07 ottobre 2021

L’uomo che vendette la sua pelle: una storia sui limiti della libertà, dell’amore e dell’arte

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Esce nelle sale italiane “L’uomo che vendette la sua pelle”, premiato film della regista tunisina Kaouther Ben Hania, ispirato alla controversa opera d’arte vivente di Wim Delvoye

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Cosa saremmo disposti a fare per amore? Quanto valore diamo alla nostra libertà? Fino a che punto è possibile spingere i limiti del proprio corpo? Quali sono i limiti etici, morali, dell’arte e della rappresentazione? In che modo culture e contesti diversi possono trovare un dialogo? Sono tante e contemplano diversi punti di vista le questioni che attraversano la storia di “L’uomo che vendette la sua pelle”, “The Man Who Sold His Skin”, film della regista e sceneggiatrice Kaouther Ben Hania. Realizzata in 32 giorni e con un budget di 2,5 milioni di dollari, è il primo film tunisino a ottenere una candidatura all’Oscar come Miglior film internazionale. Vincitore del Premio Edipo Re per l’inclusione alla Mostra del Cinema di Venezia, sarà distribuito nelle sale italiane da Wanted Cinema, a partire dal 7 ottobre.

Nel film sono raccontate le vicende del giovane siriano Sam Ali – interpretato da Yahya Mahayni, un ex avvocato con poche esperienze di recitazione, vincitore del Premio Orizzonti per il miglior attore alla Mostra del Cinema di Venezia 2020 –, costretto a fuggire dal suo Paese e a rifugiarsi in Libano, a Beirut, per evitare l’arresto. Accusato di propaganda antigovernativa, Sam deve così separarsi da Abeer (Dea Liane), donna che ama ma che, promessa a un uomo più ricco, si trasferisce poi a Bruxelles, lontano dalla guerra civile, nel frattempo divampata in Siria. Il giovane innamorato stenta a sbarcare il lunario e sogna di raggiungere la sua amata, fino a quando viene notato da un artista, Jeffrey Godefroi (Koen De Bouw), «Famoso per trasformare oggetti senza valore in opere d’arte da milioni di dollari».

Ed è proprio da questa frase che si apre il cortocircuito. In cambio dei documenti necessari per immigrare legalmente in Belgio, Sam accetta di farsi tatuare sulla schiena un Visto Schengen, diventando così un’opera d’arte da esporre nei più grandi musei al mondo. E così, una vita senza valore, confusa tra milioni di persone senza nome e senza diritti, assurge al rango di “pezzo unico”, costoso e anelato dai collezionisti. Tra i parenti di Sam e Abeer e varie personalità del mondo dell’arte, come la spregiudicata gallerista Soraya, interpretata da Monica Bellucci, va in scena una satira acuta e diretta al sistema dell’arte contemporanea e ai suoi interpreti. Ma anche, in senso più ampio, alla nostra condizione di spettatori / voyeuristi, rappresentanti silenziosi di una posizione privilegiata, attratti dalla superficie – in questo caso dalla pelle – di problemi che, per altre persone, minano la profondità dell’esistenza. «Cosa accadrebbe se un artista famoso offrisse a un rifugiato di diventare una sua opera per ottenere la libertà di movimento? “The Man Who Sold His Skin” è un’allegoria sulla libertà personale in un sistema iniquo e tratta l’ampio spettro di significati legati ai problemi del nostro mondo reale», ha spiegato la regista, che si è ispirata a un fatto reale.

Nello specifico, a Tim 2006-2008, opera di Wim Delvoye, che Kaouther Ben Hania ebbe modo di vedere in occasione di una mostra temporanea al Louvre di Parigi. L’artista belga, che compare anche nel film, ha fatto tatuare l’immagine della Vergine Maria sulla schiena di un uomo, Tim Steiner che, da quel momento, gira i musei più importanti al mondo per essere esposto, anche durante il recente periodo di lockdown (ne scrivevamo qui). L’opera tatuata sulla pelle è stata messa all’asta e verrà asportata al momento del decesso di Tim.

Qui l’elenco delle sale.

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