25 giugno 2012

Figli di una critica minore

 
Con questo intervento di Maria Rosa Sossai, apriamo uno spazio di discussione sul ruolo della critica oggi in Italia. Messa in ombra da attività più gratificanti, come la curatela, e penalizzata dall'assenza di retribuzione

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Da anni in Italia la parola del critico d’arte sembra essersi appannata, rivelando una crescente difficoltà a esprimere un punto di vista autorevole nelle questioni riguardanti il valore e il senso dell’opera d’arte. Le cause di questa sua perdita di autorevolezza sono da ricercarsi in una serie di fattori non solo di ordine politico-economico ma anche di miope strategia culturale da parte degli stessi soggetti che operano nel settore dell’arte. Proviamo a elencarne alcuni: le collaborazioni per lo più gratuite con giornali e riviste scoraggiano un serio impegno professionale, così come l’assenza di sostegno economico alla produzione di saggi, libri e pubblicazioni o la difficoltà di accesso a borse di studio che permettano di approfondire filoni di ricerca. Chi desidera iniziare un’attività di scrittura critica comprende da subito quanto sia difficile dedicarsi esclusivamente a questa professione in modo rigoroso, senza dover svolgere contemporaneamente altri lavori. La mancanza di sbocchi lavorativi spinge quindi molti aspiranti critici a frequentare master brevi, spesso a costi molto elevati, sulla curatela e l’organizzazione di mostre ed eventi. La proliferazione di questi corsi dimostra come nell’opinione corrente essi siano considerati canali di accesso a professioni di prestigio culturale e di sicuro risultato economico.

Questa situazione di impasse si riflette anche nella letteratura di settore dove non esiste un termine corrispondente a quello inglese di art writer, dato che gli scrittori d’arte in Italia sono spesso filosofi, scrittori tout court o poeti che si occupano di estetica e frequentano le mostre e gli artisti. E ciò evidenzia un dato tipicamente italiano, quello di un mancato ricambio generazionale nel campo della critica che ha creato un gap tra l’Italia e gli altri paesi. Ma il progressivo relegamento della critica d’arte in una posizione di secondo piano ha ragioni più lontane. «L’unica emozione che l’arte sembra riservarci oggi si lega allo stupore per certi impressionanti valori di mercato delle opere d’arte», scrive Todorov in un’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica, «e l’idea di bellezza, che ha abbandonato da tempo l’arte contemporanea, si è rifugiata in altre attività, prive di pubblico riconoscimento». Quando negli anni Sessanta-Settanta i movimenti d’avanguardia dichiaravano l’affrancamento dell’arte da categorie estetiche preesistenti e dai valori borghesi del sistema capitalistico, affermando il diritto di chiunque a esercitare il proprio personale pensiero e la propria azione, di fatto decretavano il tramonto del giudizio critico. Lo statement ricorrente di artisti come Beuys, siamo tutti potenziali artisti, equivaleva a dichiarare che siamo tutti potenziali critici, in linea con i principi democratici di libertà e uguaglianza. Il critico veniva di fatto esautorato dalla sua funzione di mediazione tra l’artista e il pubblico. Nell’era post concettuale sono gli stessi artisti a teorizzare spesso sulla loro ricerca oppure scelgono di collaborare con intellettuali non strettamente riconducibili al sistema dell’arte. Ma accade che il successo di un artista sia sempre più spesso determinato da fattori che esulano da criteri critico-teorici quali il loro valore di mercato alle fiere e alle aste. La traduzione della qualità estetica dell’opera in termini meramente economici però, se nei tempi brevi può rivelarsi efficace e remunerativa, nei tempi lunghi si svela per quello che è, un’operazione speculativa di art dealers e addetti ai lavori guidati dal desiderio del profitto. Come può allora la parola del critico ritrovare una necessità d’essere e una centralità in un mondo in cui le regole evolvono a un ritmo continuo? E qui ritorniamo al punto di partenza del nostro discorso. Forse una possibile risposta è nella scommessa di dare forza e sostegno all’attività di ricerca, con finanziamenti adeguati che permettano di esercitare la professione di critico. Di scrivere e pubblicare con retribuzioni adeguate, di sganciare la ricerca dalle speculazioni del mercato che rispondono a logiche e mode del momento. Di dare a tutti l’opportunità di studiare e di scoprire insomma la passione per lo studio e la conoscenza.

