O c’è qualcos’altro sotto?

Ben lontani in ogni caso i tempi de I Duellanti (1977), capolavoro agli albori del cinema di Scott, che narrava l’ossessione per i duelli di due ufficiali dell’esercito napoleonico che attraversavano un’era di guerra generalizzata, interiore ed esteriore. Era un cinema saggio, che affiancava la Storia senza la pretesa di fagocitarla, includerla, raccontarla. Troppo grande, troppo vasta la Historia magistra vitae per farla entrare in 2 ore e mezzo. Lezione simile quella di Kubrick con Barry Lyndon (1975). Piccole storie, grandi scenari. Tutto fino agli anni ‘80. A quel punto le cose sono cambiate totalmente.

Sull’onda della nuova massa

A parte la scoperta/invenzione della serialità con pellicole come Rocky e Rambo, Karate Kid, Indiana Jones, Ritorno al Futuro, Terminator, Alien, che riproducevano in grande gli universi narrativi e fantastici in cui immaginarsi e viversi, aspettando la prossima puntata. Qualcosa di molto simile al fenomeno delle serie tv esploso proprio in quegli anni (Magnum P.I., Miami Vice, A-Team, McGyver, Star Trek-Next Generation, Super Car, Baywatch…).

Magnum P.I.

A parte la nascita di una fantascienza divertente e scanzonata (E.T., Ghostbusters, Corto Circuito, Star Wars), dei vari romanzi di “formazione” (Goonies, Stand By Me, Flash Dance e Dirty Dancing), di una visione positiva e fumettistica dell’esistenza (Blues Brothers, Chi ha incastrato Roger Rabbit, Batman). Ecco, succede qualcosa nel cinema e nella tv di quel periodo. Il linguaggio dell’immagine e dell’immaginario diventa epos, romanzo educativo, universo musicale diffuso e martellante (tramite radio e tv come Mtv, nata nel 1981) e forse, per la prima volta, grazie alla potenza dei nuovi media, nasce una “pedagogia” di massa, al gusto, all’ascolto, alle idee, fornita di modelli educativi e comportamentali (americani ovviamente).

Goonies

E noi? Non stiamo vivendo una fase simile? Di potenti mezzi espressivi e comunicativi, legati a una sorta di (ri)educazione collettiva all’immaginazione attraverso le storie, la fantasia e il racconto per immagini? E ovviamente gli 80’s sono il punto di vista privilegiato, il più imitato e desiderato.

Non fosse altro perché la maggior parte dei registi, creativi e think tanker hanno ormai più di 40 anni e sono cresciuti proprio in quel brodo culturale (e quindi tenetevi perché ne saremo immersi per molto tempo).

E cosi viviamo e vivremo questa lunghissima 80’s wave, partita nel 2016 con Stranger Things su Netflix e arrivata fino a noi, gonfia di propositi, saccheggi, appropriazioni indebite, rivisitazioni e orribili maglioni multicolor. E il 2023 che ci lascia sembra aver non solo confermato ma addirittura portato a livello di core business del visual entertainment (pellicole e serie tv) proprio questa tendenza. Che è irta di suggestioni e possibilità ma anche di rischi e involuzioni, artistiche e ideologiche.

Stranger Things

Così, il Napoleone di Ridley Scott, nella sua veste epica-egotica; Barbie di Greta Gerwing, leggero e pesantissimo, distratto e impegnatissimo allo stesso tempo; la sua nemesi distruttiva e chiaroscurale del glaciale Oppenheimer, di un sempre più rarefatto e indisponibile alle masse Chistopher Nolan; Gli Spiriti dell’Isola di Martin McDonagh, con Colin Farrell, alla ricerca di una nuova dimensione umana, naturale quanto irreale e fantasmagorica. Rebel Moon, la space opera tutta bicipiti e CGI del maestro della cinematics alternativa Zack Snyder. E infine il lungometraggio di modestia e napoletana saggezza: Mixed by Erry, santuario tutto napoletano e pezzottato proprio degli anni ‘80.

Napoli anni ’80 e altre way of life

Perché tutti questi lavori, in modo evidente e non, richiamano quel periodo fantastico e folle allo stesso tempo? Ognuno di loro cavalca un’onda, una spinta, un sentiero praticato allora e riproposto oggi. Proprio il bellissimo lavoro di Sydney Sibilia, Mixed By Erry, ci svela l’arcano. Solo a Napoli è stato possibile non solo immaginare ma attuare un modo alternativo, costruito dal basso, dalla fantasia e dai desideri più reconditi. Il negozio “reale” a Forcella, quartiere povero della Napoli anni ‘80, anzi verissimo (non una bancarella) con orari, scaffali, ordini dei fratelli Frattasio che vendevano cassette e cd falsi, ci hanno permesso di immaginare e praticare un mondo che non poteva esistere eppure c’era, viveva, si esprimeva. Soprattutto rendeva veri i bisogni della gente, la sua voglia di avere cultura, musica, divertimento (quasi) gratis. Un’utopia. Una sfida alla realtà, contornata di magia e gusto alquanto tamarro. Insomma ‘80 purissimo.

