05 dicembre 2000

Fino al 10.XII.2000 Differenze che creano differenze Bergamo: ex teatro sociale di Città Alta

 
Differenze che creano differenze .Immagini, storie, percorsi di vita di Federico Buscarino…

di

La differenza come valore
In una società che apparentemente tollera sempre di più i “diversi”, creando per loro una falsa cultura della solidarietà e della comprensione, le foto di Federico Buscarono aprono una finestra sulla realtà. La mostra è stata inaugurata lo scorso 26 novembre a Bergamo, presso l’ex teatro sociale di Città Alta, grandiosa architettura di Pollack resa ancora più affascinante dai segni evidenti che il tempo vi ha depositato. L’esposizione andrebbe infatti visitata anche solo per entrare in questo spazio magico, in quest’architettura che pare abitata da tanti fantasmi. La realtà denunciata dalle immagini in mostra è che, nella concretezza dei fatti e nella quotidianità, i bambini disabili non sono parte integrante della società, bensì confinati in una sorta di emarginazione dorata. Il “ghetto” delle scuole elementari dell’Istituto Comprensivo di Calcinate è il teatro dell’esplorazione fotografica di Buscarino, che fissa con il bianco e nero momenti di quotidiana convivenza tra i piccoli disabili e i loro educatori. La mostra crea, naturalmente, un confronto: lo spettatore è portato a farsi domande su una realtà che si preferisce sempre ignorare, vede scorrere davanti a sé i frammenti di vite che non potranno mai essere normali: i fotogrammi in piscina, nei centri commerciali, sono lo specchio di una difficile e costante lotta e conquista di uno spazio nella realtà. Il problema è che pur costringendo, come era nelle intenzioni degli organizzatori “a vedere quello che troppo spesso fa paura guardare, quello che fa paura pensare”, queste immagini suscitano nel visitatore delle riflessioni e delle domande che, probabilmente, scorderà poco dopo essere uscito dal teatro. Il problema è infatti che nell’era della globalizzazione e dei media, nell’era in cui siamo in grado di conoscere ogni minima disgrazia che accade in ogni angolo della terra, i problemi e i piccoli drammi che si svolgono vicino a noi vengono psicologicamente allontanati ed ignorati. E’ probabilmente una forma di difesa psicologica, una sorta di straniamento rispetto al dolore che ogni giorno, tramite i telegiornali, ci viene mostrato. Ciò non toglie nulla al valore dell’operazione, né tanto meno alla qualità del lavoro di Federico Buscarino, figlio del più famoso Maurizio fotografo di teatro. Convincono la qualità delle stampe, i tagli delle immagini e l’intensità dei ritratti realizzati scavando nel profondo dell’anima di questi bambini, con i quali l’autore ha convissuto per mesi, seguendoli ed immortalandoli e cercando di cogliere, nei loro sguardi, una parte di sé e una parte dimenticata della nostra società.


Francesca Pagnoncelli Folcieri





Bergamo, ex teatro sociale di Città Alta, via Colleoni
Orari: tutti i giorni dalle 11.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 19.00
Fino al 10 dicembre





[exibart]