13 Commenti

  1. Condivido in pieno questo contenuto soffrendo da anni per la questione. Sono una critica d’arte e adopero la scrittura espositiva quando progetto delle mostre, le curo e ne scrivo i testi per il fondamentale catalogo. La curatela è altra cosa, una disciplina che mi trovo “incollata addosso” per una pratica, molto italiana peraltro, di mischiare le carte in modo approssimativo. E speriamo infine che i critici d’arte possano fare ricerca e approfondire godendo dell’appoggio delle istituzioni e non da “bersaglieri” come personalmente faccio da anni. E non solo io. Faccio la critica d’arte anche sostenendo, e dirigendo, una associazione culturale, scatolabianca, che “nutriamo” noi soci fondatori e alcuni illuminati amici da anni senza aiuto alcuno. Grazie a MRS, martina cavallarin

  2. io credo che statutariamente (lasciando perdere le sue devianze letterarie e declinazioni speculative: tipo critici-teorici, critici-filosofi, critici figli di Beuys, critici postmoderni e altri ancora… avrei voluto che fossero stati fatti dalla Sossai dei nomi e cognomi di critici d’arte…tanto per capirsi meglio…) la critica d’arte tout-court sia essenzialmente di natura parassitaria, anche in senso buono naturalmente. Quindi nel momento in cui l’arte oggi non ha più un “potere” di presa del reale, ovvero ha perso buona parte della sua funzione di semplice atto comunicativo (…quindi anche la vendita di opere d’arte!) e si è rifugiata nelle varie “tane che hanno già il loro padrone”, come la filosofia, la politica, la sociologia, l’antropologia, la tassonomia… e mi fermo…, è logico che la critica d’arte non ha, in quanto parassita, animale a cui attaccarsi per vivere… se non autofagocitarsi…

  3. E’ vero che la scrittura critica, nel sistema dell’arte visiva oggi, è in crisi, non direi però solo per la sua pessima o nulla remunerazione (fatto incontestabile, se si escludono firme non necessariamente eccelse nelle analisi ma forti invece a livello istituzionale o di mercato). Il disvalore economico riflette il disvalore attribuito alla scrittura critica in sé. Tutte le posizioni relativistiche nate a margine del nichilismo teorico ed esistenziale e dell’ideologica equivalenza fra interpretazioni insostanziali (diciamo dagli anni 80) hanno ampiamente contribuito a delegittimare la parola critica “forte”, senza contare il terrore superstizioso (di vecchia data) degli artisti visivi rispetto all’analizzabilità del loro lavoro. L’adesione allo spettacolo ha fatto il resto, donde la moltiplicazione di curatori sgusciati da un c erto numero di seminari accuratamente spendibili e la pletora di intervistatori estetici del nume di turno. L’intervista ha sostituito il saggio, e se il critico scrittore non organizza freneticamente mostre e non è al servizio degli artisti (o dei galleristi) non esiste. Battere lo spettacolo è dura, la parola critica deve avere le armi e la gioia di sé in quanto arte anch’essa che si mostra.

  4. Qualcuno, certo ricorderà di come sia nata la Transavanguardia di ABO. La genialità di aver fondato un movimento quasi dal nulla. Gli artisti che sfondano alle aste, sono quelli portati dai critici. Non ci vanno certo da soli
    e i critici, quasi sempre con la puzza sotto il naso, hanno sempre da fare altro. Per cui mi sembra impossibile quanto afferma MRS che lavorano gratis. A loro sono destinate direzioni di Musei, Pinacoteche,e Spazi Espositivi di Regioni, Stato, Comuni e non credo lo facciano a titolo gratuito. E siccome chiedono tanti di quei soldi per le collaborazioni agli artisti in primo luogo e poi alle Istituzioni, gli artisti stanno imparando al “fai da te”per portare avanti il proprio lavoro d’artista e, possibilmente quello di altri artisti, senza dover scalare le cime dell’Everest per arrivare a un critico d’arte. Lavorano gratis? E gli artisti chi li paga? I musei sono pieni di opere DONATE dagli artisti e non certo dai critici. Quando si abbatterà quel muro di cemento tra artisti e critici, che si potrà ragionare alla pari per
    qualsiasi prodotto artistico e si potrà parlare serenamente di un progetto, allora sì
    che il discorso cambia. Mi sembra che l’intervento di MRS miri proprio al fattore economico. Un fattore che in Italia è morto
    da tempo. Ah! dimenticavo, anche la curatela farà la stessa fine.

