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Semina il vento: il lungometraggio di Danilo Caputo per gli ulivi pugliesi
Film e serie tv
Presentato alla Berlinale 2020 a Panorama, in gara fuori concorso al Bit&st, ora nelle sale italiane con I Wonder, Semina il vento, il secondo lungometraggio di Daniele Caputo, riflette su temi contemporanei come il contrasto generazionale, l’inquinamento ambientale e del cuore. Al cinema Beltrade di Milano il film è stato presentato in collegamento skype con il regista, la protagonista Yile Yara Vianello e la coprotagonista Feliciana Sibiliano.
Le voci di Semina il Vento
Nica (Yile Yara Vianello) è una ragazza ancora capace di scandalizzarsi. Parla poco. Ha la pelle chiara e il viso angelico. Capelli corti e occhi azzurri. Studia agronomia lontano da casa (non si sa bene dove) e, dopo anni di assenza, torna in Puglia, nel paesino natale ai piedi dell’Ilva, dove l’uliveto di famiglia è stato infestato dal pidocchio blu (Liothrips olea): un maledetto esserino che sta distruggendo l’ecosistema del territorio. Alberi antichi, secolari, come gli ulivi sono in pericolo in una terra che raccoglie disinteresse, maltrattamenti, corruzione, rifiuti tossici. Davvero l’unica via d’uscita è abbatterli per farsi risarcire dallo Stato? Possibile che non si riesca a vedere altro? La malattia degli alberi è il sintomo di qualcosa di più grave.
In uno scenario di rassegnazione e passiva accettazione, Nica è la sola a credere che esistano alternative. «Qui la gente preferisce morire di tumore che di fame», dice nel film Paola (Feliciana Sibilano), amica e complice di Nica, «la gente è inquinata in testa».
Ascoltare il respiro della terra
L’idea del film è quella di far parlare la natura, di renderla viva e “ascoltabile”, muovendo la narrazione dentro il ventre della terra, che pulsa, canta. Come la cripta dove la protagonista si rifugia per cercare risposte mistiche. Spazio viscerale e organico che qui dà forma e anima alla terra che Nica difende. L’ispirazione di questo luogo sotterraneo, centrale nel film, nasce da un antico rito di fertilità abruzzese.
In Semina il vento, attraverso uno sguardo apertamente moralistico, Caputo ci guida dentro il respiro degli alberi. Ascoltiamo in soggettiva quello che sente la giovane protagonista, grazie a un abile lavoro di sound design (dei rumoristi Pietu Korhonen e Heikki Kossi) che, insieme alle musiche originali di Valerio Camporini, restituisce una narrazione sonora davvero coinvolgente e significativa. Tutto è sussurrato invece che urlato, enfatizzato a livello visivo e di suono. Lo scricchiolio degli alberi, la melodia del vento. Il ruolo del suono è predominante per tutto il film, ha un potere rivelatore, veicola l’amore verso la Natura, e la profonda connessione che Nica ha con una certa dimensione magica della realtà, ereditata dalla nonna. Un cinema a tratti contemplativo che lascia lo spettatore in sospeso, e sorpreso, guidandolo verso una fine che non mette nessun punto. Se non quello interrogativo.
La volontà di Nica
Quale contributo può dare oggi un individuo al cambiamento ambientale? Cosa possiamo fare per vivere in sinergia con la terra che ci ospita? Forse si potrebbe cominciare dal recuperare la capacità di scandalizzarsi, perfino di soffrire quando è necessario. Nica sente il dolore dei suoi ulivi. Sente il pianto della nonna che non c’è più, ma non si ferma. Non si scoraggia. Bensì raccoglie con dignità e forza la sua indignazione e la trasforma in legna da ardere. In rabbia funzionale. Suggestiva la fine che mostra, in tutta la sua passione, la trasformazione del suo personaggio, l’apice dell’evoluzione che porta Nica a non reprimere più nulla.
In un mondo dove i grandi inquinatori scaricano il barile prima sulla terra e poi sulle persone, che ruolo può avere il cinema se non quello di portarci fuori da una realtà binaria, soffocante, dove non si considerano alternative (?). La colpa non serve, serve avere volontà, come quella che ha Nica.
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