05 luglio 2012

Io, il Sole e Pascal

 
Il momento è propizio per riflettere. Così Ettore Favini ci porta a rivedere il suo lavoro, alla luce della sua ultima mostra e di quello che sta facendo in un posto molto isolato. Ma soprattutto alla luce del Sole

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In questo momento della mia vita sto riflettendo sul lavoro fatto finora e scrivere questo pezzo è stata l’occasione per soffermarmi ad analizzare la mia produzione, per capire meglio il lavoro svolto, i collegamenti tra un’opera e l’altra, le parti silenti o inconsce, aprire le scatole e tirare fuori quello che sta dentro.

Mi ha aiutato molto anche il luogo in cui mi trovo, Civitella Ranieri (dove sto facendo una residenza) luogo isolato da tutto, il cui unico collegamento con il mondo è dato dal telefono e che chiaramente aiuta questo processo di analisi.

Partirò quindi a de/scrivere l’ultima mostra “Sun Ra”, fatta nello spazio milanese Marselleria nel maggio scorso. Per questa esposizione, mi ero soffermato ad osservare un fenomeno naturale: il Sole e il suo movimento, cercando di astrarlo dalla classica rappresentazione. Mi chiedo però se esista una classica rappresentazione del Sole, anche perché non mi interessa il Sole in quanto tale, ma l’importanza che la sua presenza riveste all’interno della vita, il suo movimento che scandisce le stagioni e il fluire del tempo.

Mi interessa perché è la stella che da nome al sistema in cui viviamo, è l’unica stella visibile di giorno, è la più grande di tutto il nostro sistema, non possiamo guardarla direttamente per più di pochi secondi se non dotati di lenti e/o filtri particolari. Però la sua presenza si fa sentire fisicamente, se restiamo esposti alla sua luce la nostra pelle pigmentandosi cambia colore. Non continuo ora a descrivere tutto ciò che il Sole fa a livello fisico, chimico, naturale e di tutto quello che con il Sole si può fare e quante applicazioni possiamo ricavare da esso, sarebbe troppo lungo e fuori contesto.

La cosa che più mi intriga in assoluto è la figura che nel cielo si produce fissandolo su pellicola: una forma a “8” chiamata analemma (per i greci la base per la costruzione della meridiana), testimone degli anticipi e ritardi, e delle diverse altezze assunte dal Sole nel corso delle stagioni.

La figura ottenuta è quindi un 8 simile alla lemniscata matematica (solo in questo caso l’apice è più stretto), con quel particolare simbolo matematico (∞) ci “inseguiamo” da sempre, ed è una specie di ossessione che si fa sentire come costante all’interno del mio lavoro.

Nel mio primo lavoro “Ipotesi di infinito” (o almeno quello che considero come il primo lavoro anche se realmente non lo è) riunisco due famiglie e faccio formare loro la figura della lemniscata (∞) e poi li fotografo. Il mio interesse specifico non sono chiaramente né le due famiglie che (secondo le attitudini dell’arte italiana) modellano una forma, né la loro unificazione, ma il momento sospeso che quella foto lascia dentro di sé, ovvero il congelamento di un attimo: le vite, le morti future e le  prossime  nascite…solo un attimo, irripetibile, ma sempre ripetibile.

Come nella serie “Sun Ra”, il mio interesse primario è il Sole come un lampione che illumina il suo sistema, null’altro; lui orgoglioso si staglia nelle mie fotografie dietro un cielo nero…il paesaggio, per citare Pasolini, diventa sfondo e null’altro.

Ho cercato di rappresentare questo fenomeno in vari modi, fotografandolo per un anno, sempre alla stessa ora, una volta al mese per riprodurre l’analemma.

Ho costruito un piccolo dispositivo visivo, in cui delle lenti d’ingrandimento incassate all’interno di un vetro incorniciato, sono funzionali a bruciare delle immagini tratte da varie riviste in cui ci sono immagini del Sole, così come in una sorta di gioco tautologico il Sole brucia il Sole…

Un altro dispositivo sempre realizzato con lenti d’ingrandimento, stavolta applicate ad un tronco che segna il passaggio del Sole sulla sua superficie, effettuando delle bruciature lente, giorno dopo giorno, marchiando a fuoco il tempo, in un’operazione che come nei primissimi lavori “Ipotesi di finito” non avevano mai una fine certa. In questo lavoro era forte il senso di non-finito, un senso di precarietà e di sospensione. Questo lavoro, Senza titolo, (della mostra “Sun Ra”) richiama in causa il paradosso di Zenone: 1+1=3… il lavoro è concluso quando si smaterializza. Continui ritorni ad un pensiero costante, l’infinito. Ma la natura che c’entra, perché tanti lavori sul mondo naturale? Immagino il mondo in una chiave anti-umanista, penso che in realtà l’uomo e tutte le attività umane siano estremamente inutili e dannose, infatti non tengo mai in considerazione l’uomo nel mio lavoro, non mi interessa. La natura invece, se osservata attentamente, è una fonte inesauribile di sorprese, di scoperte.

Non bisogna però avere l’atteggiamento di candido stupore davanti alla natura, ma riuscire ad arrivare ad aprirci quel baratro davanti ai piedi quando ci avviciniamo al concetto di infinitamente grande o piccolo. Quel tuffo al cuore che ti viene quando pensi al tempo senza fine, quando pensi al vuoto. Quindi, sarà pur vero che nel mio lavoro non è mai riconoscibile il linguaggio, perché spazio molto soprattutto con i media che uso per approcciarmi al lavoro, ma è pur vero che parlo sempre della stessa cosa, sono fin troppo ripetitivo…i lavori rileggendo la produzione fino ad ora hanno come in un grafico dei collegamenti tra uno e l’altro, quindi una parte sottesa di un vecchio lavoro potrebbe essere ripresa domani, un piccolo spunto da cui ripartire per farmi una nuova domanda.

Ma alla fine, per chi avesse bisogno di un aiuto per leggere meglio il mio lavoro consiglio un autore che ci ha scritto sopra parecchio: Pascal!

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