  5. IL MERCATO: Brutta bestia!!!

    Il mercato ufficiale dell’arte gestisce magnificamente i destini e le risorse, dando valore molto spesso a ciò che valore non è, con operazioni del tutto speculative e commerciali. Il successo di un momento non è mai la certezza del domani in cui si definiscono e si stabilizzano le idee e le cose. Anche noi “scrittori dell’attualità e precario ”, prestati alle logiche del momento facciamo la nostra parte concedendoci ai giochi sporchi di alcuni, diventando spesso semplici cronisti di una attualità del tutto inattuale. Non bastano i finanziamenti per risollevare una critica poco critica e indifesa. Occorre un po’ di orgoglio, di dignità culturale e anche una certa onestà a cercare di mettere a posto qualche malsana idea che può trasformarsi in una maledetta punizione per chi s’illude ancora di fare arte e critica d’arte. Sandro Bongiani

  6. forse il problema non è solo della critica, anche se in qualche modo è lontanissima dal comunicare alla gente l’arte ma a volte diventa solo uno spumeggiare tautologico di eticità filosofiche dimenticando il vero tema, l’arte e la sua chiave di lettura, ma della mancanza di musei d’arte contemporanea, spazi pubblici e privati di comunicazione dell’arte nelle scuole. Pochi quotidiani danno spazio all’arte e figuriamoci gli stessi nelle pagine provinciali , comunicare un evento efficacemente è un impresa . Se fossimo un paese normale ameremmo l’arte sia classica che contemporanea senza avere limiti storici e accoglieremmo nuove firme sulle pagine cartacee o virtuali dei media o si studierebbero eventi tv vivaci e costruttivi sull’arte contemporanea nascerebbe cosi una nuova critica e nuovi linguaggi critici e sicuramente retribuiti….nella misura giusta….poche pop star e tanta curiosità e passione .

  7. Maria Rosa Sossai tocca temi nodali e illustra fenomeni che hanno ridimensionato notevolmente il ruolo della critica oggi in Italia (e non solo). Si insiste in particolare sulla questione economica e su quella educativa, tra l’altro strettamente connesse in tempi di crisi e di tagli all’istruzione e alla ricerca. Proprio la fragilità della prassi didattica e il proliferare di percorsi di studio disorganici e modellati sulle richieste del mercato del lavoro hanno contribuito da un lato a un livellamento verso il basso dello spessore culturale, dall’altro all’inconsistenza del pubblico dotato degli strumenti necessari per comprendere l’arte e la scrittura critica.
    Ho apprezzato non solo l’articolo, ma anche alcuni commenti successivi, in particolare quello di Luciana Rogozinski, che mette in luce il nesso tra il relativismo postmoderno, il nichilismo teorico e l’adesione incondizionata a un sistema fondato sullo spettacolo e sul mercato, che ha condotto all’attuale crisi dell’interpretazione (e più alla radice, della rappresentazione stessa).
    Tornando al problema centrale, vale a dire la possibilità di esprimere un punto di vista autorevole in merito al valore e al senso dell’opera d’arte, mi sembra che il dibattito filosofico in atto e i tentativi di superare le forme più estreme di relativismo, recuperando uno stemperato principio di verità, aprano nuovi scenari anche nel campo della critica d’arte.
    Non è possibile dare indicazioni stradali senza conoscere la meta da raggiungere. Allo stesso modo un’idea confusa e vaga delle finalità da perseguire impedisce a una collettività spaesata di individuare criteri solidi, seppure non oggettivi, per valutare le decisioni politiche, le scelte economiche, i comportamenti sociali e i fenomeni culturali. Una massa disorientata, che non percepisce distintamente il senso della propria esistenza, non è in grado di assegnare il giusto valore a nulla, tanto meno all’arte. Ogni definizione di valore non può prescindere dalla relazione con scopi e finalità. Il valore di un’opera d’arte non può che essere definito in maniera soggettiva, senza alcuna pretesa di universalità, ma esiste sempre in relazione a un fine. Come ogni atto dell’uomo sulla terra, la creazione artistica persegue uno scopo, che è ogni volta diverso a seconda delle intenzioni dell’artista, del contesto di fruizione dell’opera, della sensibilità del pubblico. Quanto più l’arte si avvicinerà all’obiettivo sulla base del quale la si valuta, tanto più avrà valore. Compito della critica è esplicitare i criteri di valutazione sulla base di chiare finalità e scopi precisi. Gli obiettivi, poi, non devono essere necessariamente condivisi da tutti. Per questo motivo esistono gusti differenti, certa arte piace e altra no. L’importante è che il pubblico capisca perché qualcosa incontra il suo gusto. Un’opera non può piacere solo perché qualcuno ha deciso così.

