01 gennaio 2021

L’arte che verrà

di

Nel suo nuovo saggio "Inclusioni. Estetica del Capitolocene", Nicolas Bourriaud trascina il lettore sull’orlo dell’abisso di una scienza partecipata, in cui natura e cultura coesistono. Anche dentro l'arte

Tomas Saraceno, Aero(s)cene, Biennale Arte 2019

Intensificare ciò che già c’è, entrare in empatia con le cose, con lo spazio, in quanto realtà fisica e sostanza dell’iterazione attraverso opere inclusive, rigeneranti, che determinano ambienti anche “molecolari” come espressione di un “bisogno vitale” per fare arte come attività integrante di un ecosistema condiviso in equilibrio con un universo di esseri diversi. In prospettiva delle conseguenze del cambiamento climatico e delle responsabilità che gravano sulla specie umana “ecocida” l’arte contemporanea assume un ruolo etico e sociale per supere le gabbie del capitalismo globale. Natura, specie umana, cultura e sviluppo urbano dovrebbero coesistere per superare lo squilibrio, provocato da un antropocentrismo arrogante delle attività umane contro la natura. L’artista farfalla, profeta, sciamano, rivelatore delle nostre responsabilità di cambiare il modo di vivere nel mondo in armonia con le tutte le specie viventi, è una possibile via per trasformare i limiti imposti dal Covid 19, in una straordinaria opportunità di riconfigurare il futuro, agendo su l’energia differenziale, evocata da Levi-Strauss, mentore intellettuale di Nicolas Bourriaud.
Questo e molto altro ancora propone il teorico francese e curatore di mostre tra i più affascinanti del presente, visionario, appassionato di André Breton, dell’arte magica e forse profetico, con il nuovo libro Inclusioni. Estetica del capitolocene (Postmedia Books), per entrare nel vivo della complessa materia organica in cui antropologia e arte sono intrecciate nell’era dell’antropocene.

Nicolas Bourriaud

L’arte che verrà, secondo Nicolas Bourriaud

Arte come strumento di conoscenza, di “istruzione”, apprendimento dei cambiamenti in fieri, sulle ceneri di una “archeologia sociale”, senza definirla, l’autore, abilmente, passando dalla antropologia, alla magia, basata su una estetica relazionale e inclusiva estesa a processi ambientali nella cornice della biosfera, tenta ipotesi sull’evoluzione dell’arte nell’epoca Covid 19, proponendo al lettore riflessioni nuove che trovano uno spunto teorico di approfondimento, seppure trattato in diversi contesti anche nella La Nazione delle Piante di Stefano Mancuso, non citato dall’autore e nella Vita delle Piante. Metafisica della Mescolanza di Emanuele Coccia da cui prende spunto teorico le sue analisi e più volte citato.
Intorno alla necessità di superare gerarchie anacronistiche, la mescolanza, il superamento di dualismi sterili, su cui si è fondato il “pensiero predatore relazionale”, scrive l’autore, umani, esseri viventi (animali e vegetali) di diversa specie e ambienti, il minerale come il robotico devono cooperare. E se con il termine antropocene, coniato dallo svedese Andreas Malm, si indica la nostra epoca in cui la più grande minaccia del nostro pianeta, proviene dalla attività umana predatrice volta ad esaurire le risorse naturali nel vortice del capitalismo globale, dove non ci sono più parti inesplorate e anche il cosmo è terra di conquista “inquinato” di satelliti che monitorano l’universo, allora, l’arte intesa come opera biologica, diventa quel necessario dispositivo di un habitat unitario, in cui l’essere umano non si distingue ne domina la natura e l’etica coincide con l’estetica.
Bourriaud trascina il letture sull’orlo dell’abisso di una scienza partecipata, in cui natura e cultura, civilizzato e selvaggio, forma e materia, soggetto e oggetto, dualismi cha hanno strutturato il pensiero occidentale coesistono, dentro il suo pensiero e una scrittura erudita, attraversando come un novello Ulisse, paesaggi apocalittici, voli pindarici sulle rovine della catastrofe ambientale, pandemia compresa.

