15 giugno 2021

Dido Fontana e l’arte dilatata della fotografia, tra estasi e furore

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Per The Underground, la nostra guida dell'arte al di là dei circuiti convenzionali, abbiamo intervistato Dido Fontana, fotografo delle dualità, tra sacro e quotidiano, nudo e coperto

Dido

Come si misura la bellezza? Oltre i canoni imposti dall’estetica della società odierna, l’arte di Dido Fontana sembra riportarci al significato ancestrale delle cose, brutale e meraviglioso come tutto ciò che ci è proibito. Come un rituale sciamanico, la fotografia di Fontana indaga ed esprime i desideri intimi del soggetto restituendone all’osservatore, maieuticamente, fragilità e ambizioni.

Dido
The three aspects of becoming a subject (hold back the dragon),2021

Entrare nel privato tra sacro e profano, tra nudo e coperto, quanto è importante la dualità nella tua poetica artistica?

Ogni dualità va esibita in maniera da comprendere l’unità del tutto. Sacro e profano come facce della stessa medaglia. Non è sterile provocazione ma, per quel che mi riguarda, è osservazione della realtà. Per me la santificazione/deizzazione avviene nel quotidiano…un po’ come Kali col ferro da stiro insomma.

In una recente intervista hai dichiarato di scattare ancora pensando come se ti muovessi in analogico pur lavorando il digitale, apprezzando l’immediatezza dello scatto con il rullino. Quale è il tuo rapporto con la post produzione, cosa ne pensi del ritorno alla pellicola?

Cerco di riprodurre quello che vedo nella mia testa e inserirlo esattamente nella cornice del mirino e scatto poco. Se per farti un ritratto devo torturarti con 300 foto forse ho sbagliato lavoro, idem se son costretto a modificarti poi. Per questioni di velocità non tornerei alla pellicola.

Dido
Ritratto di Martino con testa di Lupo, 2019, limited ed. photography

Quanto è importante lavorare nel tuo studio, tra la natura e, soprattutto, tra i gatti?

Non ho uno studio perché faccio fatica a pensare di fotografare in ambiente-disambientato, in quanto approfitto della narrativa svelata da luoghi ed oggetti che mi facilita il racconto di una storia e m’aiuta a creare un cortocircuito d’esitazione nell’immagine. Così come la natura ed i gatti che ne fanno parte, sono quell’elemento ingovernabile che se lo si lascia fare e si ha culo si rischia il capolavoro. Il gatto è il Maestro di chi vuole imparare.

Temporary portrait è una serie di ritratti della durata di un minuto in cui il tempo viene dilato e ci permette di conoscere i pensieri che attraversano i soggetti davanti all’obiettivo. Come nasce questa serie?

Temporary Portrait nasce dal desiderio di conoscere i pensieri delle persone mentre subiscono un ritratto, un po’ come le fotografie dell’800 dove si era costretti a rimanere fermi per un tempo d’esposizione lunghissimo: cosa passa per la testa in quegli istanti lì? I Temporary Portrait rimbalzano dall’esteriore all’interiore senza che un aspetto prevalga sull’altro; ancora il sentimento d’esitazione che tanto mi piace. I Temporary Portrait sono una fotografia “lunga” perché non ragiono in termini di video, non c’è azione ma sola Presenza.

Dido
La Funk in the garden, 2018, limited ed. photography

Quanto è importante creare un rapporto con chi e cosa si fotografa?

Il rapporto tra fotografo e modello per me è come immergersi per pochi minuti in un film che ci si inventa assieme: abbiamo quel copione lì e vediamo che ne esce. Ragiono così anche con gli oggetti.

Tra le opere del 2018 c’è la serie di vanitas, in cui la tematica del memento mori è rappresentata da teschi in dialogo con diversi oggetti, come nell’iconografia antica. Uno scatto può trasmettere per sua natura, la caducità di un istante ma anche l’eternità di un momento?

Certo, l’immagine di un qualcosa è appunto la sua cristallizzazione. Quello della Vanitas o Memento Mori è un tema a me molto caro e lo reputo talmente importante per la vita da averlo in testa ogni giorno. Una riflessione che dev’essere giornaliera sul vivere pienamente ogni istante in risonanza con la natura-maestra, l’universo e blablabla. Chi nel teschio vede morte e tristezza è perché l’immagine riflette solamente ciò che l’osservatore ha dentro.

Dido
Is Kali a demon?, 2019, limited ed. photography

Quanto ha influito l’iconografia cristiana nella tua estetica?

Sono figlio d’arte e sono cresciuto in una casa-museo, i miei erano appassionati anche di antichità cristiane e la casa ne era piena. Per me quindi era molto naturale da bambino sfogliare libri coi nudi di un Mapplethorpe piuttosto che di Sieff o Araki sotto lo sguardo dolce delle icone dei santi o di un cristo del ‘500 che stavano alle pareti. La santità come detto poc’anzi è nel quotidiano, nell’ogni giorno.

Hai mai dovuto combattere con problemi di censura sulle tue opere? Cosa ne pensi della nuova policy di Instagram? Può danneggiare gli artisti?

Problemi di censura niente di che, se arrivano delle critiche sono una benedizione per il lavoro svolto. Non sono interessato al cosiddetto nudo-esplicito, la forza deve venire dall’atteggiamento. Amo le donne che mantengono le distanze, che usano il nudo come un’arma e non come un invito. Instagram non può danneggiare nessun’artista, la mediocrità sì. Non ho problemi per ora riguardo le regolette-social, è un contratto che accetti oppure te ne vai e risolvi il problema, in casa d’altri mi comporto secondo le regole della casa o me ne vado.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Mi sto allenando per festeggiare i miei 50 con 200Kg di stacco.

La biografia di Dido Fontana

Dido Fontana è nato a Mezzolombardo, nel 1971. Cresciuto nella camera oscura di suo padre, ha appreso le basi della fotografia, esplorato la gamma di possibilità mentre giocava con tutti i tipi di media definendo il suo stile, molto personale. Le sue opere sono state esposte in gallerie d’arte di tutto il mondo e collabora con numerose riviste e web-zine come Ginza, Playboy, Tissue e altri. Nel 2007 ha vinto il primo premio per la Miglior Foto al Premio Pitti Immagine. Nel 2014 una delle sue fotografie è stata esposta al Minneapolis Institute of Arts nella mostra “The Art of Murder”.

“Nell’atto d’amore, come in fotografia, c’è una forma di vita e una sorta di morte lenta”. Nobuyoshi Araki

Dido
Autoritratto con tutù, parrucca e sigaro, 2019, limited ed. photography

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