30 settembre 2022

Other identity #29. Altre forme di identità culturali e pubbliche: Chiara Meierhofer Muscarà

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Other identity è la rubrica dedicata al racconto delle nuove identità visive e culturali e della loro rappresentazione, nel terzo millennio: la parola a Chiara Meierhofer Muscarà

Chiara Meierhofer Muscarà, RITRATTO

Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana l’ospite intervistato è Chiara Meierhofer Muscarà.

 

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Other Identity: Chiara Meierhofer Muscarà

Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?

«Secondo me tutto può essere arte, la natura, la musica, le arti visive, la moda…tutto quello che crea emozioni autentiche e forti di qualsiasi tipo è arte».

Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?

«La mia identità sono le mie immagini. C’è una forte proiezione del mio vissuto e della mia psiche nelle immagini che creo, la gran parte di esse potrebbe essere vista come autoritratti, anche se i soggetti sono sempre diversi».

Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?

«È una condanna. A volte mi chiedo se in alcuni casi, la personalità e l’identità di un artista non vengano fagocitati dal “personaggio” che si viene a creare, e che va a soffocare molti input creativi. In un mondo sempre più social e virtuale, penso che molti si perdano dietro ai loro avatar, e perdano di vista quello che vorrebbero creare di puro. D’altra parte, il pubblico ama i personaggi, ed essere amati, seguiti sui social, è il nuovo status sociale, e apre molte porte. Io vorrei un mondo in cui quello che facciamo valga di più di una faccia, un corpo, un numero sui social».

Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?

«Io cerco sempre di restare autentica, di scavare sempre più a fondo dentro di me e dentro a quello che creo, e a come lo creo, senza cedere a quello che va di più, a quello che piace di più o che può funzionare meglio. Il concetto di “valore” è legato al concetto di “misura”, e credo possa essere dannoso, in un mondo in cui siamo portati a dare sempre di più, valere sempre più. Credo che il percorso creativo e personale debba andare sicuramente verso un miglioramento, ma distaccandosi da scale di valori sociali».

ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?

«Io mi considero una persona creativa, per questa mia necessità quasi fisica di rappresentare il mio immaginario in forma di fotografia. É quello che mi piace più fare, e che dà un senso alla mia esistenza.

Non amo usare la parola “artista”, il dibattito su cosa è arte e cosa non lo è va avanti da moltissimo tempo, ma è una conversazione sterile portata avanti tendenzialmente da una corrente di pensiero classista e snob. Quando è nata la fotografia, non era considerata arte, ma una non riuscita e semplificata imitazione delle arti pittoriche. Il fatto che anche adesso a volte si pensi più a classificare le opere in artistiche e non artistiche, più che a viverle, è piuttosto stupido secondo il mio punto di vista».

Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?

«In una vita parallela a questa, vorrei avere la fluidità nel cambiare identità, con un percorso attoriale. Vivere cento vite sempre diverse, immergermi in esse per mesi, e riportare qualcosa nella mia persona reale. Ma alla fine credo che userei anche quelle esperienze per scattare fotografie, quindi forse non c’è una scappatoia dalla mia identità come fotografa».

Biografia

Chiara Muscarà Meierhofer è una fotografa italo-svizzera, attualmente con base a Milano. Il suo percorso e la sua vita non sono lineari, si trasferisce spessissimo fin da piccola in diverse zone dell’Italia, non ha reali radici o un senso di appartenenza. La sua formazione artistica avviene tramite la lettura di autori classici come Baudelaire, Goethe, Wilde, Simenon, e contemporanei come Palahniuk ed Ellis, e con il cinema. I suoi registi di riferimento sono Ingmar Bergman, Gaspar Noé, Kim Ki-duk e Yorgos Lanthimos.  Quello che accomuna questo intreccio tra drammatico classico e cinico contemporaneo è l’investigare le dinamiche psicologiche e relazionali umane, che avrà una grande influenza nei lavori fotografici di Chiara Muscarà Meierhofer.

Chiara si laurea in psicologia concentrandosi sulla psicologia sociale e della comunicazione, poi intraprende un Master al Polimoda Fashion Institute in Styling & Art Direction. Dopo aver lavorato su diversi set fotografici e set cinematografici, sente l’urgenza di creare personalmente le sue foto e gestirle dal concept alla post-produzione, per rappresentare in modo più preciso possibile il suo immaginario. Ogni ritratto che scatta può considerarsi un autoritratto, una sorta di autoanalisi visiva.

Le sue immagini sono investite da una luce abbagliante e cruda, coloratissime e alienate, specchio di una generazione social e solitaria.

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