14 settembre 2007

design_interviste Ogni cosa è illuminata

 
Ecologia, sorpresa, invenzione, intimità. Questi gli ingredienti del design di Paolo Ulian, autentico poeta degli oggetti capace di accendere le piccole magie nascoste nei risvolti della quotidianità materiale. E sentimentale…

di

Cominciamo dall′inizio. Da piccolo sogni di fare l′inventore, smonti gli oggetti di casa e giochi col Meccano. Nel 1990 la tua tesi di laurea Onda, paravento in cartone ondulato, diventa un vero e proprio caso di riciclaggio creativo che ti frutta i primi riconoscimenti della critica e della stampa. A questo punto entra in scena Enzo Mari che ti chiama a collaborare nel suo studio. Da allora numerosissime le mostre e i premi, tra cui le partecipazioni alle iniziative di Opos di Alberto Zanone. Oggi lavori in proprio nella tua regione, la Toscana. Sei tu che hai cercato il design o è il design che ha cercato te?
Penso che sia stato un incontro reciproco, di quelli che capitano perché così doveva essere. Tutto ciò che facevo per gioco da ragazzino assomigliava molto a quello che faccio oggi come mestiere. Non provengo da una famiglia molto agiata e quindi la mia inclinazione a inventare e costruire si è trasformata in una vera e propria necessità per avere a disposizione giochi e strumenti altrimenti irraggiungibili. Mi sono costruito da solo quasi tutto pur di riuscire a ottenere ciò che mi attraeva in quel momento. Però, prima di focalizzare che il design era la strada giusta, sono passato attraverso altre passioni molto forti come quella per la fotografia, fin da quando avevo tredici anni, quella per le imprese scientifiche e, più avanti, per l’arte. Ed è anche grazie alla passione per la fotografia che Enzo Mari mi prese a lavorare con lui, gli piacevano particolarmente delle foto che avevo scattato e sviluppato per una mostra durante l’ultimo anno di corso all’ISIA di Firenze. Nel suo studio ho passato un periodo relativamente breve ma molto intenso che mi ha lasciato gli insegnamenti più importanti e mi ha fatto capire il senso profondo e la responsabilità sociale di questo meraviglioso lavoro. Dopo questa esperienza sono ritornato in provinciPaolo Ulian a, dove i ritmi più lenti e più vicini alla mia natura mi consentono di esprimere pienamente i miei pensieri e le mie visioni.

Una delle principali differenze fra la nuova generazione di designer italiani e quella dei maestri consiste nel fatto che questi ultimi erano per la maggior parte architetti, mentre voi siete quasi tutti laureati in corsi universitari di design. Tu stesso ti sei formato all’ISIA di Firenze. Questo diverso background ha delle ricadute sul design di oggi?
Forse non è una questione di formazione, le differenze che sussistono tra il design contemporaneo e quello dei maestri secondo me derivano principalmente dal contesto storico in cui si sono trovate a operare queste due generazioni. La prima, in piena ricostruzione postbellica, in cui tutto andava rifondato e rinnovato con energia e positività. La seconda si trova a operare in una società opulenta, anche sotto il profilo dell′offerta di progetto. I designer della passata generazione erano poche decine, oggi sono un esercito a livello globale che deve misurarsi con tipologie sempre più inflazionate e quindi con margini progettuali sempre più ridotti. Credo sia per questo che i giovani progettisti si orientano così spesso sulla ricerca di tipologie inedite, dove la possibilità di imbattersi in copie involontarie risulta decisamente più contenuta rispetto a quella riscontrabile nelle tipologie classiche. A livello di qualità progettuale però non vedo differenze. Ci sono anche oggi oggetti di buon livello, che fanno emozionare come lo facevano quelli dei maestri. Penso che al design contemporaneo italiano non sia stato ancora riconosciuto il giusto valore che si merita e nonostante un tardivo e marginale riconoscimento in questi ultimi tempi credo siano ancora molti i pregiudizi da parte delle aziende e dei media nei confronti delle giovani generazioni di designer italiani.

