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Storie di donne raccontate attraverso gli scatti dell’agenzia Magnum
Fotografia
È in corso fino al 21 settembre 2025 la mostra Women Power – L’universo femminile nelle fotografie dell’agenzia Magnum dal dopoguerra a oggi, a cura di Walter Guadagnini e Monica Poggi. Il titolo stesso dell’operazione contiene gli elementi che ne definiscono il campo d’azione: ripercorrere la condizione femminile attraverso gli sguardi di alcune autrici e alcuni autori della Magnum Photos.
Women Power, ospitata nelle eleganti sale affrescate del Museo Villa Bassi Rathgeb di Abano Terme, una villa veneta cinquecentesca, raccoglie le opere di fotografe emergenti accanto a quelle di artiste di fama internazionale: Eve Arnold, Inge Morath, Olivia Arthur, Myriam Boulos, Bieke Depoorter, Nanna Heitmann, Susan Meiselas, Lua Ribeira, Alessandra Sanguinetti, Marilyn Silverstone e Newsha Tavakolian.
In mostra sono presenti anche i lavori di Robert Capa – uno dei fondatori dell’agenzia Magnum – insieme a Bruce Davidson, Elliot Erwitt, Rafal Milach, Paolo Pellegrin e Ferdinando Scianna.

L’esposizione, prodotta da CAMERA Centro Italiano per la Fotografia, si dirama su sei registri differenti. Questi spaziano dalla rappresentazione del ruolo femminile nel contesto familiare, all’indagine del processo di crescita e della costruzione dell’identità, con un’attenzione particolare alla questione di genere. Si esplorano, inoltre, l’influenza dei miti di bellezza e fama, l’impegno delle donne nelle battaglie politiche e la loro partecipazione ai conflitti bellici, nonché la rappresentazione del corpo femminile come spazio segnato da dinamiche di potere.
Come sottolineato da Monica Poggi in apertura al catalogo, la riflessione che ha portato alla realizzazione di Women Power si concentra anche sul tema della visibilità: «Da un lato la visibilità da dare alle opere delle autrici, dall’altro la visibilità di situazioni domestiche, intime o private, assolutamente fondamentali nella comprensione del passato e del presente».

La prospettiva femminile, lo ‘sguardo altro’, solleva inevitabilmente la questione se l’arte prodotta dalla ‘donna fotografa’ condivida tratti comuni o si distingua da quella maschile. In alcuni casi, la diversità emerge chiaramente attraverso esperienze legate al genere, vale a dire la possibilità di accedere a luoghi domestici, a spazi riservati, lontani dalla sfera pubblica.

Questo è ben evidente, per esempio, nel lavoro di Eve Arnold I primi cinque minuti di vita di un neonato (1958-1960), in cui l’autrice trascorre alcuni mesi all’interno del Mather Hospital di Port Jefferson nel reparto maternità, spazio precluso o quanto meno più complesso da ottenere per un fotografo. Lo scatto fa parte di un progetto concepito per esorcizzare il dolore della perdita del figlio, solo una delle tante storie che si celano dietro le singole fotografie e che meritano di essere approfondite e conosciute. La mostra è consigliata, grazie all’alta qualità delle opere esposte e al dialogo a più voci che riesce ad offrire uno spaccato articolato sulla storia femminile degli ultimi 70 anni.













