23 dicembre 2020

Arte e design nella storia delle epidemie del Novecento, dal vaiolo all’AIDS

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Dall'influenza del 1918, all'AIDS degli anni '80, passando per la poliomelite: come l'arte e il design hanno comunicato informazioni vitali, durante le peggiori epidemie del Novecento

In un articolo pubblicato su It’s Nice That, Dylan Mulvaney, head di Gretel, studio fondato nel 2005, ha spiegato come l’arte e il design siano stati veicoli di comunicazione di fondamentale importanza nel corso della storia, diffondendo informazioni essenziali durante le epidemie di influenza, polio e HIV/AIDS. Utili per portare un messaggio di speranza, l’arte e il design sono indispensabili anche per la loro potenza documentativa, per la capacità di diffondere informazioni ad ampio raggio.

Sono stati presi in considerazione alcuni lavori creati in risposta a tre storiche epidemie virali. Opere che ci raccontano le evoluzioni dell’arte e dal design tra la prima età moderna, la modernità e la postmodernità.

1918, 1948, 1980: l’arte e il design per rispondere alle epidemie

Nel 1918 ci fu una rapida diffusione del virus influenzale e vennero propagandate due campagne sanitarie che portarono a un punto di svolta nel design, settore che stava rimanendo ai margini, mentre il modernismo fioriva nel mondo dell’arte. I case study sono la campagna del Virginia State Board of Health e la campagna sanitaria del consiglio di amministrazione della città di Philadelphia: la prima promosse un tipo di informazione tradizionale con un layout denso e arbitrario che non trasmetteva nulla a colpo d’occhio, la seconda, invece, complice la chiarezza, il carattere provocatorio e pressante, diventò virale.

 

Dall’altro lato, nella scena artistica, abbiamo Egon Schiele che, per la prima volta, nel 1918 ritrae se stesso con sua moglie Edith e il figlio che stavano aspettando. L’opera rimase incompiuta data la morte della moglie causata dall’influenza, seguita dalla morte stessa dell’artista tre giorni dopo. Un’opera potente, fortemente comunicativa, dal titolo emblematico che rappresenta l’idea di famiglia e le sue aspettative spazzate via dalla febbre spagnola.

Nel 1948, un’altra epidemia devastò la popolazione: il virus della polio. Per la prima volta nel corso della storia si avviò una collaborazione tra un museo d’arte e un gruppo sanitario nazionale. Fu indetta una competizione per quale sono stati creati due poster. Uno è “One of Them had Polio” di Herbert Matter, in cui uno dei due bambini è il figlio guarito dal virus. Il secondo è “Polio Research “di Herbert Bayer. Due esempi di grafica che vennero diffusi da molte gallerie e furono riprodotti e distribuiti a livello nazionale.

Mentre, guardando ancora al mondo dell’arte, Andrew Wyeth dipinse l’opera Christina’s World. Il soggetto ritratto si ispira alla vicina di casa di Wyeth, Christina, una ragazza che da giovane sviluppò la poliomielite che la rese incapace di camminare. A prima vista, la ragazza sembra si stia riposando su un prato ma, in realtà, soffermandosi sul busto si vede come sia contratto e si percepisce lo sforzo della giovane. La sua storia colpì l’artista, in quanto rifiutò di adoperare una sedia a rotelle, usando invece le sue braccia per trascinarsi. «La sfida per me era riuscire a rendere giustizia alla sua straordinaria conquista di una vita che la maggior parte delle persone considererebbe senza speranza», spiegava Wyeth.

Inoltre, quando nel 1960 il Dr. Jonas Salk riuscì a sviluppare il vaccino contro la poliomielite, cinque anni dopo scelse Louis Kahn per progettare una struttura di ricerca che avrebbe contribuito al miglioramento della società. La sua idea era che questo Salk Institute dovesse essere «degno di una visita di Picasso». La struttura elaborata da Kahn era un impianto monumentale con spazi aperti e flessibili costruiti con materiali semplici e resistenti. Dalla sua apertura l’istituto ha dato alla luce sei premi Nobel. In questo caso, l’arte e la ricerca scientifica collaborano per un obiettivo comune.

Uno dei peggiori virus che ha colpito l’umanità dal 1981 e continua a essere presente senza avere un vaccino che possa sconfiggerlo è l’HIV/AIDS. Nel 1987, Avram Finkelstein, un direttore artistico il cui compagno era recentemente scomparso per AIDS, decise di fondare un gruppo di sostengo e creare un poster per descrivere l’epidemia. Per potere informare le persone su un tema così delicato, il gruppo rifiutò l’idea di utilizzare immagini fotografiche che avrebbero potuto risultare selettive e scelsero simbolicamente il triangolo, conosciuto per la sua associazione con la persecuzione nazista nei confronti degli omosessuali ma cambiando il colore, da rosa pallido a fucsia vivido, e capovolgendolo.

Questa illustrazione grafica è stata infine adottata dal gruppo politico di massa ACT UP come elemento visivo chiave per promuovere la loro campagna contro l’epidemia di AIDS. Uno strumento di comunicazione di massa che fosse risolutivo ed efficace per non restare in silenzio. È significativo che il triangolo sia accompagnato dallo slogan Silence = Death.

Sempre nel 1987, a due membri del collettivo General Idea fu diagnosticato l’AIDS. I due si appropriarono dell’opera Love di Robert Indiana, sostituendovi la scritta AIDS, in Clarendon Black. L’opera venne stampata su ogni tipo di supporto, dai francobolli ai cartelloni pubblicitari, con l’obiettivo di normalizzare la parola e la malattia stessa.

Il simbolo del triangolo è stato ripreso anche in architettura, per la realizzazione del NYC AIDS Memorial. Nel 2016, la struttura, di pianta triangolare, venne costruita di fronte all’ex ospedale di St. Vincent, che nel 1984 aprì un reparto dedicato all’AIDS, il secondo del Paese. L’edificio, progettato dallo studio a+i, è costituito da una serie di triangoli in acciaio. «Questo memoriale dovrebbe servire, nelle future pandemie, sia come monito per i danni che hanno lasciato, quando noi permettiamo alla paura di governare, sia dei risultati positivi che si ottengono quando restiamo uniti», ha spiegato l’architetto Stephan Jaklitsch.

Vari esempi da tre epoche per farci capire come la storia si ripeta, come si possa guardare al passato per ricavarne insegnamenti per il futuro. Per questo, l’arte e il design non dovrebbero rimanere confinati ma essere chiamata in causa, sia per i valori che come mezzo di comunicazione.

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