27 aprile 2004

exiwebart_focus 0100101110101101.ORG – Nikeground

 
A chi appartiene un marchio: a chi lo produce o a chi lo usa? E tra il megastore sullo sfondo e il monumento al centro, cosa identifica simbolicamente una piazza? Sono solo alcune delle questioni sollevate da Nikeground, progetto al confine tra marketing-guerriglia e pubblicità, evento mediatico e battaglia giudiziaria…

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Settembre 2003: un info box hi-tech compare al centro di Karlsplatz, una delle piazze storiche di Vienna. Sulle pareti esterne, la scritta: “Questa piazza verrà presto rinominata Nikeplatz. Entra per saperne di più.” Secondo il progetto illustrato all’interno, al centro della piazza verrà eretto un gigantesco monumento: uno Swoosh lungo 36 metri e alto 18, realizzato in una speciale lega in acciaio ricoperta da una resina rossa ottenuta dalle scarpe riciclate. Un sito web, realizzato con una grafica che fa il verso al sito della multinazionale, pubblicizza il progetto online, presentandola come la prima di una serie di operazioni analoghe nelle principali capitali del mondo.
La reazione dei viennesi non si fa attendere, e quella della Nike nemmeno. Il 6 ottobre un comunicato ufficiale denuncia l’operazione come un falso, annunciando un’azione legale contro gli autori dello scherzo. Quattro giorni dopo, il 10 ottobre, arriva pronta la rivendicazione del collettivo 0100101110101101.org, sostenuto dal Public Netbase di Vienna. Dichiara Konrad Becker, direttore di Public Netbase: “È compito nostro intervenire nello spazio urbano per sollevare la questione del dominio simbolico sugli spazi pubblici da parte di interessi privati.”
Il 14 ottobre, puntuale, arriva la denuncia della Nike, che chiede l’immediato rimozione di ogni riferimento a materiale coperto da copyright, pena la richiesta di 78.000 euro di Nikeground danni: “La Nike invade le nostre vite con prodotti e pubblicità, ma poi ci impedisce di riutilizzarli in maniera creativa”, dichiarano gli 01.org. Il 28 ottobre, il Tribunale Commerciale di Vienna respinge l’istanza della Nike, la cui denuncia partiva da Nike International, che ha sede non in Austria, ma negli USA: “le multinazionali stanno perdendo il controllo dei loro stessi marchi, che si trasformano in boomerang nelle mani della cultura pop”. Il 25 gennaio 2004, infine, Nike getta la spugna.
Nike non era, in realtà, l’obiettivo del progetto, una ‘performance teatrale iper-reale’ intesa a ripensare lo spazio, ad analizzarne il significato simbolico, a determinare quanto la loro natura viene trasformata dall’invadenza dei brand commerciali. Un progetto complesso, fatto per essere raccontato più che visto, discusso più che accolto acriticamente.

6 domande a 0100101110101101.org

Prima della vostra rivendicazione, la notizia della progettata trasformazione di Karlsplaz non è sostanzialmente uscita dai confini austriaci e dai media locali. Come spiegate l’indifferenza della stampa internazionale nei confronti di una invasione di campo che, se autentica, avrebbe dovuto suscitare grande preoccupazione?
NikegroundNella prima fase della performance non abbiamo organizzato una campagna pubblicitaria internazionale, ma ci siamo concentrati sui media nazionali austriaci, perché la notizia era verificabile solo in Austria, e pensavamo che nessun giornalista serio avrebbe riportato una notizia simile senza poterla verificare. Evidentemente siamo stati troppo ottimisti, perché la notizia continua ad essere pubblicata come autentica addirittura oggi, dopo mesi che l’operazione è stata rivendicata.

Prima ancora che una denuncia dell’invadenza delle multinazionali, Nikeground è stato un tentativo di appropriazione di un logo commerciale ormai di dominio pubblico. Cosa succede quando un marchio diventa un simbolo dell’immaginario collettivo? Che conseguenze ha per l’azienda? e per la società?
Nike, come tutte le moderne multinazionali, non è un’industria, ma è un’idea. Un’idea che è rappresentata dal suo marchio. È un’entità immateriale, un messaggio astratto, un’enorme macchina pubblicitaria che non produce nulla ma si limita a “marchiare” e distribuire prodotti creati dall’altra parte del globo. Proprio perché è così immateriale, la percezione che la gente ha di Nike è tutto. I suoi guadagni dipendono dalla sua popolarità, il suo successo dipende dall’immagine che la gente se ne fa, non dalla qualità dei prodotti che vende. Intaccare questa credibilità, quest’aura che hanno creato attorno al proprio marchio, significa colpire una multinazionale nel suo punto più debole. Un brand è un simbolo, e i simboli sono strumenti pericolosi perché possono diventare dei boomerang: pensa alla stella di David, a cosa rappresentava nel 1910 e cosa rappresenterà poi nel 1940, lo stesso simbolo, significati diversissimi. Noi rivendichiamo il diritto di riutilizzare questi simboli, perché appartengono alla gente che li vive ogni giorno, non a chi li impone dall’alto. Lo Swoosh è probabilmente il logo più “visto” sulla faccia della terra, più di qualsiasi altro simbolo religioso o politico. In fondo sono anni che facciamo pubblicità con i nostri corpi, ogni volta che indossiamo abiti firmati, ora è giunto il momento di riappropriarsi di tutto questo.

