01 agosto 2021

Il posto di Dioniso: arte e teatro dagli anni Settanta al Duemila

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Il libro di Ernesto Jannini, "Dyonisus'Place" racconta il grande teatro della vita, sollevando interrogazioni sul sentire l’arte, sul valore dell’istante, sulle possibilità di convergenze tra elementi diversi, con opere da interpretare come sistemi aperti e metamorfici

Ernesto Jannini, Equilibridi alla galleria La Giarina, Verona

L’aspetto più coinvolgente del libro di Ernesto Jannini (1950), Dionysus’Place. Tra Arte e teatro dagli anni Settanta agli anni Duemila (edito da postmedia books), che prende il titolo dall’opera esposta nel 2018 nel foyer del teatro Pacta di Milano, sta nella sua capacità di intrecciare arte e vita, storia personale e collettiva, senza cedere alla retorica nostalgica, grazie a una scrittura colta, vivida e appassionata.

Lo distingue la sua onestà intellettuale e capacità di valorizzare come, quando e perché è diventato ciò che è, un’ artista totale, poliedrico, razionale e relazionale, saggio e scanzonato insieme, mai saccente, sempre predisposto a rimettersi in discussione, all’insegna del cambiamento di tecniche e linguaggi ma coerente alla sua ricerca di tensione spirituale.

Tra una pagina e l’altra del suo libro, si evince che sono le persone che ha incontrato lungo il suo percorso di ricerca artistica, e tra gli altri protagonisti, sono determinanti l’architetto e designer Riccardo Dalisi e il regista Gennaro Vitiello, amico e complice intellettuale a cui Jannini ha dedicato una piccola monografia (Palestre di vita. Omaggio a Gennaro Vitiello). Gli incontri e le scelte hanno forgiato il suo percorso verso se stesso, nella ricerca dell’arte del teatro nella vita.

Dyonisus’Place, di Ernesto Jannini

L’artista napoletano milanese per adozione, in questo libro raccoglie ricordi che si snodano in una fitta serie di testi scritti in periodi diversi, rielaborati successivamente con l’obiettivo di “dipingere” con le parole un “autoritratto” carico di ricordi e di riflessioni su esperienze, ideologie, miti, ricerche sperimentali, passioni e sconfinamenti vari, vissute in quasi cinquant’anni spesi nella pratica del fare arte in maniera totale, all’insegna della pluralità dei linguaggi, alla ricerca di una “narrazione mitica”.

Il teatro per Jannini è una esperienza di condivisione totalizzante; un’azione propulsiva di reinvenzione del quotidiano tra finzione e realtà sul filo dell’ironia, quella sagace napoletana. L’artista si autodetermina nella pratica di un fare artistico condiviso con altri artisti e il pubblico fin dagli anni Settanta con il gruppo gli Ambulanti, intrecciando teatro, musica, azioni, parole, testi e immagini che cambiano a seconda del punto di vista, periodo e contesto. L’artista esiste nell’atto creativo rigeneratore, libero, poetico e spirituale basato sulla maieutica grotowschiana, al quale non posso mai mettere la parola fine, scrive l’artista, che vive l’arte come prassi di conoscenza ed elevazione spirituale.

Ernesto Jannini, da Palestre di vita

Srive Jannini: “Sul piano artistico io mi spingo a compiere tentativi di composizioni di frammenti di realtà visiva che scorrono continuamente sotto gli occhi: agisco in una direzione di equilibri fluttuanti , in cui la stasi non è definita una volta per tutte”. Le sue ”migrazioni” dal teatro alle arti visive, dall’arte alla vita e viceversa, fin dagli esordi giovanili quando partecipa ai laboratori di animazione al Rione Traiano con Dalisi e anima il gruppo degli Ambulanti con Annamaria Jodice, Claudio Massini, Silvio Merlino, Roberto Vidali, Giuseppe Zevola, Marta Alleonato e Carlo Fontana, alle azioni politiche e sociali, predilige le “azioni poetiche”, dada-surrealiste, come accadde con la mostra “Napoli Situazionista 75”, e in occasione della Quadriennale di Roma. Qualche traccia di questa natura di una leggerezza profonda c’è sempre anche nei suoi ultimi lavori.