Incontrando alcune delle tue idee come il coltello Pane e Salame (semplicemente geniale), le argute ciabattine Print, il tavolo-panca pieghevole in Coverflex Cabriolet per FontanaArte, la “miracolosa” ciotola in ceramica Una seconda vita, o Drinkable Watercard, la famosa cartolina postale con acqua potabile da spedire nelle zone difficili del mondo, si è portati a pensare, parafrasando un recente film, che ogni cosa è illuminata, o che almeno può esserlo. Quanto c′è di nuovo nell′oggetto riutilizzato e quanto di vecchio nell′oggetto-novità-a-tutti-i-costi?
Ogni oggetto è illuminato se la sua esistenza ha un senso, una ragione, se non nasce solo con lo scopo di alimentare in modo gratuito il mercato. Gli oggetti che hanno un senso sono la proiezione di ciò che noi ci aspettiamo dal futuro, devono esprimere una sincera e costruttiva volontà di cambiamento senza compromessi, non dovrebbero solo scimmiottarla con forme accattivanti e magari seguendo pedissequamente le tendenze del momento. Che poi sia un oggetto derivato dal riutilizzo o meno credo sia del tutto secondario, l’importante è la profondità del messaggio che esso ci può rivelare, anche attraverso la sua bellezza svincolata dai canoni diffusi, una bellezza che non è mai di superficie ma è sempre la nitida espressione dell’essenza delle cose.
Paolo Ulian, Waterlight - lampada da comodino - prod. Luminara - 2007
L′incedere dell′anatra sull′acqua appare fluido e armonico perché al di sotto le zampe nuotano convulsamente. La semplicità è una conquista complessa…
La ricerca della semplicità è l’aspetto più emozionante di ogni progetto, ma anche il più difficile da raggiungere. Il più emozionante perché il percorso che si compie nel tentativo di ottenere la massima sintesi possibile ti porta inevitabilmente a confrontarti con i meccanismi della creazione divina e con la sua inarrivabile perfezione. Il più difficile perché la tensione all’assoluto richiede grande impegno, anche in ordine di tempo. Non conosco un oggetto che sia nato perfetto, quelli che più si avvicinano all’idea di perfezione solitamente sono oggetti che sono stati plasmati dal tempo come può essere un ago per cucire, una molletta, una puntina da disegno. Sono strumenti che hanno subito un’evoluzione quasi naturale e hanno raggiunto un elevatissimo grado di perfezione, molto vicino a quello che succede in natura, come per esempio nei sassi di fiume in cui la forma rappresenta la massima sintesi tra la forma di partenza e gli eventi subiti nel corso dei secoli. Ciò che si può fare per raggiungere dei risultati soddisfacenti nel progetto è avere degli alti ideali qualitativi di partenza e dedicare tutte le proprie energie per cercare di avvicinarsi il più possibile ad essi.

Nel tuo rapporto con le aziende quali sono state le esperienze più interessanti?
È difficile risponderti perché nel rapporto con le aziende non posso dire di avere ancora trovato la condizione che corrisponda alle mie aspettative. Ci sono state delle esperienze che si sono avvicinate, come potrebbe essere quella con la Zani&Zani dove le due visioni, quella del designer e dell’imprenditore, tendevano a coincidere e quindi anche i percorsi progettuali per la realizzazione di nuovi prodotti sono sempre stati lineari e spontanei. Un’altra esperienza molto positiva è stata con Droog Design, che non è una vera e propria azienda ma da alcuni mesi ha aperto il Droog-shop online in cui si vendono direttamente alcuni oggetti del loro catalogo tra cui anche il mio Mat-Walk. Con loro ho avuto una bella esperienza a livello umano e professionale e per questo non posso che essergli riconoscente. Quello che ora cerco quando inizio una nuova collaborazione è prima di tutto un buon equilibrio tra valori umani, visioni comuni, entusiasmo, rispetto reciproco e infine anche professionalità.
Paolo Ulian, Golosimentro - autoproduzione - 2002
Italo Calvino diceva che per scrivere un articolo ci vuole un′ora, ma per saper scrivere un articolo occorre una vita di studi, riflessioni, occhi aperti. Anche i tuoi oggetti sembrano nati, più che da riflessioni ad hoc, da un′attitudine alla ricerca che si confonde con la vita stessa…
Sì, perché questo è uno di quei mestieri che si fa a tempo pieno, come l′artista o lo scrittore. Si è costantemente immersi in una realtà parallela in cui tutto è finalizzato alla ricerca che si sta compiendo in quel momento. Le idee non nascono mai per caso, gli devi preparare il terreno propizio per far sì che emergano, devi essere sempre pronto a cogliere il particolare risolutivo di un progetto in qualsiasi momento della giornata e in qualsiasi aspetto della vita quotidiana. Per aiutarmi in questo compito porto sempre con me una piccola macchina fotografica con la quale registro gli eventi e le cose che mi incuriosiscono o in cui intravedo delle potenzialità di evoluzione. Queste immagini vanno poi a formare un mio personale catalogo di emozioni dal quale poter attingere sempre nuovi stimoli e idee.

