26 ottobre 2020

Il velo del tempo nella fotografia vince al MAST

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Due interessanti mostre, aperte fino a inizio gennaio 2021, impreziosiscono la “stagione autunno-inverno” del bolognese MAST, la Manifattura delle Arti, Sperimentazione e Tecnologia

Lo studio come teatro di posa, 1917 Stampa ai sali d-argento, Archives Nationales, Francia 398AP/61

La mostra principale dell’autunno del MAST di Bologna è costituita dal “MAST PHOTOGRAPHY GRANT ON INDUSTRY AND WORK” a cura di Urs Stahel, premio biennale giunto al suo sesto appuntamento. Raccoglie fotografi provenienti da tutto il mondo, selezionati da una giuria che sceglie all’interno della rosa dei cinque finalisti il vincitore. Tutti i cinque fotografi selezionati hanno quasi un anno di tempo per portare a termine i loro progetti concepiti per le sale del MAST. Quest’anno il primo premio è andato all’anglo-messicana Alinka Echeverría (1981) che ha restituito alla figura della donna a confronto con il mondo della scienza e della tecnica il ruolo – a lungo negletto – di protagonista. Attraverso fotografie di archivio ha risollevato il velo polveroso della storia sulle mani di donne anonime (le Hélène) che montavano all’inizio del secolo le pellicole dei film muti e che avevano quindi una funzione molto importante nella costruzione dei film, ruolo che è venuto a mancare con l’avvento del sonoro.

Alinka Echevarría, Apparent Femininity/Femminilità apparente, Madeleine (da/from Hélène), 2020 Copyright Alinka Echevarría
Alinka Echevarría, Apparent Femininity/Femminilità apparente, Madeleine (da/from Hélène), 2020. Copyright Alinka Echevarría

Sono fotografie solarizzate su vetro, opere di grande fascino, e in questo Echevarría riprende una tecnica che si narra sia stata inventata dalla modella, fotografa e musa di Man Ray, Lee Miller. Gli altri due momenti di recupero della memoria sono dedicati ad Ada (Ada Lovelace), la matematica considerata la prima programmatrice della storia, rappresentata attraverso un patch-work di immagini che rimandano a trasmissioni satellitari, nastri di dati e foto femminili. Infine una tenda a led lascia intravvedere la scienziata Grace Hopper (Grace), in una postura ripresa da una fotografia di Berenice Habbot. Avvicinandosi si è catturati dalle sonorità minimali di Daphne Oram, inventrice del graphical sound. Il lavoro dell’artista sembra caratterizzarsi come una sorta di antropologia archeologica dell’industria e del femminile, nel recupero di figure che si oppongono allo stereotipo della donna vista nella dimensione domestica, artigianale, manuale, umorale, emotiva, lontana da quella della scienza esatta, della tecnica, della perfezione dell’industria e del potere cui è votato lo stereotipo maschile.

Chloe Dewe Mathews, For a few euros more/Per qualche euro in più
Miniera d’oro/Gold mine, 2019
Copyright Chloe Dewe Mathews

Molto di impatto è anche il progetto della britannica Chloe Dewe Mathews (1982) intitolato For a few euros more, ambientato nel deserto di Tabernas, nel sud della Spagna, dove si intrecciano tre storie molto potenti legata alle funzioni del luogo: quella di miniere di metalli preziosi, quella di set degli spaghetti western di Sergio Leone (il titolo della mostra fa il verso a Per un pugno di dollari) e infine, quella attuale e opprimente di sfruttamento intensivo della terra attraverso serre ricoperte di plastica, da cui il nome con cui il luogo è tristemente noto: Mar de plástico. Un enorme territorio di 400 chilometri quadrati costituisce l’industria agroalimentare che produce un terzo del fabbisogno di tutta Europa. Le conseguenze sull’ecosistema del territorio sono devastanti: in primis si stanno seccando le riserve d’acqua dei dintorni. L’impoverimento della terra fa poi il paio con lo sfruttamento di braccianti provenienti dall’Africa. Il film riprende volutamente e felicemente i codici del western. Il film infine è “incorniciato” dalle fotografie che lo introducono nell’installazione esterna.

