01 aprile 2020

Gallerie ai tempi del distanziamento sociale: Tiziana Di Caro

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Le gallerie saranno uno dei comparti del sistema dell'arte più colpiti dalla stasi causata dal coronavirus. La prima a rispondere è Tiziana Di Caro

tiziana di caro coronavirus

Le gallerie sono uno degli attori più importanti del sistema dell’arte. A causa del distanziamento sociale con le gallerie chiuse, le fiere annullate o rimandate, i collezionisti più cauti, in questo momento di stasi, per anticipare sul tempo la crisi economica e per capire meglio quali potranno essere le modalità di ripresa delle attività abbiamo scelto di intervistare alcuni galleristi. La prima è Tiziana Di Caro che ha aperto la sua galleria a Salerno nel 2008, trasferita poi a Napoli nel 2015. Tra gli artisti con cui lavora ci sono Maria Adele del Vecchio, Sissi e Lina Selander, Antonio della Guardia e artisti più storici come Tomaso Binga, Betty Danon, Shelagh Wakely.

Come avete riorganizzato il vostro lavoro?

«Il blocco forzato dell’attività ordinaria della galleria ci ha consentito di riorganizzare l’archivio dal principio. Attraverso questo lavoro stiamo inviando delle viewing rooms esclusive dedicate a dei collezionisti, in cui formuliamo proposte in base ai loro interessi. Abbiamo poi stilando una lista di lavori inediti, mai mostrati né in galleria, né in fiera. L’idea è mostrare quei lavori in galleria una volta che avremo la possibilità di riaprire, invitando i collezionisti a vederli dal vero. Non credo la gente si accalcherà per un bel po’, pertanto ci stiamo preparando a ospitare i collezionisti “uno alla volta” per mostrargli quello che gli abbiamo raccontato attraverso la viewing rooms del nostro sito».

Quali misure metterete in atto per attutire le difficoltà previste per il 2020?

«I costi fissi ovviamente sono la spina nel fianco e purtroppo non ci sono grandi cose da fare. L’incertezza del momento e la mancanza di una data certa per la riapertura ci ha fatto scegliere di non faremo mostre fino a settembre. Questo comporterà una diminuzione delle spese in prospettiva. Da settembre ci dedicheremo ad alcuni dei progetti che avremmo dovuto realizzare in primavera, e che sono in parte già pronti. Non sono previste per il momento “mostre di produzione” che implicano l’impegno economico della galleria nella realizzazione, in particolar modo, delle opere.Non appena possibile riprenderemo anche le altre attività a cui la galleria si è sempre prestata: presentazione di riviste, libri e attività altre di vario genere. Bisogna che la gente ritorni in galleria e riprenda a sentirsi in un posto sicuro, bello, dove poter incontrare persone e condividere idee».

Qual è il più grande ostacolo che sarete costretti a superare nei mesi a venire?

«Di ostacoli ce ne saranno diversi. La paura da una parte connessa alla riappropriazione di momenti di socialità (quindi la difficoltà di riportare le persone in galleria come anche nelle fiere). Dall’altra come timore ad investire soldi per dei beni che, visti i tempi di crisi, qualcuno potrebbe ritenere secondari. Un altro problema potrà essere rappresentato dalla speculazione. Quest’ultima è una delle conseguenze più logiche di qualsiasi crisi in qualsiasi settore  e temo che l’arte contemporanea non ne resterà immune».

Quale credete sia la debolezza più evidente che il sistema dell’arte ha mostrato in queste settimane?

«Il “sistema” di cui mi chiedi non è un tutto organico, pertanto non agisce in quanto tale. Il “sistema” è composto da entità molto diverse tra loro che di fatto hanno anche esigenze e obbiettivi non coincidenti.
Se è vero che una catena è forte quanto il suo anello più debole, le analisi di mercato  hanno già individuato nelle piccole e medie gallerie l’anello debole del sistema dell’arte. Se questo anello dovesse rompersi non si avrà solo una catena più corta ma verranno meno tutte quelle specificità che sono il patrimonio principale di queste realtà: penso all’attività culturale che di fatto ogni galleria realizza sul proprio territorio, oppure la promozione di artisti giovani, e di artisti giovani nazionali. Lo sappiamo bene che questi ultimi raramente arrivano direttamente ai musei o alle istituzioni, e raramente, per ovvie questioni strutturali  vengono rappresentati da quelle gallerie che, invece, le analisi di mercato già definiscono fuori pericolo».

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