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Il mistero ancestrale della Grotta dei Cervi rivive nelle immagini di Domingo Milella
Fotografia
C’è un tempo che non scorre ma si deposita. È il tempo delle testimonianze lasciate dall’uomo in ogni epoca, ad ogni suo passaggio. Un tempo puntuale e sospeso, che si fa ancestrale quando quelle testimonianze parlano delle origini dell’umana esistenza. È questo il tempo protagonista della nuova personale di Domingo Milella (Bari, 1981), visitabile fino al 27 luglio presso il Polo Bibliotecario Regionale della Puglia nell’ex Caserma Rossani, a Bari. Curata da Michele Spinelli – che con Milella collabora fin dai tempi della Galleria Doppelgaenger di Bari – e promossa dalla Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare, la mostra Il Teatro del Tempo si configura come un atto di mediazione poetica tra visibile e invisibile, tra arte contemporanea e archeologia preistorica, così come questa si configura in uno dei siti rupestri più affascinanti del Mediterraneo: la Grotta dei Cervi di Porto Badisco.

Straordinario santuario del Neolitico collocato a pochi chilometri da Otranto, chiuso al pubblico per ragioni conservative, la grotta conserva oltre tremila pittogrammi risalenti a più di 6mila anni fa. Figure stilizzate, simboli enigmatici e tracciati rituali sono disposti lungo le pareti in un continuum visivo che unisce arte e spiritualità e su cui gli specialisti s’interrogano da decenni. Un patrimonio nascosto, fragile quanto prezioso, che torna a mostrarsi al pubblico per via indiretta, attraverso l’occhio di Milella.

Dopo la prima esposizione nella ex chiesa di San Francesco della Scarpa a Lecce nel 2021, la mostra intesse oggi una nuova, intensa narrazione. Essa è il frutto di un lavoro che ha richiesto anni di preparazione e un accesso eccezionale al sito, concesso nel 2019 a Milella dalla Soprintendenza per le province di Brindisi e Lecce. La sua esplorazione, realizzata attraverso un banco ottico analogico, non ha scopi documentaristici, né interpretativi. Le sue immagini non spiegano ma evocano, restituendo intatta l’arcana spiritualità di un luogo che forse non riusciremo mai a comprendere in toto. Le fotografie sono, come precisa l’artista, «Messaggi, segnali, connessioni» tra il passato e il presente, tra la necessità di un dato momento e l’universalità del messaggio che ne è scaturito.

Dal percorso emerge l’idea di una impossibilità di comprensione totale, configurandosi come atto di cura verso il mistero dell’arte, che sempre e imperituro si ripropone. Le tredici opere in mostra, distribuite nelle 13 campate della Palazzina F ma senza una divisione netta, assecondando il percorso di scoperta come se ci si trovasse nella stessa grotta, creano un percorso immersivo in cui lo spettatore è invitato a un dialogo intimo con quel luogo interdetto al pubblico. Il Teatro del Tempo è dunque un attraversamento che travalica i secoli ponendo in relazione due gesti artistici differenti.

L’allestimento, concepito secondo un impianto teatrale, mira a restituire l’esperienza ipogea della grotta, evocandone l’oscurità, la sacralità e la rarefazione percettiva. L’atmosfera sotterranea è evocata da luci minime e tagli visivi che rievocano l’esperienza immersiva dello speleologo, la stessa vissuta dal fotografo al momento dell’esplorazione. L’apertura serale (dalle 21 alle 24) enfatizza il legame con i cicli cosmici e la dimensione rituale dell’origine.
Milella sottrae la grotta alla sua invisibilità e la proietta in una nuova dimensione narrativa, tra segno e memoria. E in questo cortocircuito tra tempo umano e tempo geologico, che la sua ricerca si allinea a quella di artisti come Paul Klee, Jean Dubuffet, Giuseppe Penone o Anselm Kiefer, tutti attratti da quell’origine primordiale da cui tutto scaturisce.
L’iniziativa si avvale del contributo scientifico del Museo della Preistoria di Nardò, della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Lecce e Brindisi e dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione.