19 aprile 2019

Carte e territori d’Emilia a Parigi

 

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Una coppia seduta ad un tavolo aspetta il risotto. Sulle teste incombono onde dipinte sulla parete del ristorante. Annoiati e affamati, i due non se ne preoccupano e aspettano di mangiare. Questa è la fotografia Bologna, 1973 di Luigi Ghirri, fotografo emiliano attivo negli anni ‘70 e ‘80. La mostra itinerante a lui dedicata dal titolo “Luigi Ghirri. Cartes et territoires” ha aperto il 12 febbraio al Jeu de Paume di Parigi dopo le prime due tappe a Essen (Museum Folkwang) e a Madrid (Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia). Esteta delle cose banali, di luoghi ordinari lontani dalle località turistiche che hanno fatto conoscere l’Italia, Luigi Ghirri approda alla fotografia quando fare fotografia era diventata una pratica comune a tutti. La mostra si concentra sugli inizi del fotografo nel decennio degli anni ‘70 nella provincia emiliana, Modena e i suoi dintorni. Muri di mattoni, serrande, distributori di benzina, stazioni dell’autobus diventano soggetti della sua fotografia molto attenta alla forma e alle linee degli oggetti, una sorta di deformazione professionale del mestiere di geometra che aveva lasciato da poco per dedicarsi alla fotografia.
La presenza umana è rara nelle sue foto, le poche persone che cattura vengono prese da lontano o di spalle o mentre osservano una carta o un paesaggio. Ghirri le trasforma in oggetti, posizionati in paesaggi ordinari in cui regna sempre una calma diffusa. Il fatto di non poter riconoscere l’identità delle persone o di capire che cosa stiano effettivamente facendo non solo permette all’osservatore di attribuire loro qualsiasi identità, ma anche di focalizzare l’attenzione su ciò che guardano, carte, paesaggi e spazi urbani. Tutte le serie qui esposte emanano un senso di serenità e una attenzione maniacale (che suscita spesso simpatia) per il carattere geometrico degli oggetti o del loro insieme. Ad esempio, le linee orizzontali e ordinate delle file di mattoni di una facciata vengono disturbate da una serranda verde che, abbassata storta, interrompe la perfezione banale del mattone. Luigi Ghirri si interroga sul mondo costruito dall’uomo, ma segnato dalla sua assenza. Si sofferma su tutte le immagini della nostra quotidianità: graffiti, cartoline, loghi, cartelloni pubblicitari. La serie Paesaggi di cartone dimostra l’onnipresenza dell’immagine fotografata (il cartone, la sagoma pubblicitaria) nell’ambiente del nostro vivere di tutti i giorni. Ecco quindi cartelloni pubblicitari fotografati dietro un albero o sotto un cielo blu, dando l’impressione che la stessa natura stia quasi per appropriarsene. L’altra dello stesso periodo è Colazione sull’erba. Vasi di piante e siepi sono fotografati a mostrare il tentativo degli abitanti di una periferia di Modena di abbellire gli esterni delle loro abitazioni ordinarie e banalmente brutte. Perché James Lingwood, curatore della mostra, ha scelto il titolo “Carte e territori”? Perché Ghirri negli anni ‘70 è uno dei primi a girare l’Europa e a fotografare paesaggi urbani con lo scopo di raccontare a colori la vita moderna. Girovagava per le strade (sempre all’esterno) durante le vacanze passate nelle Alpi svizzere o a Amsterdam o a Parigi con un progetto preciso. Mostra un’Europa già invasa dal predominio dell’immagine, delle pubblicità stampate a colori in un’epoca dove ancora la fotografia d’autore era concepita in bianco e nero. Il colore, proprio perché utilizzato commercialmente per rendere verosimile e accattivante il prodotto venduto, rispecchia in Ghirri i soggetti banali e borghesi che cattura con una Canon, usata dall’italiano medio al turista. Convinto del fatto che il mondo già negli anni 70 era visto non più in maniera diretta, ma sempre filtrato attraverso delle immagini, quarant’anni dopo avrebbe certamente detto “Quanto ho avuto ragione!”. (Asia Ruffo di Calabria)

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