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Other Identity #118, altre forme di identità culturali e pubbliche: GioBlonde
Fotografia
Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo GioBlonde.

Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«La fotografia, la mia fotografia è strettamente correlata alla mia via vita. La fotografia nasce da una relazione. Noi siamo questa relazione. In differenti luoghi, ma uniti dallo stesso desiderio: comunicare in forma libera ciò che stiamo vivendo. Liberi da ogni tabù & condizionamenti esterni. Con l’obiettivo di creare trasformazione ed evoluzione per me & per chi entra in contatto con me. Anche le sezioni di performance che eseguo. Non c’è arte senza relazione nel mio Matrix».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«Tracce…che io chiamo crepe o “tatuaggi “tra cuore e pelle. La fotografia & le arti performative curano, illuminano. L’arte è un po’ il mio Kintsugi. Le crepe continuano a vedersi certo, ma c’è tutta una scia che le illumina. A volte torna il buio che io ricerco. Non c’è fotografia senza trauma. Ogni incontro è trauma ed evoluzione che gorgoglia coraggio e potere salvifico».

Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Sociale/Culturale mi rimanda al progetto fotografico @wildromagna__2022 creato insieme alla mia super socia @lulu_Withheld attraverso il quale tentiamo di lottare contro ogni forma di tabù, censure culturali sessuali. Una comunity ora. Un vero e proprio “spazio” artisti nato tre anni fa post Covid, tanta era la voglia di continuare a fotografare e fare arte. Ora è diventato un book che è uscito a settembre 2023».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«Ciò che creo, ciò che dono (attraverso le performance si dona parte di sé della propria energia del proprio mondo) è il risultato di tracce del mio passato, della mia vita musicale, di ogni incontro, di tutti gli amanti, di ogni abbandono e lutto.
Di ogni libro letto. Di tutte le lacrime versate. Di tutti atti di gentilezza inaspettati e gli atti d’amore ricevuti. Di ogni luogo in cui il bene e il male si sono mischiati, di ogni specchio che ha incrociato i miei occhi: illuminato, a volte spaventato, arrabbiato o pieno d’amore.
Ogni specchio ha riflesso ciò che mai avrei visto da sola che non sapevo facesse parte di me».

ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Non mi piacciono le definizioni. Ma ritengo di aver un cuore e mente wild, coraggiosi liberi. Si sono un’artista. Solo quest’anno ho preso coraggio e l’ho scritto pure in Bio. Credo che la cosa importante sia la capacità e la modalità di relazionarsi con la fotografia (nel mio caso) e con coloro che la guardano».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Nessun’altra se non la Gio che sono or ora. Che volevo essere. E quella che è in continua trasformazione».

Biografia
Gio Blonde, psicologa, performer, fotografa e antimodel. Nata guerriera e libera. È diventata Dea della verità nella sua seconda vita. La fotografia è stata una “chiamata” come Gio ama definire il passaggio da una sorta di stato di coma a uno di rinascita e consapevolezza, attraverso di essa e i primi autoritratti. È entrata in contatto prima con la fotografia digitale e poi analogica circa 7 anni fa. Dopo diversi workshop con Enrico De Luigi, Toni Thorimbert, J. Benassi (ha realizzato la sua prima performance), Settimio Benedusi ed Efrem Raimondi. Ha cominciato a girare di notte tra bagni e rave, poi è arrivata al nudo come linguaggio per raccontare la sua verità.

Sono iniziate le performance – Blindsession – quando Gio si è resa conto grazie alla madre cieca fotografa, che la macchina fotografica è solo un mezzo ed è solo attraverso lo scambio di energia, cuore e pelle che si può creare una trasformazione. Così ora le sue Blindsession sono realizzate durante i suoi workshop di fotografia (WildStage, con @wildromagna) e tra Europa e Italia.
Da circa un anno collabora con un collettivo di artisti @wildromagna_2022 : un progetto artistico nato con la socia @lulu_withheld durante il periodo Covid. La solitudine, la voglia di poter tornare a viaggiare, il desiderio di continuare a fotografare e rendere catartici lutti e perdite, ha portato a ri-scoprire la loro terra di origine, unite più che mai attraverso la fotografia. Ogni fotografia è testimonianza di amore, abbandono, fuga & ritorno. E lo hanno fatto attraverso Call, Workshop, esposizioni e performance, in cui appassionati di fotografia e artisti si sono uniti con la loro arte. Creando trasformazione e relazione. E il viaggio, questo viaggio, è così mutato durante il percorso ed è diventato questa enorme famiglia, la community di Wild Romagna.