Mixed by Erry

Così, di contro, i due film zenith e nadir del 2023. Oppenheimer e Barbie, presi in giro da migliaia di meme, battute, ironie, fotomontaggi ma che meglio di tutti hanno saputo esprimere gli orizzonti (estremi e paradossali) della way of life americana. Il mondo di plastica, finto e delimitato della bambola della Mattel, affaticata dalla ricerca di una perfezione irrealizzabile e corrotta dalle fondamenta, per l’emersione di tutto ciò che in fondo è il senso oscuro della vita. Il potere e il mutamento. Semplicemente inaccettabile per chi, essendo di plastica, arriverà alla fine dei tempi soltanto con qualche graffio e magari senza qualche braccia o gamba.

Barbie

E proprio di distruzione totale, immanente e del potere di deciderne a piacimento, racconta Oppenheimer: la storia del nostro World Destroyer. Sebbene sia ambientato negli anni ‘40, il film ricorda tutta quell’angoscia, quella futilità, quel senso di meccanica infernale, a orologio, in cui si è calati, senza poter fare nulla. Senza la possibilità di contare qualcosa in questo great game in cui siamo impigliati. Oppenheimer ricorda infatti, più che Il Dottor Stranamore (1964, scanzonato, ironico, apocalitticamente esilarante), The Day After (1983) per quel senso di catastrofe reale, quotidiana, immanente, quasi auspicata.

Oppenheimer

Vivere il sogno

E qual è il luogo dove rifugiarsi, dove scappare? Certo una catastrofe nucleare sconvolgerebbe la vita di ogni creatura sulla terra. Ma magari, tra un’isola verde, in mezzo al Mare del Nord, tra elfi, boschi e soprattutto animali capaci di “parlare” con gli occhi, in modo gentile e dialogante. Insomma tutto ciò che ci ha regalato Gli Spiriti dell’Isola e quella magia irlandese degli anni ‘80-‘90, raccontatici in modo sublime ormai 40 anni fa dai primi dischi degli U2 (Boy, War, October) o da pellicole come The Commitments (Alan Parker, 1991) o The Dead – Gente di Dublino (John Huston Mary, 1987). Un’operazione elegante e musicalmente forbita quella de Gli Spiriti dell’Isola, che rievoca un’arcadia europea, vicina, a poche ore di aereo, che può rifocillarci e farci riascoltare quel nature sound ormai perduto nelle nostre vite.

Gli Spiriti dell’Isola

Infine Rebel Moon, lavoro tutta Netflix e slow motion di Snyder, nell’improbabile e difficilissima operazione di recuperare quella leggerezza, quella freschezza, quella immaginazione romanzesca da space opera e fantasy di Star Wars, che all’epoca riusciva a farci vivere in modo puro e manicheo le emozioni di una guerra ultra galattica (i Rebel americani contro l’Impero Galattico Sovietico) attraverso l’esotismo di un viaggio consumato tra stelle e asteroidi, con spade laser e giovani e avvenenti ribelli pronte a salvarci.

Rebel Moon

Missione impossibile da portare a termine, caro Snyder. Ma si sa, il regista di Green Bay ci ha abituati a imprese folli e bellissime (Watchman, 300) ma soprattutto epici fallimentari (Justice League, Army of Dead e tanti altri). Non poteva farsi scappare dunque questa opportunità di confrontarsi con la (space)way of american life.

E torniamo infine a Lui, a Napoleone. A colui che voleva conquistare tutto. In ordine di difficoltà: il mondo, il cuore dell’amata che però deve ripudiare perché sterile ma, soprattutto, la fiducia e l’affetto (negato dall’austero e sorprendente Duca Wellington-Rupert Everett) di piccoli ragazzini guardiamarina, addetti alle sue necessità sulla nave che lo porterà alla fine dei suoi giorni. Ebbene non si può chiudere che con lui, Napoleone. È stato sicuramente l’eroe più anni ‘80 della storia universale. Implacabile, sognatore, grezzo, kitsch. E per questo il mondo era e sarà sempre ai suoi piedi.

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