18 marzo 2022

Dal vero. La fotografia svizzera del XIX secolo in mostra al MASI Lugano

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Adolphe Braun, Il ghiacciaio del Rodano, 1864, Albumina. ETH-Bibliothek Zürich, Bildarchiv
Adolphe Braun, Il ghiacciaio del Rodano, 1864, Albumina. ETH-Bibliothek Zürich, Bildarchiv

La rivoluzione dovuta alla nuova esperienza visiva, lo scambio tra arte e fotografia, il suo ruolo chiave nello sviluppo del turismo, il suo impiego come testimonianza degli usi e costumi locali e nell’ambito industriale e scientifico. Sono alcuni dei focus tematici esplorati da “Dal vero. Fotografia svizzera del XIX secolo”, che inaugurerà il prossimo 3 aprile  al MASI Lugano, nella sede del LAC.

Si tratta dellaprima panoramica esaustiva dedicata ai primi cinquant’anni di diffusione del medium fotografico in Svizzera: con oltre 400 immagini, che vanno dal 1839 agli anni ’90 dell’Ottocento, il percorso espositivo presenta al pubblico importanti opere storiche mai esposte prima d’ora, come la prima fotografia in assoluto del Cervino.I differenti accenti nelle diverse zone e regioni linguistiche del paese tratteggiano così il carattere progressista e lo sviluppo dinamico del giovane stato federale nell’Europa dell’Ottocento.

John Ruskin e Frederick Crawley,  Bellinzona. Castelgrande. Mura e torri, 1858 c., Dagherrotipo. Courtesy of K & J Jacobson, UK
John Ruskin e Frederick Crawley, Bellinzona. Castelgrande. Mura e torri, 1858 c., Dagherrotipo. Courtesy of K & J Jacobson, UK

La mostra, a cura di Martin Gasser e Sylvie Henguely e coprodotta con Fotostiftung Schweiz, Winterthur e Photo Elysée, Losanna, ospita nelle sezioni iniziali una parte dedicata agli esordi della fotografia e quindi alla dagherrotipia, procedimento fotografico di sviluppo delle immagini su lastra di rame che veniva definito lo “Specchio dotato di memoria”. Dai lavori dei maestri svizzeri di quest’arte come Jean-Gabriel Eynard e l’incisore Johann Baptist Isenring, celebre per i ritratti dagherrotipi a “grandezza naturale”, emerge come, nei suoi primi passi, anche in Svizzera la fotografia fosse ancora fortemente intrecciata con le altre arti, in particolare la pittura, a cui si sostituirà come valida alternativa per ritratti economici.

Ma anche con le arti grafiche, di cui si mette al servizio. Proprio Isenring diffonderà infatti in Svizzera l’utilizzo della fotografia come modello per incisioni, tecnica impiegata anche dalla prima fotografa donna, Franziska Möllinger, nelle sue vedute svizzere pubblicate come litografie dal 1844. Risale invece al 1842 uno dei rari dagherrotipi conosciuti del Ticino, il ritratto di un giovane sconosciuto ed elegantemente vestito – esempio lucente della borghesia in ascesa – realizzato a Lugano.

Grazie allo sguardo esterno, quello dei viaggiatori, comincia a essere immortalata la grandiosità del paesaggio svizzero e delle sue montagne: sono un esempio i dagherrotipi dell’artista inglese John Ruskin, che realizza le prime fotografie del Ticino, o, nel 1849, la prima immagine mai scattata del Cervino.

Di lì a breve, la fotografia si rivelerà un veicolo potentissimo per la pubblicità turistica, processo favorito dallo sviluppo delle infrastrutture di trasporto svizzere, che va di pari passo con la semplificazione del processo fotografico (grazie all’uso dei negativi in vetro e stampe all’albumina). Nascono così motivi popolari e “mete” turistiche, come la cascata di Staubbach nella valle di Lauterbrunnen, immortalata da Francis Frith o il fiume Rodano di Adolphe Braun, che cattura le infinite distese del ghiacciaio attraversato da un gruppo di scalatori, tra cui anche una donna.

In un’ampia sezione alla fine del percorso della mostra è evidenziato anche il ruolo della fotografia, dalla fine degli anni ’60 dell’Ottocento, nel documentare la scienza, la medicina, gli sviluppi tecnici e lo sviluppo urbano ed idraulico del territorio svizzero.

 

 

 

 

 

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