Il progetto iniziale prevedeva diversi “Nike Ground” nelle maggiori città del mondo. Dopo la rivelazione della sua natura di beffa mediatica, e dopo la sconfitta della Nike, quale sarà il futuro di Nikeground?Nikeground
Non riveliamo mai quello a cui stiamo lavorando. Molte delle nostre operazioni richiedono la sorpresa, perciò vengono organizzate in segretezza, talvolta anche per motivi legali. Se Nike o la città di Vienna avessero saputo che stavamo organizzando una cosa simile ce l’avrebbero impedito. Ma non preoccuparti, ogni volta che un progetto finisce c’è sempre una ragnatela tesa da qualche altra parte.

In uno dei vostri comunicati parlate di “opere create per essere raccontate più che viste”. Che cosa resterà, materialmente, di Nikeground?
La storia, il mito, che continuerà a diffondersi dando vita ad innumerevoli interpretazioni e deformazioni. Ad un livello più materiale rimarranno alcune opere che documentano e preservano la performance: il progetto architettonico del falso monumento, le scarpe Nike Ground Turbulence III, le foto del Nike Infobox e il video con le reazioni della gente. Alcune di queste opere sono già esposte in mostre d’arte – come Aire Incondicional alla Shedhalle di Zurigo – o lo saranno presto. Verranno anche pubblicati diversi libri che parlano del progetto, nel 2004 e 2005.

Il progetto è stato accompagnato da performance, meno note a chi non ha potuto vivere “live” l’evento. Cosa avete combinato a Nikeplatz?
Siamo arrivati all’Infobox su una grossa Mercedes, con maschere ai volti e valigette 24 ore. Siamo entrati nel Nike Infobox e di fronte ad una piccola folla abbiamo inscenato una sorta di pièce teatrale leggendo email, comunicati stampa, articoli e testi vari su Nikeground. Le nostre voci erano amplificate per essere sentite in tutto il circondario. Ad un certo punto è arrivata una telefonata di Phil Knight – il presidente della Nike – che ci ha intimato di lasciare Nike Platz perché altre città richiedevano il nostro intervento. Così abbiamo messo via le nostre cose e siamo scesi dall’Infobox, gettato un po’ di cose sul pubblico mentre la Mercedes arrivava. Ci siamo buttati nell’auto che è ripartita sgommando, mentre giornalisti e rappresentanti Nike cercavano di fermarci. Poi l’LSD ha fatto effetto e non ricordo più niente.

Il rapido e vittorioso epilogo legale della vicenda ha stupito molti. Perché la Nike ha mollato l’osso così facilmente? Potenza dell’etichetta “arte” appesa al progetto? Oppure solo fretta di chiudere il caso e mettere tutto a tacere?
Non è stata l’etichetta “arte” a frenarli, che si trattasse di un progetto artistico lo sapevano ben prima di procedere per vie legali (ci sentivamo spesso con la loro PR per telefono). È stato piuttosto Michael Pilz, il nostro ottimo avvocato. E ovviamente l’interesse mediatico che il caso ha suscitato. I media si sono apertamente schierati dalla nostra parte: quotidiani, riviste programmi radio e TV hanno condannato la reazione della Nike, soprattutto quando è stato chiarito che si trattava di una performance artistica e non della campagna pubblicitaria di un concorrente (come alcuni quotidiani hanno fatto intendere inizialmente). Perciò direi la seconda: fretta di chiudere il caso e mettere tutto a tacere. Ma oramai la cazzata l’hanno fatta, e ci vorrà parecchio tempo perché la gente se ne dimentichi.


Cosa pensi di Nikeground? – Opinioni a caldo
Nikeground
è sempre la realtà a tirare gli scherzi più riusciti, recita un proverbio tedesco. è questo che viene in mente guardando alla ricezione di Nikeground. è difficile giudicare un progetto come Nikeground dall’esterno. Ma l’eco della stampa suggerisce che il grosso delle migliaia di persone che hanno visitato l’info box ogni giorno abbiano accettato senza protestare il fatto che uno dei luoghi più storici di Vienna sarebbe stato rinominato secondo il volere di una multinazionale (con la discutibile reputazione di sfruttatrice del lavoro minorile nei paesi in via di sviluppo). Un fatto che impone di riconsiderare le consolidate tattiche avanguardistiche dello shock e della sovversione. E di chiedersi se gli interventi in stile communication-guerrilla possano essere proposti come operazioni artistiche.” Tilman Baumgartel, critico dei media, Berlino

“Con Nikeground, ancora una volta gli 0100101110101101.org sono riusciti ad ottenere la massima visibilità con il minimo sforzo, anche se, a mio parere, il rischio di questa operazione è stato di favorire proprio coloro a cui si è andati contro. Il problema è che quando si agisce sul territorio di grando colossi come la Nike, pur causando loro pubblicità negativa, sempre di pubblicità si tratta. è un’affermazione importante dire che lo ‘Swoosh’ appartiene alla gente che lo indossa quotidianamente, ma un logo come quello della Nike è talmente potente e carico di significato che, pur usandolo in maniera ironica e détournata, sempre il logo della Nike rimane… Forse la vera azione ‘radicale’ sarebbe chiedere alla Nike un ‘rimborso’ della pubblicità gratuita che il brand ha ricevuto durante tutta l’operazione… a questo punto la reazione potrebbe essere interessante.” Tatiana Bazzichelli, sociologa dei media, curatrice e promotrice del progetto AHA

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Nike
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a cura di valentina tanni e domenico quaranta

[exibart]

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