16 agosto 2021

Italia coast to coast: intervista a Paolo Carlini e Camilla Albertini

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Un viaggio alla scoperta di culture, tradizioni e vissuti locali: Paolo Carlini e Camilla Albertini ci raccontano "Italia coast to coast", volume fotografico edito da Silvana Editoriale

Recentemente è stato pubblicato il volume “Italia coast to coast”, scritto da Paolo Carlini, giornalista e fotografo, e Camilla Albertini, fotografa e videomaker, edito da Silvana Editoriale. Il libro racconta un’Italia diversa da quella che siamo soliti leggere. Gli scatti fotografici, raccolti chilometro dopo chilometro, focalizzano l’attenzione sul rapporto tra le persone e il loro territorio, sull’interazione tra storia e contemporaneità, sul vissuto quotidiano e sulla tradizione e cultura locali. Architetture dismesse, panni stesi, persone affaccendate nel proprio lavoro, coste frastagliate. Sono solo alcuni dei soggetti che attendono il lettore per scoprire la vera bellezza della nostra Penisola.

Iniziamo con una domanda scontata ma non troppo. Cosa significa viaggiare e perché.

Paolo Carlini «Tendenzialmente l’idea di viaggio per me significa non dover mai tornare negli stessi posti ma scoprire posti nuovi. La nostra filosofia è tutti i giorni un lavoro diverso ossia affrontare una situazione diversa. Noi partiamo sempre con l’idea che non si programma se non a grandi linee. L’anno scorso avevamo una sola meta: la costa. Il vero obiettivo era il viaggio ossia il percorrere la costa. Ho utilizzato il mare come percorso, come poesia di questo viaggio. Il fascino mio personale è la terra e la gente, quello che fanno le persone».

Camilla Albertini «Il mare della costa romagnola può essere accogliente per le famiglie e i bambini. Il mare pugliese è quello più turistico. Come se ogni mare avesse la sua destinazione, un suo richiamo di persone».

PC «Abbiamo viaggiato senza utilizzare il navigatore perché questo ti porta a fare le strade più veloci. Noi avevamo invece in mente la strada più estrema. La nostra era proprio una fissa tanto è vero che ci ha portato a sbagliare strada, a doverci fermare davanti strade private, ponti inagibili. Non c’è stato mai un momento di scoraggiamento perché l’errore o il tornare indietro veniva preso con grande filosofia e passione. Si viaggiava in piena libertà decidendo giorno per giorno, ora per ora decidendo se mangiare di pomeriggio, saltare un pasto, mangiare solo una mega spaghettata la sera».

Quale ruolo ha giocato la pandemia nel vostro viaggio? Che tipo di “Umanità” avete scoperto durante il tragitto?

PC «La pandemia ha giocato tutto in questo viaggio, l’idea di rimanere in Italia. Perciò abbiamo voluto affrontare la nostra nazione, la nostra terra che pensavamo di conoscere ma che in realtà è tutta da scoprire e stiamo parlando solo delle coste. Siamo abituati a una cartolina di una Italia bellissima, noi avevamo voglia di una Italia normale e su questo speriamo di essere riusciti a darne una idea. La cosa su cui abbiamo puntato non è la fotografia eccezionale, quello che volevamo fotografare era la normalità, il nostro Paese nel periodo pandemico, lo scorcio dal finestrino del nostro mezzo».

CA «Tutte le persone che abbiamo incontrato durante il tragitto erano persone disponibili, ospitali, che raccontavano cose personali riguardanti il lavoro o la famiglia. Le persone avevano voglia di reinventarsi, spesso sul lavoro. Persone positive verso la vita».

PC «Abbiamo intervistato persone che lavorano. Tutti erano molto scossi dal periodo del lockdown ma anche molto positivi. Camilla ha intervistato diverse donne che durante il lockdown hanno scelto di dar vita a nuovi percorsi lavorativi».

Riguardo proprio alle donne: Camilla che tipo di donne hai incontrato durante il viaggio? C’è qualche figura che ricordi in modo particolare?

CA «Questo lavoro era stato commissionato da Donna Moderna che aveva individuato 10 donne in Italia che avevano particolari progetti relativi ad un cambiamento che fosse appunto di lavoro o di famiglia. Tutte mi hanno lasciato qualcosa. In particolare una donna marchigiana che voleva sistemare l’azienda di famiglia per farne un’attività di ricezione. Aveva un detto contadino: “Morte porta vita”. Un progetto di rinascita legato a una sua storia personale ma nello stesso tempo legato a questo periodo storico. Erano tutte donne molto in pace con loro stesse e con gli altri. Una madre di famiglia aveva comprato una barca e voleva fare il giro del mondo. Delle donne molto in gamba».

La relazione con la gente comune è un tema che ricorre nel vostro diario. Raccontatemi di più riguardo l’avventura di Taranto.

PC «Taranto è stata una grande scoperta, in particolare di persone».

CA «Quando siamo arrivati abbiamo incontrato questa signora che stava guardando tra i cassonetti, pensava fossero stati abbandonati dei gattini. Ci siamo fermati a parlarle e nel giro di pochi minuti, ci ha invitato ad andare da lei. Ci ha offerto un caffè, mi ha regalato un libro sugli ori di Taranto come se io fossi la vicina di casa, come una persona che conoscesse da parecchio tempo».

PC «Per loro questa calda ospitalità è un modo per conoscere e di condividere. Ci siamo imbattuti casualmente in altre tre persone tutte profondamente appassionate della propria città. Questo ci ha fatto sentire fieri cittadini del nostro Paese e della nostra gente. Così diversa, così ospitante: Italia».

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