09 maggio 2022

I cani di Raffaello: l’arte della vendetta o del perdono, nel libro di Carlo Vanoni

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Carlo Vanoni è autore di "I cani di Raffaello", un thriller mozzafiato che riprende il tema del dissidio tra vendetta e perdono, un dilemma da sciogliere grazie al potere dell'arte

Carlo Vanoni, storico e critico dell’arte, istrionico inventore di narrazioni, divulgatore colto e appassionato della cultura, votato al teatro, ideatore di BienNolo, la Biennale di arte diffusa milanese, unica nel suo genere, già noto per “A piedi nudi nell’Arte” (2019) e “Ho scritto t’amo sulla tela” (2020), sorprende con il suo primo thriller mzzafiato dal titolo accattivante, “I cani di Raffaello”, edito da Solferino. Un libro mozzafiato, come e perché lo si capisce leggendolo.

Questa volta, l’autore travalica il proprio amore per l’arte, aggiungendo ai suoi non fugaci innamoramenti di opere e artisti di diverse epoche storiche, una conquistata maturità narrativa, con un libro di ampio respiro, in bilico tra un conclamato soggettivismo e l’universale che apre il lettore a riflessioni filosofiche sul significato della giustizia, tra etica ed estetica, vendetta e redenzione.  Vanoni, con profonda leggerezza, tra una descrizione e l’altra di un’opera d’arte, ci invita senza saccentismo nozionistico a riflettere su come stare in questo mondo ammorbato dalla violenza, anche spettacolarizzata dai media.

La trama è già di per sé fin troppo attuale, si tratta dell’ennesimo fatto di violenza gratuita ingiustificabile in attesa di giudizio. Matteo, ventenne che vorrebbe suonare la chitarra pur non avendo talento, casualmente nel posto e momento sbagliato, figlio di Rosaria, la compagna di Raffaello Corsini, il protagonista del libro, professore a contratto di storia dell’arte contemporanea all’Università Cà Foscari di Venezia, subisce un pestaggio in un parcheggio da tre ragazzotti  ignoranti, digiuni di senso civile e di valori nel vuoto del presente, in cui la violenza resta l’unica forza per affermare la propria identità nel culto del branco. Così, Raffaello medita una vendetta prima che il processo ai tre “cani bastardi” di turno colpevoli del pestaggio a Matteo avvenga. Ma ci vuole coraggio per premere un grilletto e ammazzare qualcuno, perché questa non è giustizia.

E da questo momento, Vanoni entra nel vivo dell’intricata storia che, pagina dopo pagina, conquista il lettore con una particolare tensione narrativa ma, soprattutto, emotiva. Perché, scrive l’autore, «L’ignoranza, quando si unisce alla violenza senza disporre di grandi spazi, può generare molti danni. A volte può uccidere. Un giorno ci presenteranno il conto di tutta questa violenza assurda e dilagante».  

Tradendo la sua estrazione borghese, mondo da cui proviene, Raffello sostituisce la vendetta sanguinolenta, meditata a freddo, verso i tre ragazzotti colpevoli della banalità del male, con la conoscenza, in questo caso forzata, dell’arte contemporanea.

La domanda è: «La bellezza salverà il mondo?» E ancora, qual è l’urgenza più profonda di Raffaello Corsini? Da giovane, la fotografia e, adesso, ormai disilluso da tanta mattanza umana, vendicare Matteo, ricoverato in terapia intensiva in coma celebrale e a rischio di perdere un occhio, oppure no? Odiare o perdonare? Che fine faranno i tre cani che hanno massacrato di botte Matteo?

Figura chiave e tramite di confronto per Raffello è l’amabile commerciante di pietre preziose con un passato nella lotta armata, Giulio Arconati, il padre di Matteo, detto il Colombiano, condannato per traffico internazionale di stupefacenti ma non delinquente, abile nel trovarsi nei guai, che non condivide la sete di vendetta dell’amico Corsini, seppure assecondandolo. Scrive Vanoni: «Giulio che nonostante i suoi tanti casini un pregio ce l’ha e si chiama leggerezza, merce rarissima per me e per Rosaria che, al contrario, prendiamo sempre tutto seriamente, lei con giusto distacco, io buttandomici dentro».

Anche Jeanne Couteaux, la raffinata dottoressa francese di nascita e italiana d’adozione, cresciuta tra Algeria, Libano, Medio Oriente e Italia, figlia di un diplomatico e una egittologa, che ha in cura Matteo all’ospedale San Raffaele di Milano, dalla bellezza non convenzionale, una figura elegante che ricorda l’esile Madonna dal collo lungo del Parmigianino, secondo Raffaello, riserva non poche soprese. Poi, di mezzo, c’è Bruno Gussoni, allievo di Corsini del suo corso intitolato “1966-1996, dalla Minimal Art alle caramelle” all’Università di Venezia, apparentemente svogliato, suo insospettabile ammiratore che sogna di diventare un curatore di mostre, e suo fratello dallo sguardo spento.

Tornando all’avvincente storia, Raffaello, di fronte ai violenti incatenati come cani e trascinati con l’inganno in una cascina della sua infanzia, “la Michelina”, in Piemonte, a novembre, pistola alla mano e parole aggressive che feriscono come una lama di coltello affilato, di fronte alla loro gretta ignoranza non si adeguerà alle trame dell’odio e dimostrerà come passione, ragione, arte e vita coesistono, dove empatia e compassione possono distinguere l’uomo dagli animali. L’uomo che è tale quando compie scelte determinanti, in cui prevale l’urgenza del cambiamento. E questa è già di per sé una conquista. L’arte non salverà il mondo ma la produciamo noi e, certamente, ci aiuta a comprendere le nostre contraddittorie, umanissime complessità.

«Non ho mai pensato di ammazzarvi. E sapete perché? Perché non sono un delinquente. La vera messinscena non sono gli albanesi che vi offrono orologi e cocaina, ma io che faccio credere a tutti di volervi ammazzare. Sono io la truffa». E chi non lo è stato nei confronti di se stesso e degli altri? Ingannare o cambiare? Capire o condannare?

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