15 febbraio 2022

Edoardo Servadio per Venezia: i sestieri raccontati per immagini

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Nella sua ultima serie di disegni, Edoardo Servadio reinterpreta l’iconografia dei sestieri di Venezia per raccontarne le storie e i simboli, in omaggio alle gondole e a Piranesi

disegno di edoardo servadio per venezia

I sestieri di Venezia hanno un’origine tanto antica quanto la fondazione della città stessa. Sono sei e il numero è rimasto invariato nel corso del tempo: San Marco, San Polo, Santa Croce, Castello, Dorsoduro e Cannaregio.

Cannaregio è stato probabilmente uno dei primi luoghi a essere abitati. Due ipotesi riguardo l’origine del nome sono ancora oggi ampiamente dibattute: non si sa con certezza se derivi da una storpiatura di “Canal Regio” o dal caratteristico canneto lagunare che un tempo caratterizzava il paesaggio di questa zona paludosa. Castello, che comprende anche l’isola di San Michele – sede del cimitero cittadino -, trae le sue origini da un’antica fortezza poi diventata sede dell’arsenale della Serenissima.

Dorsoduro, di cui fa parte anche l’isola della Giudecca, deve il nome alle sue caratteristiche geofisiche che ne fanno l’area più sabbiosa e compatta di Venezia. San Marco, San Polo e Santa Croce, invece, devono l’origine dei loro nomi agli edifici religiosi che li hanno caratterizzati: l’imponente Basilica di San Marco e le due chiese minori dedicate a San Paolo Apostolo e alla Santa Croce, quest’ultima demolita in epoca napoleonica.

Edoardo Servadio, artista romano classe ’86, ha scelto di lavorare sulla storia dei sestieri di Venezia cimentandosi in quello che potrebbe rivelarsi un grosso intervento di riqualificazione urbana, che proprio dall’identità rionali prende avvio. Dopo aver lavorato nell’ambito della riqualificazione urbana di Roma, inventando un nuovo alfabeto latino (creando un nuovo carattere tipografico) e occupandosi dei simboli e delle allegorie rionali, rendendoli più attuali e contemporanei per una nuova generazione romana, Servadio vuole impegnarsi nuovamente, questa volta per rappresentare il volto di Venezia.

Sua grande ispirazione è stato Piranesi con i suoi disegni e vedute di quella Roma settecentesca, cui ha reso omaggio con capolavori dalle forme lineari, pulite e geometriche. Se nel ‘700 l’artista veneziano lasciò Venezia per Roma, oggi Servadio compie il percorso inverso: da Roma a Venezia.

A differenza di Roma, dove ogni rione ha da sempre una sua precisa tradizione iconografica oltre che storico-mitica, Venezia non ha una vera simbologia collegata ai sestieri ma solo riferimenti alla storia, alla geofisica del territorio o alle identità parrocchiali che in seguito furono centralizzate sotto al potere del doge. Servadio, dopo approfonditi studi d’archivio, ipotesi e prove, ha ideato sei disegni. Questi disegni sono destinati a forme, superfici e materiali tra i più diversi. Che possano decorare pavimenti di strutture sportive pubbliche, diventare targhe bronzee o marmoree da affiggere su edifici o pareti di zone delimitate, che vadano a ornare anonimi chiusini o i cimiteri e le tombe monumentali, l’idea di Servadio è fatta per accarezzare ogni dettaglio della quotidianità urbana.

Il primo riferimento da cui prendere spunto è stato il ferro della gondola, posto sulla prua dell’imbarcazione. La forma essenziale del ferro rappresenta una mappa stilizzata della città: partendo dalla punta, denominata “Cappello del Doge”, la struttura scende verso il basso dove un archetto rappresenterebbe il ponte di Rialto, i denti di ferro lungo la struttura sarebbero i sei sestieri – il settimo posto sul lato posteriore corrisponde alla Giudecca -, e la forma a S della lama principale simulerebbe l’andamento del Canal Grande.

In parte prendendo spunto dalla gondola, in parte per omaggiare Piranesi e la sua Piramide Cestia, Servadio ha immaginato una forma piramidale suddivisa in tre sezioni: in corrispondenza del vertice ha inserito la prua della gondola, nella zona centrale l’iconografia simbolica del sestiere e nella parte inferiore il nome del medesimo.

Una costante sono i corpi celesti, presenti in tutti e sei i disegni «Perché Venezia è città d’acqua e cielo, dove nelle notti più nitide le poche luci urbane rivelano la volta stellata che va dilatandosi nello specchio della laguna», spiega Servadio.

Per San Marco, il Leone Marciano che sotto la zampa reca una sfera armillare, primo apparato meccanico complesso inventato nella Grecia del III secolo a.C. Per San Polo, il San Paolo apostolo dei veneziani, la spada e la serpe – attributi del santo – trafiggono il crescente lunare in mezzo a una volta stellata. Per Santa Croce, una conchiglia recante una palla di cannone al centro, sormontata da un piccione. Il complesso simbolismo, sarebbe un’estrema sintesi dell’artista di richiami storici: La conchiglia, allegoria della nascita, ridisegnerebbe il rosone che si trovava sulla facciata della chiesa demolita mentre la palla richiamerebbe quella di cannone – risultato dei bombardamenti austriaci del 1849 – ancora oggi visibile sulla facciata dell’altra importante chiesa del sestiere, quella di San Nicola da Tolentino. Al posto della colomba, l’iconico piccione veneziano sostituisce lo Spirito Santo.

Per Castello, una granseola o una moeca in mezzo a elementi marini, che oltre a richiamare con il suo guscio l’idea della fortezza preesistente, renderebbe omaggio alla tradizione culinaria veneziana. Per Dorsoduro, un unicorno bianco come simbolo di saggezza, purezza ma di potere e ricchezza. Anticamente a Venezia, il corno di Unicorno, ovvero un dente di narvalo che all’epoca non si conosceva, veniva triturato e venduto a caro prezzo perché si credeva avesse grandiosi poteri guaritivi e fosse efficace contro molti malanni. Nella città lagunare era conosciuto come il “corno di lioncin”. Per Cannaregio, due aironi cenerini – tipici uccelli lagunari – in mezzo a un canneto, secondo le origini derivanti dalla morfologia del territorio.

È così che Edoardo Servadio, a metà strada fra storia e fantasia, tenta di ridisegnare un nuovo modo di abitare Venezia e i suoi sestieri, aggiungendo immagini e simboli che, come piccoli tasselli di un grande puzzle, vanno ad aggiungersi a quella lunga scia di tradizioni che hanno reso la Serenissima grande attraverso i secoli. Perché ogni città ha bisogno della sua poesia, una poesia raccontata per immagini.

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