Maxime Guyon, Aircraft
Turboventola/Turbojet fan, 2018
Copyright Maxime Guyon

Il francese Maxime Guyon (1990) fa letteralmente entrare negli ingranaggi degli aerei lo spettatore. Il progetto Aircraft infatti mostra primi piani di dettagli lucidi, perfetti, iperrealistici di componenti meccaniche degli aerei decontestualizzate dall’intero e dallo spazio. Sembra di andare indietro nel tempo alla fotografia impeccabile della Nuova Oggettività tedesca. Ma in più qui c’è il colore e la restituzione fedele del particolare con una predilezione per le forme curve, affusolate, avvolgenti. Il finlandese Aapo Huhta (1985) ragiona invece sui software preposti al riconoscimento dell’immagine, sull’intelligenza artificiale e sulle implicazioni di queste tecnologie. Per quanto veloci, quasi immediate siano le risposte dell’AI che riconoscono le immagini, prima di tutto vastissimo è il margine d’errore. Ma è soprattutto analizzando la tipologia degli errori delle macchine, che scopriamo in realtà molto più sull’uomo che ha fornito gli standard di riconoscimento che sulla macchina stessa, che non fa altro che eseguire degli input preordinati. L’artista quindi lavora sugli schemi e i pregiudizi mentali, sugli stereotipi diffusi, sulle scale di valori, sulle gerarchie e consuetudini di potere di ogni grado: sociale-economico-politico-psicologico. È un buon lavoro, sui cui temi si sono impegnati anche altri artisti, mi viene in mente ora Trevor Paglen ad esempio. Infine il messicano Pablo López Luz (1979) con il suo Baja Moda costituisce un inventario di quei locali e negozi in America Latina che resistono alla potentissima ondata della moda globalizzata fatta di filiere di grandi magazzini anonimi come di lussuosi marchi di alta moda o pret-à-porter che monopolizzano il mercato e l’immagine della vestibilità. I negozietti fotografati soprattutto in Cile, Equador e Cuba si caratterizzano per un’immagine che sembra cristallizzare il tempo nel fuori-moda, nel nostalgico, artigianale, individuale che recupera la sfera del fatto a mano e del su misura di un tempo. Le fotografie “adottano la stessa prospettiva obliqua” di Tomas Struth, contribuendo a dare un senso di attaccamento al contesto, di continuità nella storia di decorazioni e immagini che in America Latina recuperano fattezze e memorie pre-colombiane.

Pablo López Luz, Baja Moda CXXXV, Chile, 2019 Copyright Pablo López Luz
Pablo López Luz, Baja Moda CXXXV, Chile, 2019
Copyright Pablo López Luz

La mostra che segue è “INVENTIONS” curata da Luce Lebart. Si tratta di una scelta dall’enorme archivio di immagini fotografiche voluto dall’inventore Jules-Louis Breton a capo del Sous-secrétariat aux inventions, ossia dell’archivio francese dove sono conservate e catalogate tutte le invenzioni alcune anonime ed altre dovute a inventori famosi sotto forma di immagine. Questo permetteva una veloce fruibilità delle invenzioni per l’installazione di eventuali salons e giudizi degli esperti. Le immagini sono tutte anonime, fatte con grande accuratezza con sfondo bianco per esaltare l’oggetto e talvolta arricchite dalla figura dell’inventore o da chi ne mostrava la funzionalità. Vi è un gusto da catalogazione enciclopedica che ricorda alla lontana il progetto dell’artista italo-americano Marino Auriti che voleva catalogare in un Palazzo Enciclopedico tutte le invenzioni dell’umanità. Qui più in piccolo abbiamo una catalogazione di tutte le invenzioni francesi tra il 1917 e l’alba della Seconda Guerra Mondiale (1938) quando il Sottosegretariato verrà chiuso. La funzione dell’archivio era di dimostrazione, informazione, quasi di pubblicità di tutte le invenzioni, alcune delle quali anticipatrici sui tempi come la lavastoviglie di Breton o l’aspirapolvere degli anni ’20. Altre buffe, ridicole o semplicemente utili per quei tempi, ma tutte senz’altro ingegnose. Fa da incunabolo alla mostra la fotografia intitolata “Lo studio come teatro di posa”, dove si vede dove si facevano le foto delle invenzioni e il fotografo, in cui si riconosce il fotografo e regista Alfred Machin operatore nel Sottosegretariato, noto come regista di Maudit soit la guerre e come regista di documentari che hanno mostrato per la prima volta animali selvaggi per la caccia.

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