15 agosto 2023

Tutti i colori dell’estate nelle fotografie di Martin Parr

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Il fuggi fuggi dell'estate, con tutte le sue bizzarre sfumature, è magistralmente catturato dalle fotografie di Martin Parr, che ha fatto della spiaggia la sua musa ispiratrice

Martin Parr, A day at the beach is the same the world over. Autore: Martin Parr | Ringraziamenti: ©Martin Parr / Magnum Photos Copyright: ©Martin Parr / Magnum Photos

Chi meglio di Martin Parr nel corso della sua carriera, con le sue fotografie, ha saputo rendere il sapore dell’estate? L’estate più che una stagione è un sentimento ben preciso: il sole, alto sull’orizzonte, batte insistentemente e più a lungo riempiendo l’aria di una pesante afa, le cicale si sostituiscono alle rondini della primavera, gli occhi incollati al computer iniziano a fantasticare e a cercare il volo più conveniente per fuggire dal cemento che squaglia la suola delle scarpe. L’estate è libertà, leggerezza della mente e lentezza del corpo, luccicante di un gravoso sudore, è rumore del mare nelle orecchie, sensazione di sabbia sotto i piedi e polmoni saturi dell’aria cristallina delle montagne. Estate però è anche turismo di massa, l’altro lato della medaglia di un paese che soprattutto ad agosto chiude i battenti, incarnato in grottesche figure che abbandonano la postura eretta dell’Homo sapiens per passare a quella sdraiata di una lucertola, pronta a rinunciare alla propria coda per sfuggire al primo squillo del telefono.

 

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In mezzo a questi individui antropomorfi, Martin Parr si muove cautamente come un antropologo, catturandone i dettagli con l’obiettivo della sua macchina fotografica e registrandone i comportamenti per uno studio il cui risultato visivo si rivela piacevole per l’occhio. Iniziato alla fotografia fin da bambino, dal nonno fotografo amatoriale, Parr si contraddistingue per un riconoscibile stile eclettico che attraverso l’uso spietato del flash e i colori saturi. Punta il dito contro la patinata società dei consumi.

 

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La spiaggia, simbolo per eccellenza dell’estate è infatti il palcoscenico prediletto dall’occhio artificiale del fotografo inglese, che studia minuziosamente i suoi abitanti saltuari, spostandosi esso stesso da una battigia all’altra del mondo: «è possibile capire molto di un Paese guardando le sue spiagge; in tutte le culture, la spiaggia è quel raro spazio pubblico in cui si possono trovare le assurdità e i comportamenti eccentrici tipici di ogni nazione». I personaggi di questa telenovela edulcorata talvolta inconsapevoli, a volte in posa, sono come tutti noi, restituiscono un perfetto affresco dell’agire umano all’apice del relax. Gelati che colano sulle mani, teli in spugna cangianti, calzini bianchi infilati dentro a sandali in pelle, costumi (i più kitsch); il primo piano sfuocato di una donna dal volto incorniciato da un foulard e occhiali da sole bianchi, quella che potrebbe essere la fotografia che vostro padre ha scattato a vostra madre in vacanza; la sensazione che viene da un pallone di plastica giallo a contatto con il sudore della pelle e la sabbia.

 

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Tanti reperti, a prima vista caotici, casuali che ricostruiscono la storia di una normalità spesso trascurata a favore dei grandi temi della fotografia e dell’arte in generale. Immagini presentate col sorriso dell’ironia, che dopo un primo momento di simpatia, risultano soffocanti a causa di un eccesso compositivo, stilistico e soprattutto di una realtà che viene sbattuta in faccia, quella di un’epoca che respira l’aria di un nevrotico consumismo. La critica, il giudizio e lo sguardo bonario sfumano l’uno nell’altro, mischiati ai colori lussureggianti e alla fine rimane solo uno specchio satirico dell’esistenza umana, di nuovo, l’iconica donna color aragosta con gli occhialini blu elettrico a proteggerla dai raggi UV, potrebbe essere una nostra parente.

 

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Gli studi sull’anima dell’estate incarnata nell’essenza “dell’animale” da spiaggia vengono archiviati come memorie personali in libri come The last resort (2009), Vita da spiaggia (2021) e Life’s a beach (2013), un libro fotografico in formato album di famiglia che ancora una volta ci ricorda che in questo teatro naturale, al profumo di salsedine, siamo tutti uguali, ugualmente bruciati dal sole, ugualmente goffi. Scriveva Marc Augé: «L’antropologo parla di quel che ha sotto gli occhi», in questo caso Martin Parr, antropologo che si muove per immagini, parla di quello che ha sotto la lente, un cliché vivente.

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