10 dicembre 2013

Parola di curatore

 
di Micol Di Veroli
La mostra al Macro Testaccio, dedicata all'attuale scena artistica israeliana, dà l'occasione alla curatrice di raccontarci la sua esperienza. Le difficoltà per concretizzare il progetto, le "paure" del curatore. E le possibili soluzioni

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Il 31 gennaio 2013 ho inaugurato la mostra “Israel Now – Reinventing The Future” al Macro Testaccio di Roma, una piattaforma culturale trasversale e multidisciplinare. Il mio obiettivo era riflettere il dinamismo di una cultura che affonda le proprie radici in una spiritualità millenaria. Con questo progetto, strutturato attorno ad una selezione di ventiquattro artisti israeliani provenienti da esperienze e generazioni diverse, mi premeva aprire molteplici sguardi sul futuro, per offrire una possibile concezione alternativa della produzione e della fruizione artistica. Ovviamente la domanda sorge spontanea: Come può una giovane professionista come me curare un importante evento di arte contemporanea come questo all’interno di uno dei più prestigiosi musei d’Italia? Ebbene, tale quesito mi è stato posto varie volte in questi ultimi giorni e devo dire che la cosa inizia a divertirmi non poco. Nell’Italia della corruzione, del nepotismo e del clientelismo sembra oramai inverosimile il fatto di poter accedere ai luoghi che contano senza “sporcarsi” le mani o cedere ad alcuni compromessi. Quando però l’unica risposta alle mille domande maliziose è un solido progetto, gli sguardi bovini si moltiplicano ed i più stentano a credere ciò che in realtà dovrebbe essere la norma.

Eppure alla base di “Israel Now” c’è solamente il lavoro che ogni curatore indipendente dovrebbe fare. Si parte dallo studio e dalla ricerca e si passa agli studio visits, si costruisce una solida base critica e si studia ancora. In seguito si segue il cammino degli artisti, si stila il progetto e si prosegue con il fundraising ed il rapporto con le gallerie private. Con questo non sto dicendo che tutti possono fare il curatore, ma chi ha già intrapreso questo periglioso mestiere spesso si adagia sugli allori ed attende il cambiamento invece che rappresentarlo. Personalmente sono stata impegnata nello sviluppo di questo progetto per circa quattro anni, vale a dire da quando ho iniziato a seguire la scena israeliana recandomi più volte sul posto. Dopo aver scelto attentamente gli artisti partecipanti ed aver strutturato la base ideologica/didattica del progetto, lo stesso è stato proposto ad importanti istituzioni quali l’Ambasciata d’Israele in Italia e la Fondazione Italia-Israele per la Cultura e le Arti ed a realtà come Drago Publishing che hanno vagliato l’opportunità di sostenere la mostra sia economicamente che fattivamente. In seguito la direzione del Macro ha avuto la giusta sensibilità per accogliere il mio progetto. In mezzo a tutto questo c’è una pletora infinita di giorni frenetici, errori, delusioni e tanti, tantissimi “no”.

Ovviamente il successo dell’evento riesce a far dimenticare in un attimo tutte le fatiche, ma organizzare una mostra con ventiquattro artisti di grande caratura internazionale come Michal Rovner, Nahum Tevet, Yael Bartana e Keren Cytter e con la responsabilità di dover rappresentare l’espressione creativa di un intero Paese non è di certo un impegno di poco conto. Ho concepito “Israel Now” come una mostra di ricerca, di avanguardia nel senso più reazionario del termine, pensando non solo al sistema bensì all’opera ed al fruitore. Le opere sono state scelte in comune accordo con gli artisti dopo lunghi dialoghi e lo spettatore è guidato all’interno della creatività israeliana mediante il supporto di tavole sinottiche e didascalie comprensibili e soprattutto ben visibili, questo significa rispettare i requisiti minimi della didattica.

Inutile prenderci in giro, la curatela contemporanea è spesso soggetta a meccanismi di pensiero dettati dalle mode della controcultura e da un assurdo esclusivismo, ma non sempre tutto questo funziona quando si parla di artisti, di musei, di pubblico e di comprensione. Spesso il progetto diviene l’espressione soffocante dell’ego del curatore ed a farne le spese sono gli artisti e le loro opere, subordinate ad una logica stringente e poco chiara. Lo spettatore, di riflesso perde la bussola ed il sestante e non riesce a trovare spiegazione alcuna, se non un vago testo introduttivo che confonde le acque invece di chiarificarle. Questo accade perché il giovane curatore ha paura dell’accessibilità, ha paura di quella genuinità pasoliniana che non significa di certo trasmettere concetti ed emozioni troppo facili.

Già, la paura è il nostro più grande limite, poiché siamo convinti che sia impossibile proporre un progetto ad un importante museo nazionale, proponendo una nuova scena artistica con pochi fondi a disposizione. Ebbene, dovremmo lasciar cadere la penna per una buona volta ed andare a parlare con gli artisti, con il pubblico e con le aziende, attivarci per far vivere il nostro progetto. Nessuna istituzione rifiuta una solida mostra autofinanziata, con artisti ed opere di grande caratura. Questo ogni curatore dovrebbe saperlo.

Micol Di Veroli

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