15 aprile 2019

Le nubi alla Galleria Vittorio Emanuele

 

di

Galleria Cracco
Ristorante Cracco,
Galleria Vittorio Emanuele II
T. +39 02 8767 74
ristorantecracco.it

 

vetrine – lunette
Tre studi per un ritratto
Site-specific installation by Goldschmied & Chiari,
curated by Sky Arte
06.04 > 30.11.2019

 

 

Fondazione Prada
secon venue
Milano Osservatorio
Galleria Vittorio Emanuele II

 

Surrogati. Un amore ideale
Jamie Diamond, Elena Dorfman
> 22.07.2019

 

 

Milano Art to Date, prezioso strumento che ci guida attraverso la programmazione delle settimane dell’arte e del design milanesi, è un progetto di Untitled Association dedicato agli amanti dell’arte e ai professionisti del settore. Attraverso una mappa che abbraccia l’intero tessuto urbano, il visitatore viene accompagnato tra i numerosi appuntamenti da non perdere, che confluiscono in Galleria Vittorio Emanuele II.
Il primo evento a dare nell’occhio è l’inaugurazione, avvenuta pochi giorni fa presso la Galleria Cracco, della terza installazione site-specific per le vetrine – lunette del ristorante Carlo Cracco. Goldschmied & Chiari – duo artistico composto da Sara Goldschmied ed Eleonora Chiari – diventa il protagonista con la presentazione di Tre studi per un ritratto, un inedito trittico di superfici specchianti parte del più ampio progetto di ricerca Untitled Portraits al quale le artiste lavorano dal 2014.
Danze nebulose e incorporee, assimilabili alla nube colorata sprigionata dai fumogeni, costituiscono il soggetto dell’opera del duo, che inserisce nell’installazione tre specchi sui quali sono fissati gli scatti fotografici delle nebulose. Le tre immagini scelte da Goldschmied & Chiari, trasferite sui supporti specchianti mediante una particolare tecnica innovativa e quasi alchemica che integra totalmente la fotografia nella superficie, rappresentano paesaggi esterni, spaccati di una dimensione naturale, ma al tempo stesso incarnano una prospettiva che volge all’interno, guardando alla condizione emotiva dello spettatore che osserva. L’immaginario delle due artiste concretizza, all’interno di quest’opera, un’evocazione della cosiddetta pareidolia, processo psichico per cui si riconducono, attraverso un’elaborazione fantastica, percezioni incomplete ad immagini illusorie dotate di nitidezza materiale, un po’ come quando ci si immaginano volti e forme di oggetti reali nascosti nel groviglio casuale delle nuvole. È così che la mancanza di definizione e l’astrattismo della dimensione spaziale, al confine tra immaginazione e palpabilità di una figura, si pone al centro di uno studio che mira all’ipotetica realizzazione di un ritratto che forse non vedrà mai luce e che si traduce, mediante un sapiente gioco di specchi, in un onirico caleidoscopio che cambia con l’atto del guardare dell’osservatore.

 

Il secondo suggerimento della giornata ci conduce, ora, alla seconda venue di Fondazione Prada, l’osservatorio a due passi dal duomo, dove viene ospitata la mostra Surrogati. Un amore ideale, a cura di Melissa Harris.
L’esibizione affronta, attraverso una selezione di quarantadue opere fotografiche di Jamie Diamond ed Elena Dorfman, i temi di amore familiare, romantico ed erotico, ripercorrendoli da una prospettiva piuttosto insolita: quella del legame emozionale tra un essere umano, uomo o donna che sia, e una sua rappresentazione artificiale.
Le due artiste americane ritraggono i surrogati come creature desiderate, bramate e idealizzate: è ciò che accade nel caso delle serie di Diamond, Forever Mothers e Nine Months of Reborning, dove il desiderio di maternità di una comunità di artiste viene soddisfatto mediante la realizzazione di bambole iper-realistiche con cui interagire; o ancora in Still Lovers, serie fotografica di Dorfman che, ritraendo una serie di persone mentre condividono la propria quotidianità con realistiche bambole erotiche a grandezza naturale, costringe lo spettatore a riflettere sull’amore e sul valore di un oggetto capace di sostituire un essere umano. Quella condotta dalle due artiste è un’indagine pregna di tenerezza e affetto, che si addentra in una complessa esplorazione degli stereotipi sociali e delle convenzioni culturali, alla ricerca dell’intimità che uomini e donne sono in grado di creare tra carne e silicone, tra la propria natura vivente e quella artificiale di oggetti dotati di una “vita propria”.

 

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