  8. Personalmente, pur condividendo in linea di massima, aderisco al commento di Claudio Parrini.

    Il problema esiste, è storico e sociale, e soprattutto di formazione. Penso anche a docenti universitari che hanno fatto della critica il loro hobby semantico… fuffa d’ateneo spalmata su giornali, testi di esposizioni et similia.

    Aggiungo che non ho mai amato la divisione manichea del critico dallo storico d’arte che ha imperversato per molti, troppi anni.
    C’è un po’ di colpevolezza della categoria dei critici, credo, anche se l’imperare delle logiche di mercato, della società dello spettacolo e dell’ignoranza imposta nelle scuole hanno peggiorato la situazione.

    Serve conoscenza, alla base, ma credo che pure la divulgazione debba rilanciarsi, anche solo per supplire a ciò che le agenzie formative non danno più (o lo danno male).

  9. I critici d’arte nostrani sono al servizio completo del mercato e delle gallerie. Non frequentano spazi ed operatori alternativi e non citano mai artisti che non facciano parte del circuito mercantile ufficiale. E’ inoltre facilmente rilevabile un bassissimo livello di esercizio del pensiero critico ed una scarsa preparazione culturale che spesso li spinge a valorizzare lavori assolutamente mediocri. La cosa divertente è poi che negli articoli (come questo che stiamo commentando) compaia una critica alla sudditanza mercantile ed all’impreparazione culturale degli altri, dei colleghi. Basta leggere i loro testi scritti col bilancino dove evitano accuratamente di parlare dei cani sciolti e si impegnano nell’apologia degli artisti delle scuderie affermate, in modo da incrementare il loro valore economico.

  10. Trovo molto interessanti sia l’articolo che i commenti. Alcune considerazione, come amatore di arte.

    – ritengo essenziale il ruolo dei critici d’arte (cosi come di letteratura), nel loro ruolo di traghettatore. Proporre chiave di letture, punti di vista originali, corrispondenze fra le opere o fra le epoche, che aprono nuove porte. Nel corso della mia vita, le mie scoperte artistiche sono state fedelmente accompagnate, e a volta trasformate, da complementi critici

    – Non credo molto alla democratizzazione della critica. Ogni opera d’arte esiste e si esprime in un contesto, spesso complesso e questo contesto non puo essere un minore denominatore commune a tutti.

    – la questione economica e sfidante. Il lavoro del critico a un valore per me, e sono pronto da pagarlo (abonnamento a una rivista, comprare una monografia), anche senza scopo di investimento. Avra anche un valore, che probabilmente ben superiore, per chi cerca da realizzare un investimento, soprattuttto se si tratta di ciffre sostanziosi. Allora certo, laddove c’e un mercato dell’arte, c’e un valore mercantile della critica (e c’e sempre stato). Ma non solo

    – Non vedo bene un ruolo dello stato nel supportare la critica d’arte. Un critico che dipende del mercato o dipende dello stato mi sembra perdere lo stesso la sua singolarita. Ma ovviamente, questo e probabilmente un ragionamento un po simpliste.