5 Commenti

  1. Sono la psicopedagogista dell’Istituto Comprensivo di Calcinate, collaboro alla cattedra di Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione dell’Università di Bergamo e faccio parte del gruppo di studiosi che ha ideato e organizzato la mostra di Federico Buscarino. Mostra che non è nata per caso, ma che si inserisce, come prima iniziativa, in un progetto complesso e, credo, rilevante, sul tema delle differenze. Proprio perché la scuola di Calcinate, che ospita al suo interno la potenziata di Palosco, è esattamente il contrario di un “ghetto”, proprio perché da anni (almeno 20), in quella scuola si svolgono percorsi educativi e didattici sperimentali, progetti coraggiosi che tentano (e a volte riescono) di superare il muro delle indifferenze, dei falsi moralismi, delle ancor più false compassioni e degli ipocriti pietismi,
    è nato il progetto in cui si inserisce la mostra di Federico, le cui foto, così intense, essenziali e scevre da ogni moralismo, rappresentano uno sguardo che accoglie i bambini e di loro parla. I bambini, capite? Tutti i bambini. Che sono diversi fra loro e la diversità, che è fatica e ricchezza, scoperta di noi, anche dei nostri sentimenti meno “buoni”, comprende le disabilità, le culture differenti, le diverse istanze, esigenze, competenze; i progetti di vita diversi, i desideri diversi e i bisogni diversi di tutti i bambini. Perché i bambini disabili, gli unici che avete visto e guardato in mezzo ai tanti, sono per l’appunto e prima di tutto bambini. Con desideri, progetti, bi/sogni di bambini.Rispetto poi alla vostra idea di normalità, mi piace sottolineare che non assomiglia alla nostra e che la ricerca e la riflessione sul senso del nostro operare comprende anche, come conquista intellettuale ed etica, la faticosa consapevolezza che, né come medici, né come psicologi, né come educatori, abbiamo il privilegio dell’onnipotenza che può guarire e sanare, ma che, forse proprio per questo, anche per questo, il nostro lavoro non è inutile, ma, soprattutto non è dannoso come sarebbe se tendesse a ricondurre a una normalità così stretta come può essere quella che appartiene a pochi, per giunta autoreferenti, esseri viventi. Mi chiedo quante volte chi ha scritto la recensione si è sentito “disabile” in alcuni contesti della sua vita, intendendo per disabile anche inadeguato. L’ultimo appunto che voglio fare riguarda la presunzione di chi scrive senza nulla conoscere di ciò di cui scrive. Intorno a questa mostra che, non a caso e non perché figlio del “più famoso Maurizio”, ha scelto le foto di Federico Buscarino, si muove una realtà complessa che coinvolge molte persone con ruoli diversi, ma aspirazioni e sogni comuni (genitori, accademici, neuropsichiatri, insegnani, amministratori locali, operatori, studenti, ecc.). Tutte queste persone sono a vostra disposizione per spiegarvi cosa succede e cosa non avete guardato… Ringraziandovi comunque per lo spazio e l’attenzione che ci avete concesso, vi saluto cordialmente.
    Giovanna Alborghetti, via S.S. Maurizio e Fermo, 7, 24126, Bergamo, tel. 035.223466, 0349.7862761, e.mail: giovannaalborghetti@lombardiacom.it

  2. Non è un bell’atteggiamento il vostro. Un po spocchioso, forse snob, forse di superiorità di chi, facendo cose giuste, vuole sentirsi a superiore a tutti i costi e non sopporta i malintesi e le opinioni diverse dal dogma. Mi chiedo quanti articoli in internet o altrove avete trovato sulla vosra iniziativa. Ebbene io l’ho torvata navigando in altri siti, il link portava qui. Probabilmente si tratta dell’unico articolo sul web e dell’unica possibilità che possono avere amici di Lecce o di Trapani di conoscere la vostra attività.
    Mi piacerebbe aver letto un intervento piu costruttivo e meno ‘lamentoso’ nei confronti della recensione.
    Saluti.
    Ester.

  3. La dolcezza, l’intensità e la ricchezza espresse dalle immagini di questi bambini, ritratti con profonda sensibilità da Federico Buscarino, sono ben lungi dal voler fare alcun tipo di “denuncia”.
    Risulta quantomeno imbarazzante che il messaggio ricevuto da questa mostra, che com’è noto fa parte di un ampio progetto-ricerca al quale partecipano qualificati professionisti da anni impegnati per favorire l’integrazione, sia quello di una società in cui esistano “una falsa cultura della solidarietà”, “emarginazioni dorate”, scuole “ghetto”.
    Evidentemente, oltre ad essere state travisate le motivazioni di fondo ed il senso ultimo della mostra, non è stato neanche colto il significato del titolo, “Differenze che creano Differenze”, citazione di G.Bateson, con il quale si è voluto porre l’attenzione sull’importanza di saper cogliere e riconoscere le differenze di ognuno di noi, che creano la base e lo stimolo per qualsiasi tipo di conoscenza: dell’altro, ma anche e soprattutto di noi stessi.
    Differenze che proprio perché appartengono a tutti, ci rendono uguali.
    I volti ritratti nelle fotografie non sono quelli di bambini disabili, né “che non potranno mai essere normali”: sono volti di bambini.
    Finche ci sarà gente che innalza barriere ed alimenta pregiudizi usando impropriamente termini come “tolleranza”, “normali”, “diversi”, senza riuscire a leggere semplici testimonianze di dignità e valore umani, l’integrazione reale sarà un traguardo lontano.
    Fortunatamente, al contrario di quanto ipotizzato nell’articolo, la maggior parte dei visitatori di questa mostra non “scorderà poco dopo essere uscito dal teatro”.

    A.Falchetti

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