Inclusioni. Estetica del Capitolocene, cover

La domanda che l’autore pone non è soltanto capire o meglio, immaginare quali saranno le identità molteplici delle arti visive post Covid 19 nello scenario occidentale capitalista, ma piuttosto verte sulla necessità di modificare radicalmente il nostro approccio all’arte contemporanea, quale specchio di mutazioni in atto, ricorrendo a uno sguardo decentrato, latrale, per guardare con nuova sensibilità le diversità culturali e naturali che viviamo, immaginando una riconfigurazione del modo in cui percepiamo lo spazio in una società profondamente cambiata, all’insegna della promiscuità globale, dove l’opera è un agente di conoscenza della complessità, capace di captare segni, germi, vibrazioni, compresi microbi, piante, minerali già diventate merci.
L’opera d’arte è un trasformatore di diversi elementi più o meno carica di energia, simboli e significati a seconda della qualità dei materiali sottesi e dalla sensibilità dell’artista di trattarli. Bourriaud, noto per libri utili per comprendere le evoluzioni dell’arte dagli anni Novanta a oggi, come Estetica relazionale (1998), Postproduction (2002), Radicante (2009) Forme di Vita (2015), editi in Italia da Postmedia Book, con questo saggio carico di citazioni e incursioni teoriche trasversali, apre riflessioni politiche e sociali riguardo all’arte occidentale capitalista.
L’autore ripercorre nella prima parte del libro percorsi paralleli, analogie , similitudini e differenze tra filosofia di matrice strutturalista, antropologia, etnologia e arti visive, intese come “energia rinnovabile”, passando da Aby Warburg, Claude Levi Strauss, Walter Benjamin, Georges Battaille, Michel Faucault, Felix Guattari, Jaques Lacan, Emanuele Coccia e altri autori, con il fine di riconfigurare l’attuale epoca definita “capitolocene”. Il futuro è là, dove si introducono categorie marginalizzate dal capitalismo occidentale, quali minoranze, popoli erroneamente considerati dalla cultura europocentrica “primitivi”, gli animali, le piante fino alle molecole e tutto ciò che riguarda l’organico , il vivente, in cui l’artista si pone come sciamano o come una farfalla.

Pierre Huyghe, After ALife Ahead, installazione site specific a Skulptur Projekte Münster, 2017

Gli artisti del nuovo millennio che sono immersi in ambienti ibridi, citati da Bourriaud sono Tala Madani, artista iraniana contro il mondo oppresso da occupanti violenti, Pierre Huyghe, che introduce organismi viventi nelle sue opere, come Tomas Saraceno che guarda il mondo con lo sguardo dei ragni e maneggia la radiofrequenza. Dora Budor che utilizza nelle sue opere polvere, cenere finta e ossitonocina, la molecola capace di alterare il cervello, Loris Gréaud che indaga la decomposizione chimica, delle particelle invisibili di micro organismi. Questi e altri artisti devono porsi come sciamani, che recuperano relazioni tra diversi mondi, agenti “mercuriali” di nuovi messaggi, relazioni tra noi e le cose, critiche e riflessioni dentro uno sguardo molecolare , “pan-biologico” delle realtà sociali dalle infinite trame misteriose dell’universo, nel nostro mondo, in cui il clima, l’aria, l’anidride carbonica, i gas lacrimogeni, molecole, batteri e virus resta in ogni caso una testimonianza e uno scarto di un invisibile non conoscibile.
La sfida politica e fondamentale del Ventunesimo secolo, secondo Bourriaud consisterà precisamente nel “reintrodurre l’umano in tutti i luoghi dai quali egli si è allontanato a vantaggio dell’automazione: nella finanza informatizzata, nei mercati affidati a regolazioni automatiche, ma soprattutto nelle politiche sintonizzate esclusivamente sull’orizzonte del profitto, ovvero mondo del quantificabile. Non rimettere l’umano al centro, dato che niente potrebbe costruire un centro per un universo di esseri in attività simultanea all’interno di un ecosistema condiviso, ma nel cuore di quella attività che ormai di umano hanno soltanto il nome”

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