  11. I critici d’arte nostrani non sono a servizio completo del mercato e delle gallerie ma peggio, “a mezzo servizio”. Contemporaneamente le riviste alla moda dal richiamo facile promettono nuovi percorsi e nuove proposte che in definitiva si rivelano furvianti e spesso decadenti. Se non fai parte del cirtcuito che conta non sei davvero nessuno. Tutta la critica che conta risulta al servizio di chi è più forte e quasi tutte le riviste che conosco non sono da meno in questo strano paese di provincia.

    Cordialmente Sandro Bongiani

  12. “FIGLI DI UNA CRITICA MINORE”/Sul ruolo della critica oggi in Italia.
    ______________________________________________

    1-. Come artista – non mi servo dei critici d’arte – sono in grado di essere (in piena umiltà e vera autonomia) critico di me stesso, in questo sono molto critico, e lo sono anche per certi critici. Ritengo che certi critici facciano quest’attività perché sono degli artisti falliti.

    2-. Ho stimato molto Lionello Venturi, Franco Sossi, Palma Bucarelli, Giulio Carlo Argan, Pierre Restany, Cesare Brandi, Filiberto Menna.
    Ora apprezzo l’impegno critico di Germano Celant, Achille Bonito Oliva e dei giovani: Carmelo Strano e Valerio Dehò.

    3-. La mia stima profonda per il critico d’arte va – con grande ammirazione, rispetto per lo studioso profondo e per la ricerca intelligente sull’arte – all’artista Gillo Dorfles.
    – Da Gillo Dorfles ho sempre imparato e oggi ancora di più per: il suo buon gusto, la sua grande intelligenza e umanità. _______________________________________________

    delpiano.artepura@libero.it
    Grottaglie/Taranto – Dom. 01-07-2012 (H. 07:32)

  13. un vero critico dovrebbe essere prima di tutto un filosofo,uno studioso che conosca l’ontologia tecno-artistica-sociale del proprio tempo…..un ri-cercatore che analizza la realtà attuale per coglierne la con-temporaneità del fare arte….etimologicamente CON-TEMPORANEITà non significa come crede vittorio sgarbi,la presenza ancora oggi di opere d’arte del passato,ma: QUALCOSA CHE è IN DIVENIRE,TRANSITORIA,CHE Hà UN INIZIO E PROIETTANDOSI VERSO IL FUTURO,AVRà UNA FINE,VIVE E SI ATTUA (LE) DEL-NEL PRESENTE,SENZA UNA DURATA DEFINITA A PRIORI….LA CON-TEMPORANEITà DELLE OPERE DEL PASSATO,VIENE INVALIDATA NEL MOMENTO IN CUI ESSE PERDONO IL LORO AGGANGIO-COLLEGAMENTO CON LA REALTà CULTURALE-SOCIALE-TECNOLOGICA-ANTROPOLOGICA-ONTOLOGICA IN CUI SONO NATE.L’UNICO STUDIOSO-RI-CERCATORE ESTETICO CHE Hà COLTO LA CON-TEMPORANEITà NEL SENSO PRIMA DESCRITTO,è IL PROFESSOR MARIO COSTA,CHE DA ANNI SI OCCUPA DEL FENOMENO DA LUI DENOMINATO NEO-TECNOLOGICO,CIOè L’OPERARE ARTISTICO CHE UTILIZZA GLI STRUMENTI DEL NOSTRO TEMPO….L’INTERO SISTEMA DELL’ARTE DELLA RAPINA,è DECREPITO,MUMMIFICATO,CON LO SGUARDO RIVOLTO AL PASSATO,SENZA OCCHI PER GUARDARE AVANTI,E I CRITICI FAMOSI E NON SONO DEI CIECHI GUIDE DI ALTRI CIECHI.

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