Gli oggetti intorno a noi sono come divieti o volani che materialmente impediscono o consentono di fare certe cose. Tuoi lavori come Finger Biscuit, la cialda a forma di ditale da “tocciare” nella Nutella, il metro di cioccolato Golosimetro o il tappeto da bagno con ciabatte incorporate Mat-Walk (primo progetto di un italiano per Droog Design) nascono ricalcando piccoli gesti di effrazione nei confronti del fantomatico “sistema” degli oggetti. C′entra il design con la libertà – e con il suo contrario?
Tendere a migliorare il presente è il senso di questo lavoro. Io cerco di farlo ponendomi sempre delle questioni da risolvere, banali o importanti che siano. Non ho un metodo che si adatta a tutto ciò che affronto, cerco invece di calarmi in ogni progetto con i pochi strumenti di base che ho per poi elaborare delle risposte che di volta in volta seguono delle logiche diverse. Così può succedere che a volte il mio linguaggio possa apparire contrastante o quantomeno poco chiaro. Nel caso del Finger Biscuit come pure di Mat-Walk ho cercato di “liberare” e rendere evidenti quelle abitudini che appartengono da sempre a tutti noi ma che difficilmente siamo portati a manifestare in pubblico perché considerate poco eleganti dalle convenzioni sociali. Mentre nel Golosimetro ho fatto l′operazione inversa, la voglia di cioccolato non viene assecondata e sostenuta dal progetto, viene piuttosto inibita, con l’intento di invitare alla ponderazione.

Oggi le tendenze nei consumi, nelle estetiche e nella produzione sono molte e molto spesso contraddittorie. Tuttavia, pur nella loro variegata complessità si possono ricondurre a due grandi macrotendenze che potremmo definire etico-sostenibile e creativo-sperimentale. La prima persegue i possibili sviluppi in chiave di buon senso e attenzione all′esistente, la seconda si tuffa con curiosità e a volte spregiudicatezza a sondare i futuri del design. Se dovessi collocarti nell′alveo dell′una o dell′altra, a quale di queste macrotendenze affideresti la tua ricerca progettuale?
Mi risulta difficile distinguere tra queste due definizioni, in linea di massima tendo a considerarle come un’unica necessità linguistica. Nell’affrontare ogni progetto, l’attenzione alla sostenibilità, la sperimentazione, l’invenzione, la ricerca estetica e funzionale, la tensione comunicativa e a volte la spregiudicatezza si fondono sempre, anche se in misura e con intensità ogni volta diverse. Come dicevo prima, il mio modo di procedere non segue una logica chiara e lineare, perciò è di difficile identificazione anche da parte mia. Diciamo che mi sento come un esploratore senza bagagli e con una piccola bussola in tasca pronta da usare, ma che poi preferisce sempre viaggiare a vista.
Paolo Ulian, Drinkable Watercard - mostra L
Le esperienze Design alla Coop, Salefino e più di recente la mostra in Triennale The New Italian Design. Il paesaggio mobile del nuovo design italiano sembrano convergere verso l′enucleazione di una nuova generazione di progettisti. Andrea Branzi si dice sicuro di questo, quando afferma che la partita del progetto si è riaperta e che la “società liquida” rappresenta per il designer un′occasione per inediti cimenti, a cominciare dalla ricomposizione – non della perduta, utopica unità di Forma e Funzione – ma delle forme e delle funzioni, dei significati e dei significanti, delle emozioni, dei gesti, dei frammenti del sentire…
Andrea Branzi ha fatto un ritratto obiettivo delle nuove generazioni di designer. Ha colto con chiarezza il tentativo di affrancarsi dalla pesante eredità lasciata dai maestri nonostante il grande rispetto che i giovani nutrono nei loro confronti. Non vengono traditi gli ideali di qualità degli anni d′oro del design, oggi c′è solo un forte bisogno di esprimerli con linguaggi inediti, che siano rappresentativi della contemporaneità e dei nuovi bisogni, materiali e non, che essa porta con se. Gli oggetti creati dalle nuove generazioni hanno più scale di lettura, svolgono egregiamente le funzioni per cui sono stati creati, ma sono portatori anche di altri valori più importanti. Sono dei messaggi in bottiglia che possono essere colti o no da chi li utilizza, concepiti con l′intenzione di comunicare all′utente finale un suggerimento, un ideale, un ammonimento o addirittura una posizione politica, che possano farlo riflettere, magari anche sulla possibilità di mettere in discussione il proprio stile di vita. Gli oggetti oggi hanno assunto maggiori responsabilità rispetto al passato, si sono gradualmente evoluti in strumenti etici, in piccoli cavalli di troia che cercano di insediarsi e di incidere tra le pieghe della nostra realtà sociale, economica e ambientale.

articoli correlati
The New Italian Design

stefano caggiano

[exibart]

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui