24 ottobre 2023

Il senso del Corpus, tra street art e diritti civili: l’avventura di MP5, in un nuovo volume

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Edito da Rizzoli Lizard, CORPUS è il nuovo libro che racconta la lunga avventura di MP5, fumettista, illustratrice e street artist, dai muri delle città alle lotte per i diritti civili

MP5, Morgana, cover per il podcast di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri

Dalla scena underground ai progetti su ampia scala, attraversando lo statuto dell’immagine lungo la direttiva del corpo. Sono molteplici le narrazioni che si intersecano in CORPUS, il primo libro dedicato all’opera di MP5, edito da Rizzoli Lizard, disponibile in tutte le librerie dal 24 ottobre 2023 e online su tutte le principali piattaforme. Curato da Jacopo Gonzales, con la direzione editoriale di Simone Romani, editing e coordinamento di Pasquale La Forgia, progetto grafico di Roberto La Forgia, Corpus racconta cosa significa per MP5 produrre immagini. Ed è lunga, anche in senso letterale, la strada percorsa dall’artista nata a Napoli, attualmente di base a Roma, le cui opere murali possono essere ammirate all’aria aperta per le strade di molte città in tutto il mondo, in Spagna, Francia, Germania, Slovenia, Svezia e poi in Asia e negli Stati Uniti.

Ma Corpus non vuole essere «Né un catalogo né un art-book, quanto piuttosto una narrazione visiva che presenta i lavori di MP5 secondo tre declinazioni: Corpus Erotico, Corpus Ermetico e Corpus Eretico». Dietro l’immagine, infatti, è proprio il corpo a essere protagonista della ricerca di MP5. Con tutte le declinazioni politiche e sociali, dalla produzione artistica alle battaglie per i diritti civili, che questo grande tema comporta. Per MP5, il corpo è «Ridotto ai minimi termini, definito da una linea spessa e nera, essenziale e incisiva», che poi ritorna e tiene traccia di tutta la sua produzione multidisciplinare, dalle illustrazioni per giornali e riviste ai poster per manifestazioni, dai disegni alle animazioni video e audio. «Il corpo, individuale e molteplice, isolato o collettivo diventa il mezzo attraverso il quale esprimere relazioni, contrasti, vita esteriore e interiore: uno spazio politico attraverso il quale immaginare il possibile, sperimentare una società fluida e abbattere i confini». Ha disegnato la cover del podcast e del libro Morgana di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri. Sua la cover del libro Corpi Minori di Jonathan Bazzi. Ha disegnato le immagini per il movimento Non Una Di Meno e anche la copertina per il nostro exibart onpaper, il numero 108.

«Tutto il lavoro di MP5 nasce dall’assunto che “The personal is political”», scrive nel testo critico che introduce il volume Ilaria Bonacossa, curatrice e storica dell’arte, direttrice del Museo Nazionale dell’Arte Digitale di Milano. Tra le pagine, anche una conversazione tra MP5 e il performer e coreografo Alessandro Sciarroni, che guida il lettore alla scoperta delle tre sezioni. Quest’ultimo contributo ha origine da una collaborazione del 2021, quando MP5 chiede a Sciarroni di posare come modello per un progetto dal titolo Movimento/Immagine e tra i due nasce un forte legame di amicizia.

Scenografa, illustratrice, animatrice e fumettista italiana, MP5 ha studiato scenografia teatrale a Bologna e animazione alla Wimbledon School of Art di Londra. Le sue opere sono state esposte in festival e istituzioni d’arte nazionali e internazionali, come la XII Biennale dei giovani artisti europei e mediterranei, la Triennale di Milano e il MACRO. Tra le sue ultime partecipazioni, La Condition Publique (Roubaix, Francia, 2017), LE MUR de Saint Etienne (Francia, 2016) e l’installazione e il progetto teatrale PANDROGENY al Theatre National di Bruxelles (Bruxelles, Belgio, 2017). MP5 ha collaborato nel Regno Unito con la galleria Lazarides e in Francia con la designer e gallerista Agnès B. MP5 è stata anche una delle artiste italiane invitate al progetto La Tour 13 a Parigi e le sue opere sono apparse in numerose pubblicazioni internazionali tra cui Le Monde Diplomatique, Vogue, Wooster Collettiva, Juxtapoz. Dal 2018 al 2023 ha curato la campagna globale per la gender equality Chime for Change di Gucci.

CORPUS attraverso le parole di MP5

«Ho aspettato tanto prima di decidere di pubblicare un libro che raccontasse il mio lavoro. Avevo paura che potesse sembrare una celebrazione, cosa che non mi ha mai interessato. Poi la proposta dell’editore è arrivata in un momento in cui avevo voglia di guardare indietro e provare a cercare di tracciare delle coordinate nel mio lavoro passato. Mi sono sempre sottratt* alle definizioni, di genere e anagrafiche, ma anche artistiche.

MP5 è il nome che ho scelto, che prova ad astrarre tutti gli incasellamenti. Molti pensano che sia il nome di un fucile, altri di un supporto digitale, la verità è molto più banale. È un nome casuale scritto per sbaglio da un curatore per una delle prime mostre a cui ho partecipato. Questo fatto così inaspettato e random mi ha affascinat* e da quel momento ho adottato questo nome sia come artista che come persona.

Quando avevo diciott’anni, dopo la discoteca andavo a salutare le mie amiche trans sulla Laurentina. Una mattina, facendo colazione assieme, ho chiesto a una di loro: ma qual è il tuo nome all’anagrafe? Lei mi ha risposto che era la prima volta che qualcuno non le chiedeva quale fosse il suo nome da uomo. Ecco il mio nome vuole sfuggire alle sovrastrutture, è il mio manifesto di autodeterminazione. Persino mio padre ha finito per chiamarmi così: Emmepì

Aggiungo pure che alcuni lavori non sono nemmeno firmati MP5. Sono quelli che faccio per le iniziative in cui credo, quelle del movimento trans-femminista e queer, quelli più politici, e lascio a loro – a chi fa attivismo sul campo e che io solo affianco – la maternità di queste opere. È successo così ad esempio con la donna con la mano infuocata che ho realizzato per NonUnaDiMeno: ad un certo punto delle ragazze hanno fatto un sagomato con quella fiammata rossa e l’hanno impugnata, alzandola in aria. Hanno tradotto autonomamente quell’immagine in qualcos’altro che ha preso un’altra vita.

All’inizio, il fatto di esporre in un interno, l’idea della galleria come contenitore, non mi interessava, volevo inserirmi il più possibile nello spazio – nello spazio pubblico intendo – e far circolare idee e immagini. Forse non sono mai stat* un ver* street-artist, ma di sicuro oggi posso dire che, anche se per strada incontro dei lavori pur molto belli, non mi suscitano più quello stupore che invece cerco sempre e che mi alimenta. Sarà perché di street art ne parlano sempre quando vogliono “riqualificare” dei quartieri e allora ripetono di continuo la formula della “galleria a cielo aperto”: ecco, penso che quella definizione abbia banalizzato molto l’uso artistico dello spazio pubblico e abbia finito per anestetizzare l’uso pubblico dell’arte. Eppure il muralismo continua a parlarmi, a emozionarmi e mi spinge a cercare ancora nuove soluzioni. Per me, realizzare opere nello spazio pubblico significa fare i conti con il contesto, studiarlo, assumerlo nel mio lavoro.

Questo libro cerca di tracciare una diagonale nella mia produzione. Insieme a Jacopo Gonzales che ha curato il volume e che lavora con me da tanti anni abbiamo cercato una chiave di lettura che legasse tutto il materiale che avevamo davanti. Per comodità abbiamo diviso tutto in tre sezioni che per pura casualità erano un gioco di parole: erotico eretico ed ermetico. Doveva essere solo un escamotage per organizzare i lavori ma poi quell’idea è diventata la struttura definitiva del libro.

La difficoltà più grande era quella di mostrare in sequenza lavori sui supporti più disparati. Ed è proprio questo lo statement più forte di tutto il libro. Non è automatico definire un artista in base al supporto o al contesto dove mostra i suoi lavori. Io non voglio essere incasellata incasellat* in nessun ambito specifico. Ogni volta che ci hanno provato mi sono sentit* di dovermi allontanare. È successo con l’illustrazione, poi con la streetart. Eppure io faccio sempre la stessa cosa: produco immagini che mi piacciono e che per me sono necessarie. Corpus racconta questo cammino obliquo, di un artista che non ha un’identità, e non perché la sta ancora cercando, ma solo perché ne rifiuta una soltanto.

Gli occhi delle mie figure, ad esempio, sono solo dei segni quasi accennati: tante volte mi trovo ad annullare l’espressione dei volti e dello sguardo e lo faccio per sottrarle al dovere di emettere un giudizio. Non voglio spingere i miei personaggi a educare chi li guarda».

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