Jannini per la manifestazione “Natalevento”, ideata per ravvivare il Natale napoletano con eventi all’aperto, svela le sue attitudini teatrali condivise con il gruppo, opera dentro il tessuto urbano, in strada, nei vicoli, nelle piazze dove tutto è teatro e arte involontaria per confrontarsi con la gente, nell’ambito della politica culturale del decentramento di quegli anni, che portò gli artisti dai grandi centri alle periferie, fino alle sue opere recenti.

Alla Biennale del 1976 su invito di Enrico Crispolti, Jannini si presenta all’interno dei Giardini Napoleonici con un Pesce Rosso, fiabesco, colorato, realizzato con un’armatura in vimini e stoffe ricavate da patchworck di vecchi calzini variopinti, con la quale passeggia per Venezia destando curiosità tra la gente. Negli anni Ottanta produce grandi Scudi (dal 1984 al 87), strutture leggerissime e solide con vimini che plasma con il fuoco, in cui mescola diversi materiali.

Le sue azioni poetiche degli anni Settanta si inscrivono nell’ambito dell’Arte relazionale, teorizzata da Nicolas Bourriaud negli anni Novanta del secolo scorso, pratiche che nel presente continuano a sollevare riflessioni sul cosa si intende per ‘sociale’ nell’epoca globale pandemica e come cambia il concetto di partecipazione, relazione in rete dal punto di vista artistico e culturale.

Un primo radicale cambiamento di codice stilistico avviene 1987, quando Jannini si trasferisce da Como a Milano, e apre lo studio nella galleria ex Toselli, dove comincia a riciclare e assemblare pezzi di componenti elettronici, schede elettroniche e microchips che recupera all’interno di macchine fotocopiatrici e computers nei cimiteri dell’elettronica, discariche considerate come “deposito linguistico d’inestimabile valore”, scrive l’artista, situate nel capoluogo lombardo.

A Milano nascono le opere polimateriche in bilico tra artificio e natura e dal 1996 si orienta su opere che indagano il rapporto tra Arte e Scienza che dovrebbero convergere verso una nuova sensibilità.

Nel 1990, l’artista partecipa alla Biennale di Venezia “Aperto 90”, alle Corderie, dove sorprende critica e pubblico con una installazione di forte impatto emotivo e scenografico sul tema di Cartesio, il filoso ricorrente nella ricerca artistica di Jannini, anticipatore dell’illuminismo, ispirata a un immagine tratta da un vecchio libro di Kipling. La sua ricerca di matrice più concettuali, matura nel corso del tempo con opere che aprono riflessioni sull’arte come strumento filosofico estetico e antropologico.

Ernesto Jannini, Equilibridi, Castel dell’Ovo, Napoli 2009

Il lettore entra nel flusso narrativo pagina dopo pagina, dove tutto scorre in maniera apparentemente lineare, in realtà nel racconto autobiografico, Jannini redige un “metatesto” in cui le sue argomentazioni mescolano citazioni classiche alla filosofia, in cui le immagini dialogano con le esperienze vissute. Così l’artista, guitto e saggio, performer dell’immaginazione, tratta scarti e ricambi della società post-tecnologica, riconfigura costantemente il mondo, riconducendo la sua ricerca all’unità del molteplice, in cui la complessità, curiosità è vissuta come prassi per inventare e animare strane storie di ordinaria quotidianità.

Tra i più diversi materiali lo affascinano microcircuiti tecnologici, fili elettrici, isolatori di porcellana, cavi di alta tensione da oggetti diversi che considera come reperti archeologici, smontandoli e ricomponendoli per caricarli di nuovi significati, simboli e narrazioni mitopoietiche in bilico tra fantascienza e realtà, in cui ogni singolo elemento appare combinato in strutture formali minimaliste, simili ma non uguali agli archivi d’informazioni, contenitori di regole scientifiche e ingranaggi di softdware fantasiosi, immaginifici il cui l’assurdo del quotidiano sembra logico e gli sconfinamenti tra natura e scienza si combinano tra loro in maniera armonica.

Perché dovreste leggere il suo libro? Perché raccontano il grande teatro della vita, la comédie humaine, interpretata dagli uomini, sollevando interrogazioni sul sentire l’arte, sul valore dell’istante, sulle possibilità di variazione combinatoria e convergenze tra elementi diversi, con opere da interpretare come sistemi aperti, metamorfici, “equilibri flottanti”, frammenti di realtà visiva come specchio di “una totalità dell’essere individuale, politico e sociale”. Il senso del suo fare, agire coincide con il suo ri-pensare l’arte come processo filosofico ,in cui tutto è traccia dell’infinito a cui tendiamo.

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